Nel quadro di una politica estera espansiva, e nel perseguire sempre più esplicitamente il disegno di ricostituire i vecchi confini sovietici, la Russia sembra porre ora nel proprio mirino la Bielorussia. Il paese fratello, membro dell’unione doganale euroasiatica, legato da uno stretto interscambio commerciale e che ospita due importanti stazioni radar militari russe, negli ultimi mesi è al centro di una rinnovata ed esplicita attenzione da parte di Mosca.
All’origine di tutto, inizialmente, un contenzioso economico, generato da una complicata manovra fiscale russa riguardo al petrolio: introducendo un meccanismo fiscale per sovvenzionare le proprie raffinerie di petrolio, produce una perdita per la Bielorussia, che è acquirente del petrolio russo, e priva il bilancio bielorusso dei dazi per l’esportazione di petrolio; Mosca dovrebbe quindi compensare questa perdita, che per il 2019 ammonterebbe a 315 milioni di dollari. Ora, però, il ministro delle finanze russo Siluanov ha affermato che la Russia non ha dato alla Bielorussia alcuna promessa di risarcimento. Il primo ministro russo Medvedev, durante un suo intervento a Brest, ha rincarato la dose, affermando in pratica che la Bielorussia potrà godere dei prezzi di favore del mercato interno russo solo entrando a far parte dello Stato dell’Unione Russia-Bielorussia prefigurato nel Trattato dell’otto dicembre 1999, che prevede moneta unica (il rublo russo), dogana unica, tribunale unico, e unica corte dei conti: praticamente l’anticamera di un’annessione della Bielorussia da parte del paese fratello.
Il Trattato dell’Unione in realtà è un dinosauro di un’epoca lontanissima, firmato da Eltsin e Lukashenko in un periodo rovinoso per la Russia, e del tutto sorpassato. Ora però la Russia lo risolleva dall’oblio con l’evidente intenzione di sottomettere eventuali risarcimenti petroliferi all’attuazione del trattato. Intanto l’estremista russo Zhirinovski dichiara soavemente di esser convinto che, in un eventuale referendum, la maggioranza dei cittadini bielorussi sarebbe d’accordo di riportare il paese tra le braccia della Russia. Inoltre, a settembre il presidente russo Putin ha manifestato l’intenzione di creare una vera e propria base aerea russa nell’aerodromo di Bobruisk, in Bielorussia, con presenza permanente di caccia russi.
Riguardo a tutto questo, il presidente bielorusso Lukashenko ha dichiarato di non aver affatto bisogno di una base aerea russa sul proprio territorio, data la vicinanza geografica di basi aeree in territorio russo, e di esser convinto che il problema del risarcimento dei dazi petroliferi sia presto risolvibile. Nel mese di dicembre è volato per tre volte a Mosca per colloqui con Putin. Qualunque sia la soluzione concreta di questi problemi, è chiaro che la pressione sulla Bielorussia è divenuta molto preoccupante, e le intenzioni della Russia appaiono chiare. Il presidente Lukashenko, con la sua forte personalità, è probabilmente il solo in grado di resistere ad una pressione di questo genere, ma la situazione resta delicata. Se la Russia fatica a ricondurre la riottosa Ucraina sotto la propria completa sfera d’influenza, può cercare di recuperare terreno in Bielorussia, dove pochi ostacoli sembrano opporsi alle sue ormai evidenti intenzioni.