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Foto New York Times

BOSNIA: Come procede la segregazione tra i banchi di scuola?

Negli stessi giorni in cui in tutto il mondo viene celebrato il 70° anniversario della pubblicazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, esce un documento dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) intitolato “Due scuole sotto un tetto”. Questo rapporto attualizza lo stato dell’arte circa la situazione di segregazione delle scuole in Bosnia, con particolare riferimento alla Federazione di Bosnia ed Erzegovina, una delle due entità del paese.

Due documenti apparentemente slegati tra loro, non fosse altro per una palese asimmetria di rilevanza, ma accomunati dal fatto che anche nella Dichiarazione Universale si fa riferimento all’educazione come strumento che promuove la “comprensione, tolleranza e amicizia tra tutte le nazioni, i gruppi razziali e religiosi”. Il parallelismo è funzionale, dunque, a tracciare il solco, profondo, che corre tra la “teoria” del documento e la “pratica” della sua applicazione in Bosnia, dove la segregazione scolastica è, apparentemente, un dato assodato difficilmente reversibile.

Il modello “Due scuole sotto un tetto”

Escogitato nella Bosnia post-Dayton come espediente per incentivare il rientro degli sfollati nei luoghi di origine vincendo, anche, la ritrosia dei genitori a mandare i propri figli in scuole ove sarebbero stati etnicamente minoritari, il modello “due scuole sotto un tetto” prevedeva la separazione per “etnia” degli studenti frequentanti lo stesso edificio scolastico: separazione che poteva attuarsi tramite la suddivisione dei locali o, anche, mediante la turnazione dell’orario scolastico.

Il ritratto di un fallimento

Nato per essere transitorio, quel modello è andato, invece, via via cristallizzandosi. Il documento OSCE, riportando ai giorni nostri i risultati di un progetto partito nel 2002 e volto a incentivare il suo superamento, descrive di fatto un fallimento (esemplificato da una scuola a Travnik): non solo le strutture in cui viene messo in pratica il modello sono ancora 57, non una di meno di quelle già attive negli scorsi anni, ma la segregazione scolastica sembra (ri)proporsi con nuove e, altrettanto efficaci, modalità: prima tra tutte la costruzione di nuovi edifici destinati ad accogliere gli studenti appartenenti a una sola etnia, ovvero la realizzazione di scuole mono-etniche in aree multietniche.

Questo mina la base stessa della filosofia ispiratrice del modello che era, al contrario, proprio quella di riportare gli allievi a vivere, anche fisicamente, il medesimo luogo. In alcuni casi questo tentativo è stato condotto anche con la contrarietà degli stessi alunni ed è noto l’esempio delle proteste che, a Jajce, hanno impedito che si realizzasse una nuova scuola per separare i ragazzi bosgnacchi da quelli croati. Una protesta talmente dirompente, nella Bosnia di oggi, da meritare l’attribuzione, il 9 novembre scorso, del Premio Max van der Stoel conferito dall’OSCE. Una primavera, quella di Jajce, che rischia però di rimanere isolata.

La soluzione (im)possibile

E’ fin troppo chiaro, infatti, come la soluzione del problema sia tutta politica così come è evidente come essa non possa essere imposta dall’esterno o a colpi di sentenze, come quella della Suprema Corte federale che, nell’agosto del 2014, ha ritenuto discriminante l’organizzazione su base etnica di due scuole elementari nel Cantone Erzegovina-Narenta. Timidi, però, sono anche i segnali che arrivano dalla politica: se si esclude il tentativo portato avanti dal partito d’ispirazione social-liberale, Naša stranka, con una proposta di legge depositata al parlamento federale nel settembre 2017 (e rimasta nel cassetto) e qualche sporadica presa di posizione del Partito Socialdemocratico, poco resta d’altro. Il quadro, poi, appare ancora più disarmante considerata la frammentazione del sistema educativo, gestito a livello “locale” da ben 13 ministeri distinti.

Le elezioni dell’ottobre scorso hanno premiato ancora i partiti nazionalisti, ovvero quei partiti in cui vi è la consapevolezza che conditio sine qua non per il mantenimento del potere acquisito è proprio l’esacerbazione delle supposte differenze inter-etniche. A maggior ragione per i croato-bosniaci che vedono l’omogeneizzazione scolastica come un ostacolo all’auspicata creazione di una terza entità distinta.

E’ evidente che si sta scherzando col fuoco. Non solo questa pratica ha un effetto dirompente sulla qualità dell’insegnamento scolastico, con programmi cuciti su misura su basi etniche. Ma, come rilevato dall’UNICEF, l’enfatizzazione delle differenze fomentata in età scolare non fa che accrescere l’ignoranza e il sospetto reciproci contribuendo ad allungare una distanza che appare, già oggi, incolmabile.

Dopo un quarto di secolo si può dire che un’intera generazione di bosniaci si è formata in questo clima. E che la scuola bosniaca rischia di diventare il brodo di cottura, insidioso, di un futuro pieno di nuvole.

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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