L’impatto economico delle sanzioni emanate il 1 novembre 2018 dal governo russo contro 322 cittadini e 68 aziende ucraine è ancora al vaglio del Ministero delle Finanze di Kiev. Tuttavia la natura “ricattatoria” delle contromisure imposte da Mosca era emersa sin da subito: veniva specificato infatti che il decreto era stato attuato in risposta alle restrizioni stabilite lo scorso giugno dal governo ucraino nei confronti di cittadini e imprese della Federazione russa.
Il commento dell’Ambasciata ucraina in Italia
Come si legge nel documento ufficiale russo, queste contromisure verrebbero cancellate nel caso in cui Kiev decidesse di revocare le proprie: «Come ha ribadito il nostro presidente Petro Poroshenko questa decisione della Russia non era inaspettata – ha dichiarato Oksana Amdzhadin consigliere dell’Ambasciata ucraina in Italia contattata da East Journal – dopo aver introdotto le nostre sanzioni abbiamo sentito molte volte le minacce e gli annunci dell’arrivo delle contro-sanzioni russe. La differenza è che quelle ucraine sono state concordate con i nostri partner occidentali, contro le persone ed entità russe implicate nelle azioni aggressive e ostili contro l’Ucraina. La giustificazione delle sue azioni, da parte dello Stato aggressore, è insussistente e manipolativa, e le stesse “misure economiche speciali” non hanno nulla a che vedere con il diritto internazionale. Le nostre sanzioni potranno essere ritirate solamente dopo l’incondizionata e definitiva de-occupazione da parte della Russia della Repubblica autonoma di Crimea, della città di Sebastopoli e dei territori delle regioni di Donetsk e Lugansk».
La valenza politica delle contro-sanzioni
Nella lista dei destinatari delle contromisure figura gran parte dell’elité politico-finanziaria ucraina, da esponenti del governo a diversi parlamentari e giudici della corte costituzionale passando per uomini d’affari: tra i più in vista il ministro dell’Interno Arsen Avakov, il capo del Consiglio nazionale di Sicurezza e Difesa Oleksandr Turchynov, il direttore dell’intelligence Vasyl Hrytsak, Yulia Tymoshenko – leader del partito “Patria” pronta a correre alle presidenziali del 2019 – e il magnate dell’acciaio Victor Pinchuk. Sebbene non sia presente nella lista il presidente Poroshenko, lo è il figlio Oleksjy, membro del parlamento. «Gli esponenti politici ritengono l’inserimento nella lista delle sanzioni come il riconoscimento della propria attività nell’interesse dell’Ucraina – ha continuato il funzionario dell’Ambasciata ucraina in Italia guidata da Yevhen Perelygin – e corrisponde pienamente ai loro principi e ai documenti programmatici, poiché confermano la devozione alla libertà e all’indipendenza dell’Ucraina».
Sebbene essere presenti nella lista venga considerato dai destinatari una “medaglia al valore”, dal punto di vista del Cremlino, le contro-sanzioni indicano all’opinione pubblica nazionale e internazionale come la classe dirigente ucraina sia ancora compromessa economicamente con la Russia. Una questione che potrebbe minare la credibilità della classe politica proprio nel momento in cui le non riconosciute elezioni del Donbass, tenutesi l’11 novembre scorso, hanno confermato nelle regioni separatiste di Donetsk e Lugansk la maggioranza delle forze filorusse.
Le ricadute sulle imprese coinvolte: alcuni esempi
Anche dai primi commenti e analisi sull’impatto delle sanzioni nei confronti delle società coinvolte emerge una predominanza dell’aspetto politico rispetto alle ripercussioni economiche. Si tratterebbe più che altro di “avvertimenti” ai settori che rappresentano tuttora il grosso della produzione industriale ucraina: per esempio troviamo in lista la multinazionale con base in Svizzera Ferrexpo, che in Ucraina gestisce ben due miniere e un impianto di produzione di pellet d’acciaio a Kremenčuk, importante città industriale nella regione della Poltava. Le sanzioni non sembrano prevedere ricadute dirette sulle attività di Ferrexpo, che esporta soprattutto in Europa centrale raggiungendo il 64% del volume d’affari proprio in quest’area, mentre non ha mercato in Russia.
Tra le imprese destinatarie delle contromisure figura Kernel, holding del settore agroalimentare e specializzata nella produzione di olio di semi di girasole. Recentemente aveva annunciato l’estensione fino al 2021 di un accordo di finanziamento con un consorzio di banche europee per il potenziamento della produzione finalizzata all’export e probabilmente si è dotata di un’assicurazione da “rischio politico”, generalmente richiesta negli accordi di ‘pre export credit facility’ proprio per minimizzare gli effetti di eventuali espropriazioni, sanzioni e conflitti armati. Il 2 novembre scorso, il giorno dopo la pubblicazione del decreto che stabiliva le misure restrittive, la holding ha dichiarato che «le sanzioni imposte dalla Federazione russa non avranno un impatto sulle attività e sulla situazione finanziaria della Kernel. L’unico interesse diretto risiede nel possesso di una quota di una società domiciliata nella Federazione, e comunque Kernel non è coinvolta da diversi anni in affari sul territorio russo».
Altro colosso dell’agroalimentare ucraino preso di mira dal governo di Mosca è uno dei più grandi produttori ed esportatori di pollame e derivati, la Mhp (Mironovskiy Hleboproduct SE). Subito dopo la notizia della pubblicazione del decreto, i vertici della holding quotata a Londra hanno dichiarato che la Mhp non esporta più in Russia dal 2014, ovvero dall’inizio del conflitto. In ogni caso l’espansione sul mercato europeo non sembra essere stata frenata visto che solamente una settimana fa l’Autorità antitrust serba ha consentito a Mhp l’acquisto del 90% delle quote del gruppo internazionale Perutnina Ptuj, altro importante attore industriale del sud est europeo nella produzione e commercializzazione di prodotti alimentari.
Le contro-sanzioni vengono considerate da Kiev come la continuazione dell’aggressione russa iniziata nel 2014, un ulteriore atto che mira a destabilizzare lo scenario politico e le relazioni con i principali attori economici che hanno interessi in Ucraina.
È curioso che delle contro-sanzioni vengano considerate “la continuazione dell’aggressione russa”. Forse gli oligarchi ucraini immaginavano di poter continuare i loro proficui commerci dopo aver bloccato le importazioni russe. Ma certo, io ti do un calcio e mi stupisco se poi tu ti difendi. Persino le elezioni non sono considerate come espressione di una popolazione, ma “dei filorussi”. Se solo avesse voluto, la Russia avrebbe chiuso la partita militarmente in due ore. Il resto è demagogia.
Non saprei cosa agdiungere. Grazie.-
Dizionario alla mano, la frase “la natura “ricattatoria” delle contromisure imposte da Mosca” non è solo discutibile, ma errata nella logica. Al limite si potrebbe parlare di contro-ricatto, ma che una reazione a sanzioni altrui possa trasformarsi in scelta ricattatoria è risibile. A meno che, a forza di parteggiare per i democratici ucraini (chiudendo gli occhi sulle pochissime mele marce fasciste….????), qualcuno s’immaginava una Russia lì ferma a farsi schiaffeggiare passivamente mentre la NATO è sempre più prossima ai suoi confini. Per cortesia, un minimo di obiettività.
Se Trump ammettesse la falsità atlantica avallata da questa stupida prosopopea europea (fa anche rima), dopo la pacifica ed ennesima annessione dell’Ucraina alla Russia, l’obiettività sarebbe un’ovvietà per tutti.