BALCANI: Come i media serbi insultano gli albanesi (e vengono condannati)

Utilizzare il termine “šiptar”, termine dispregiativo per definire gli albanesi, è qualificabile come incitamento all’odio e, pertanto, da considerarsi offensivoLo ha stabilito la corte di Belgrado in una sentenza di primo grado per l’uso a mezzo stampa di questo termine.

La decisione arriva nell’ambito del processo intentato da Anita Mitić, all’epoca dei fatti direttrice della Youth Initiative for Human Rights (YIHR, un’associazione attiva in tutti i Balcani occidentali nel campo della difesa dei diritti umani), contro Dragan J. Vučićević, direttore dell’Informer, il più diffuso tabloid belgradese, assai vicino al presidente serbo Aleksandar Vučić. La corte ha sanzionato Vučićević, peraltro non nuovo a queste condanne, al pagamento di un risarcimento per aver leso l’immagine e la reputazione della Mitić e dell’intera organizzazione. Il direttore del tabloid in passato era già stato accusato dall’autorità garante per l’uguaglianza per aver violato la legge sul divieto di discriminazione impiegando il termine šiptar sulle prime pagine del giornale.

Sebbene si tratti solo di un giudizio di primo grado, la sentenza potrebbe essere destinata a fare giurisprudenza come raro esempio di sanzione contro l’impiego di termini discriminatori e ingiuriosi – quel discorso d’odio che trova spazio giornaliero sui tabloid serbi. Anche se Vučićević non sembra aver appreso la lezione; Informer ha già fatto una nuova copertina definendo nello stesso modo il calciatore svizzero Shaqiri.

I fatti

I fatti risalgono al gennaio 2017, quando alcuni membri della YIHR irruppero nel corso di una manifestazione organizzata nella cittadina di Beška dal Partito Progressista Serbo (SNS) di governo: a parlare era stato invitato anche Veselin Šljivančanin, ex ufficiale dell’esercito jugoslavo (JNA) già condannato a 17 anni di reclusione (poi ridotti a 10) dal Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia per crimini di guerra durante l’assedio di Vukovar. Gli attivisti tentarono di interrompere il discorso di Šljivančanin srotolando uno striscione di protesta con la frase “i criminali di guerra dovrebbero essere zittiti cosicché la voce delle vittime possa essere ascoltata” ma furono attaccati dal servizio d’ordine e malmenati.

All’indomani dell’episodio, l’Informer aveva pubblicato un articolo sprezzante in cui qualificava la Mitić e i membri della YIHR come fascisti, nemici della Serbia e sostenitori degli šiptari. Non una novità, dato che il termine in questione è ampiamente utilizzato da molta stampa e l’Informer stesso l’avrebbe impiegato per ben 196 volte nei primi nove mesi del 2017, secondo una ricerca dell’OSCE sulle percezioni reciproche tra serbi e albanesi. A tale definizione ricorrono spesso anche i siti internet dei gruppi di estrema destra per indicare con disprezzo un albanese.

La retorica nazionalista (e, spesso, razzista) permea molta parte della stampa serba, specie quella filo-governativa: non è confinata al solo Informer, non si limita all’uso di qualche termine dispregiativo e, ancora, non si rivolge ai soli albanesi. E, soprattutto, viene impiegata nella sostanziale impunità e, con rare eccezioni, nell’ignavia delle élite culturali e politiche serbe.

E’ anche per questa ragione che la sentenza della corte di Belgrado assume un significato simbolico ancora più rilevante: non è un caso, infatti, che la stampa kosovara l’abbia accolta come una sentenza storica dandole un certo risalto mediatico. Se è vero, infatti, che si sta parlando di un singolo caso, è altresì vero che essa costituisce un precedente importante con il quale d’ora in poi la stampa serba dovrà fare i conti.

Le origini e l’uso del termine

L’Albania in albanese è Shqipëria, termine che deriva verosimilmente da shqiponja, ovvero aquila, animale molto rappresentato nella simbologia delle antiche dinastie albanesi al punto da essere raffigurato, bicefala, sulla bandiera nazionale. Per questa ragione gli albanesi si autodefiniscono shqip(ë)tar – da cui il termine šiptar nelle lingue slave meridionali.

Ma la parola šiptar, pronunciata con accento slavo volutamente calcato, assume oggi una connotazione pesantemente razzista alludendo a una presunta inferiorità culturale degli albanesi, immaginati caricaturalmente alla stregua di cavernicoli, anzi di “moderni trogloditi, che come gli antenati dell’uomo, dormivano sugli alberi e vi si attaccavano con la coda” come già a fine ‘800 li descriveva Vladan Đorđević, politico e scrittore serbo.

All’atto della formazione della federazione jugoslava, il termine šiptar veniva, anche formalmente, impiegato per indicare gli appartenenti alla comunità albanese, perlopiù kosovari, come inserito nei censimenti del 1948, del 1953 e del 1961. Solo successivamente, su pressione della dirigenza kosovara albanese desiderosa di enfatizzare in questo modo una sorta di autonomia nazionale piuttosto che etnica, il termine šiptari fu sostituito da albanci nei censimenti del 1971, del 1981 e nel 1991. Nella Serbia post-jugoslava la definizione albanci  è stata mantenuta ed è tuttora utilizzata ufficialmente.

E’ così che l’impiego di šiptar assume, oltre alle prerogative negative anzi dette, anche una valenza sottilmente politica: utilizzarlo, oggi, significa negare una qualsivoglia connotazione nazionale rimarcando, al contrario, l’appartenenza ad un gruppo minoritario.

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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3 commenti

  1. Vi basta fare un giro sui social e su diversi gruppi per vedere come agisce si manifesta il nazionalismo albanese: odio per Greci, serbi e croati; manipolazione della storia, revisionismo e sciovinismo terribile. La narrazione che vede solamente i serbi come i cattivoni nei balcani mi è particolarmente indigesta (anche se ovviamente è principalmente dalla loro parte che avvengono le maggiori provocazioni). Da un sito cosi autorevole come il vostro mi aspetto una copertura a 30 gradi delle vicende. Grazie

    • Giorgio Fruscione

      caro Marco, su nazionalismo albanese e temi correlati abbiamo scritto in passato. Tuttavia, questo non è un articolo sui “serbi cattivoni dei Balcani” e sarebbe meglio non dare queste letture troppo generalizzate su singoli articoli. Il tema è molto specifico: il modo in cui si esprime un quotidiano – il più venduto nel paese – che è stato condannato per incitamento all’odio. L’articolo non contiene quindi accuse contro il popolo serbo.

  2. Mi sembra una buona azione di liberazione e giustissima del tribunale di Belgrado. Incitamento all’odio e disprezzo verso gli altri popoli e un gesto di una scarsa cultura e ignoranza politica. Non esistono popoli * nemici * sono i governi,politici,che fanno * nemici * i popoli,e dietro di loro giornali e media. Amicia e rispetto verso i altri popoli porta in pace e stabilità.

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