RUSSIA: La memoria della repressione sovietica di cui le autorità vorrebbero appropriarsi

Il 30 ottobre, in Russia, è la giornata in ricordo delle vittime delle repressioni politiche. In questo giorno, o alla sua vigilia, vengono organizzati eventi pubblici per commemorare soprattutto le repressioni di epoca sovietica. Si tratta solitamente di veglie e letture in diverse città, in cui vengono ricordati, uno per uno, i nomi delle vittime. Una di queste manifestazioni è “Il ritorno dei nomi”, organizzata ogni anno dall’associazione Memorial, ma ormai diventata un appuntamento fisso per diversi gruppi della società civile. Da anni nel mirino del governo russo, dall’etichetta di agente straniero all’arresto dei suoi collaboratori, Memorial quest’anno ha rischiato di non poter tenere la manifestazione di Mosca nel luogo consueto, di fronte alla Lubjanka, quartiere generale dei servizi segreti di ieri e di oggi. Dopo giorni di malumori e trattative con il sindaco di Mosca, la notizia: l’evento si terrà, come ogni 29 ottobre, davanti alla pietra delle isole Solovki, monumento sulla piazza della Lubjanka.

Le origini: la giornata dei prigionieri politici

Il 30 ottobre 1974, i prigionieri politici dei campi della Mordovia e della regione di Perm’, così come quelli della prigione di Vladimir, intrapresero uno sciopero della fame di un giorno, dichiarando il Giorno del prigioniero politico.

Da quell’anno, i prigionieri hanno ripetuto quello sciopero ogni 30 ottobre, chiedendo di umanizzare il regime e di concedere loro lo status di prigionieri politici. Il giorno del prigioniero politico è stato accompagnato da conferenze stampa, lettere aperte e dimostrazioni, i cui partecipanti sono stati puntualmente perseguitati dalle autorità. Il 30 ottobre 1990, gli attivisti di Memorial portarono a Mosca una pietra proveniente dal campo delle isole Solovki, un campo per scopi speciali all’interno del sistema Gulag. La pietra venne posata davanti alla Lubjanka, a memoria di tutte le vittime delle persecuzioni in epoca sovietica.

Nel 1991, il Soviet Supremo della RSFSR (Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa) decuse di mantenere il Giorno del prigioniero politico, tuttavia trasformandola nella Giornata in ricordo delle vittime della repressione politica.

La commemorazione si svolge nello stesso modo dal 2006: ogni partecipante è invitato a leggere una lista di diversi nomi (cognome, nome, patronimico del defunto, età al momento della morte, professione e data di esecuzione), a posare un fiore e una candela.

Una memoria non statalizzata

Quest’anno, per la prima volta, la manifestazione ha rischiato di non avvenire nel suo luogo originario. Stando alla motivazione ufficiale rilasciata dalle autorità moscovite, sulla piazza della Lubjanka c’erano alcuni lavori in corso, la sicurezza dei partecipanti non poteva essere garantita. Il sindaco ha dunque proposto agli attivisti di tenere l’evento davanti al muro del pianto, monumento in ricordo delle vittime inaugurato un anno fa alla presenza del presidente Putin.

Denis Volkov – sociologo al centro demoscopico Levada e intervistato da East Journal – ha ipotizzato un tentativo delle autorità di tenere la manifestazione sotto il proprio controllo. Volkov ricorda che questo tentativo non sarebbe il primo: “Un buon esempio di questa tendenza è l’iniziativa del Reggimento immortale: era nata come un’iniziativa dal basso, ma poi è stata praticamente sottratta agli organizzatori e inclusa nella retorica ufficiale del Giorno della vittoria [9 maggio, ndr], per darle ancora più legittimità”. Allo stesso modo, continua Volkov, le autorità hanno provato a trasferire l’evento del 29 ottobre presso un monumento inaugurato ufficialmente dalle autorità: un modo per appropriarsi della memoria collettiva e non dare spazio a narrazioni alternative e indipendenti, come quelle di un’iniziativa dal basso.

Anche se il cambio di nome in “Giornata in ricordo delle vittime delle repressioni politiche” toglie attualità al tema, quasi a negare che quel tipo di repressione esista tutt’oggi, il solo fatto che la manifestazione sia così partecipata, con la presenza di svariati gruppi per la difesa di diritti umani e civili, infonde forse una certa agitazione nel governo. In quell’edificio giallognolo, la Lubjanka, lavorano ancora i servizi segreti russi, che tutt’oggi non sembrano essersi differenziati troppo dalla loro versione sovietica e continuano a perseguitare le voci dissidenti. Ma non non c’è spazio, oggi, per questa riflessione: la discussione non deve essere attualizzata, tutto deve rimanere nella cornice di una commemorazione di qualcosa di passato, concluso. 

La manifestazione, alla fine, si terrà come d’abitudine. Secondo la giornalista russa Marija Železnova, sarebbe stato sconveniente per le autorità spostare l’evento. Data la volontà di molti attivisti di recarsi comunque sul luogo consueto, e l’usuale soppressione di manifestazioni non autorizzate, sarebbe stato “assolutamente da pazzi – commenta Železnova – se le camionette parcheggiate fuori della Lubjanka avessero portato via coloro che venivano a ricordare le persone che, al tempo, furono uccise dalla Lubjanka”. Sarebbe stato troppo, anche per i servizi segreti russi. La memoria di quegli eventi rimane dunque alla società civile, non può essere instituzionalizzata: è una piccola vittoria per la libertà di pensiero.

Foto: Getty Images

Chi è Maria Baldovin

Nata a Ivrea (TO) nel 1991, laureata in lingue e in studi sull’Est Europa. Per East Journal ha scritto prevalentemente di Russia, politiche di memoria e questioni di genere. È stata co-autrice del programma radiofonico "Kiosk" di Radio Beckwith

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