Summit di Sofia

BALCANI: Cosa ci dice il Summit di Sofia sull’allargamento dell’UE?

Lo scorso 17 maggio si è tenuto a Sofia il summit tra gli stati membri dell’Unione europea e i sei paesi dei Balcani occidentali. Nelle intenzioni della presidenza bulgara del Consiglio UE, il summit doveva servire a riaffermare l’impegno dell’Unione per la piena integrazione dei Balcani. Da questo punto di vista, il summit di Sofia è stato un fallimento. Quindici anni dopo il summit di Salonicco del 2003, gli stati membri dell’UE non hanno fatto altro che riconfermare la prospettiva europea dei Balcani occidentali. Nella dichiarazione finale del summit, l’allargamento dell’UE non è stato nemmeno menzionato.

La dichiarazione finale del summit di Sofia

Nella dichiarazione finale del summit di Sofia, i sei paesi dei Balcani occidentali hanno riaffermato il loro impegno nella promozione dei “valori e principi europei”, mentre le istituzioni e gli stati membri UE hanno dichiarato nuovamente il loro “inequivocabile sostegno alla prospettiva europea dei Balcani occidentali”. Per favorire l’avvicinamento dei paesi dei Balcani all’UE, quattro sono le novità più significative. Un’agenda digitale regionale che prevede l’abbassamento dei costi di roaming. La volontà di raddoppiare i fondi Erasmus per i giovani della regione. Una maggiore sostegno finanziario da parte dell’UE alla società civile e ai media indipendenti. Infine, l’ampliamento della cooperazione nell’ambito della sicurezza, della lotta al terrorismo, alla radicalizzazione e al traffico di migranti.

Nei vari punti della dichiarazione congiunta, non si fa riferimento alcunoall’allargamento dell’UE, né alla nuova strategia presentata a febbraio dalla Commissione che indicava nel 2025 una possibile data per l’integrazione dei capifila Serbia e Montenegro. Interrogata proprio su questo punto, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha escluso che il 2025 sia una data realistica per l’allargamento dell’Unione.

Ancora più frustrate sono state le ambizioni di Albania e Macedonia, le quali, dopo il via libera della Commissione, sono in attesa dell’assenso degli stati membri per avviare i negoziati di adesione. Ciononostante, sembra che a margine del summit importanti progressi siano stati fatti sull’asse Skopje – Atene per la risoluzione dell’annosa questione del nome. Alla prova dei fatti, un impegno maggiore degli stati membri dell’UE nei confronti dell’integrazione dei Balcani è stato rimandato a data da destinarsi. In questo senso, appare positiva l’intenzione della Croazia di ospitare nel 2020 il prossimo summit UE-Balcani occidentali.

Il punto sull’allargamento dell’UE

Le diplomazie dei maggiori stati membri dell’UE hanno lavorato alacremente per tenere fuori dall’agenda del summit di Sofia ogni riferimento all’allargamento. Tra queste pare si siano particolarmente distinte Francia e Spagna. La posizione della Francia, è stata ripetutamente espressa dal suo presidente Macron, che ha sottolineato la necessità di ancorare la regione dei Balcani all’UE, ma ha rifiutato per il momento ogni possibilità di allargamento a questa regione. In Spagna, invece, la corrente crisi catalana ha portato Madrid a minacciare di boicottare il summit a causa della partecipazione del Kosovo. Per queste ragioni, si è deciso di riferirsi ai sei paesi dei Balcani occidentali con il termine giuridicamente indefinito di “partners”. In generale, la Spagna non è mai stata una sostenitrice dell’allargamento a favore di paesi verso i quali rischia di perdere importanti fondi europei.

Sull’altro versante, a favore dell’allargamento, si trovano gli stati dell’Europa centro-orientale e gli altri stati limitrofi alla regione dei Balcani. Gli interessi di questi spaziano dalle possibilità in termini di approfondimento delle relazioni economiche, alla speranza degli attuali governi in Ungheria e Polonia di acquisire degli alleati nella loro corrente opposizione a Bruxelles.

Dell’ampliamento di questa frattura est-ovest fanno le spese proprio i paesi candidati. Ai diversi interessi degli stati membri, si aggiungono una serie di instabilità emerse negli ultimi anni. Temi come il dumping salariale generato dai lavoratori distaccati e dai lavoratori del settore dei trasporti dell’Europa centro-orientale, o le pressioni sullo stato sociale esercitato dallo spostamento dei lavoratori verso le economie dell’Europa nord-occidentale, hanno duramente intaccato il sostegno delle opinioni pubbliche europee verso nuovi allargamenti.

Ben conscia degl’interessi contrastanti degli stati membri e della necessità della loro approvazione per i passaggi cardine del processo di adesione, la Commissione ha recentemente tentato di avviare una discussione interna sull’allargamento ai Balcani. Nella nuova strategia presentata a febbraio, essa ha ripetutamente sottolineato i vantaggi economici e l’interesse strategico dell’integrazione dei Balcani. Tuttavia, per ora, il tentativo di rilanciare il ruolo geopolitico dell’Unione attraverso un impegno comune nell’integrazione dei Balcani non ha scaldato il cuore delle diverse capitali europee.

A differenza del precedente allargamento ai paesi dell’Europa centro-orientale, l’allargamento ai Balcani occidentali manca di una narrazione del momento storico-politico capace di superare gli interessi particolaristici degli stati membri. Per svariate ragioni, l’influente retorica della fine delle divisioni in Europa, del ritorno dei paesi dell’Europa centro-orientale nella comune casa europea, del trionfo del modello liberal-democratico non è più utilizzabile nel caso dei Balcani occidentali.

Inoltre, nell’allargamento all’Europa centro-orientale, la retorica del “ritorno all’Europa” era stata sviluppata al livello domestico e sostenuta al livello internazionale da una folta schiera di storici e intellettuali. Al giorno d’oggi, i paesi dei Balcani occidentali non sembrano in grado di produrre una retorica comune a favore della loro adesione, né di intercettare con essa il sostegno delle opinioni pubbliche dell’Unione.

Chi è Pierluca Merola

Nato a Roma, appassionato di Balcani e allargamento dell'UE, risiede a Bruxelles. Collabora con East Journal da Maggio 2016, per il quale narra di avvenimenti croati e balcanici. Parla correntemente inglese, francese e croato.

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Un commento

  1. Il problema non è la retorica comune ma, al solito, sono i soldi. Tutti in Europa per prendere i soldi che non hanno mai visto, per loro fortuna, salvo poi fare default per i soli interessi sul debito. Guardate ad est, per carità!

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