vittorio strada

In memoria di Vittorio Strada, il padre della slavistica italiana

di Claudia Bettiol e Martina Napolitano 

“Понимать Россию умом и любовью. Обязательно надо понимать и умом, иначе получается полная несуразица”. 

“Per capire la Russia servono ingegno e amore. L’ingegno serve davvero, se non vogliamo farne uscire un paradosso”.

Un grande filologo e critico letterario, il “padre della slavistica italiana”, ma prima di tutto un amante della Russia. Viene oggi ricordato così il professore Vittorio Strada dalle principali testate italiane e dalla stampa russa, dove è tuttora molto apprezzato. Eppure Vittorio, per molti slavisti e semplici appassionati di letteratura russa è stato qualcosa di più. Un fedele accompagnatore nella lettura, silenzioso e a tratti impercettibile nell’intento di non guastare il sapore di un’opera con prefazioni fastose, così tanto amate dai conoscitori che ricercavano ne “Il maestro e Margherita” o “L’Armata a cavallo” la penna giudiziosa del maestro. A sua volta un attento lettore, capace di rileggere i classici e ridarne chiavi di lettura nuove: il suo “Il problema di Delitto e castigo” pare aprire una nuova porta inaspettata nel corridoio delle interpretazioni, attraversata la quale vediamo davvero Raskol’nikov andare “ad uccidere come se andasse al supplizio” e percorrere poi un personale Golgota. Infine, studioso dal fine sguardo d’insieme, che ha saputo riassumere in breve “lo spazio romanzesco russo”: uno spazio dominato dalla “dimensione verticale“, dove lo sguardo si sposta sempre oltre, all’anima, al destino, agli ideali, alla missione, a Dio, al “sovrammondo simbolico-religioso” che riconosciamo senza difficoltà in ogni pagina di Tolstoj (V. Strada, “Per una teoria del romanzo russo”).

Un uomo che si è avvicinato quasi per caso alla cultura russa, all’età di soli dodici anni, nel burrascoso 1941, leggendo uno dei tomi più corposi della letteratura ottocentesca: “I fratelli Karamazov” di Fedor Dostojevskij. Certo, un bambino non può cogliere tutta la filosofia presente in quell’opera, né tanto meno capirne fino in fondo il peso delle parole o i velati riferimenti culturali e politici di quel paese “esotico”. Ma al fato non si scampa.

Vittorio sembrava destinato a legarsi a questo mondo allora sconosciuto in Europa Occidentale: la storia della rivoluzione bolscevica e le teorie di Lenin, allora tanto studiate negli anni della sinistra forte in Italia, lo portano a scegliere un tema complesso per la sua tesi di laurea, intitolata “Aspetti del materialismo dialettico sovietico. La problematica teoretica negli ultimi dieci anni di filosofia in URSS”. Grazie alla sua determinazione e all’appoggio del suo relatore e filosofo Antonio Banfi, che Vittorio ha sempre stimato, vince un dottorato di ricerca presso la facoltà di filologia dell’Università statale di Mosca, dove si cimenta nello studio approfondito della lingua russa e si immerge nella vita sovietica a lungo sognata.

Quattro anni intensi, tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, in pieno disgelo chruščëviano, che gli regalano la gioia di comunicare con i più noti intellettuali e dissidenti dell’epoca, diventando amico di Aleksandr Solženicyn e Boris Pasternak. Intraprende, quindi, la dura lotta con gli editori italiani per la pubblicazione del romanzo “Il dottor Živago”, rendendosi poco gradito agli alti funzionari del regime che lo accusano di “revisionismo” antisovietico. Il romanzo era stato infatti portato illegalmente in Italia grazie all’aiuto del giornalista Sergio D’Angelo (della particolare storia della pubblicazione de “Il dottor Živago”, abbiamo parlato qui), ma il partito comunista premeva perché Feltrinelli non pubblicasse l’opera. Fu Vittorio Strada a insistere, sottolineando quanto per l’amico Pasternak quello fosse “il libro della vita”.

Nel frattempo, Strada continua ad occuparsi di Russia, dividendosi tra l’Italia, dove diventerà docente di lingua e letteratura russa a Ca’ Foscari, e la sua nuova patria (dove nel frattempo aveva anche trovato l’amore in una ragazza siberiana, Clara).

Il ricordo di un uomo scrupoloso e serio, dai modi gentili e sempre aperto al dialogo, un intellettuale in grado di trasmettere in maniera chiara concetti e pensieri di una cultura così vicina, ma altrettanto lontana. Una guida che ha permesso a grandi autori di diventare celebri in tutto il mondo e a piccoli studenti di districarsi fra le retoriche complesse di una realtà ricca di contraddizione e diatribe. Vittorio Strada si è spento così il 30 aprile 2018, a 88 anni.

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