«Quando è arrivata la notizia della morte di Ján, poco dopo le 7 di mattina, sono rimasto scioccato, non riuscivo a crederci. Ho voluto pensare che si trattasse di un errore o di una coincidenza, che si sbagliassero, che la vittima non fosse proprio il “nostro” Ján. Ma poi mi ha contattato la polizia; in quel momento il mondo mi è crollato addosso».
Peter Bardy, direttore di Aktuality.sk, ricorda così la mattina del 26 febbraio, quando ricevette la telefonata che lo informava della morte di uno dei suoi giornalisti, Ján Kuciak e della fidanzata, Martina Kušnírová. Uccisi, domenica 25 febbraio, nel loro appartamento a Veľká Mača, a pochi mesi dalle nozze.
L’intervista a Peter Bardy
Secondo lei, perché Ján e la sua fidanzata sono stati uccisi?
«Non lo so. Secondo la polizia, il duplice omicidio è legato al lavoro di Ján. Aveva condotto numerose inchieste relative ai gruppi criminali attivi nel paese e a diversi casi di corruzione in Slovacchia. Se questa fosse effettivamente la vera ragione, sono sicuro che Ján e la sua ragazza sono vittime della corruzione».
A chi avevano dato fastidio le indagini di Ján?
«A molte persone: politici, mafiosi e ai membri della criminalità organizzata in generale».
Chi era Ján?
«Era un giornalista umile, intelligente, laborioso e di grande talento. Lo definirei uno degli “architetti” del giornalismo investigativo moderno. Il suo lavoro non ha portato alla luce fatti nuovi; Ján lavorava con dati e fonti noti a tutti. Quello per cui era davvero fenomenale era costruire le connessioni tra fatti ed eventi sotto agli occhi di chiunque. Lo paragonerei a Steve Jobs, che ha preso più tecnologie esistenti, le ha messe insieme e ha poi creato lo smartphone perfetto.
È già passato un mese dall’omicidio di Ján, ma la tristezza è ancora tanta. Per noi non era solo un giornalista o un collega. Era un nostro amico».
Lei e i suoi colleghi vi sentite minacciati?
«Non posso mentire sul fatto che abbiamo tutti paura. Fino a lunedì 26 febbraio non avrei mai immaginato che qualcuno potesse uccidere un giornalista qui in Slovacchia. Non siamo in Afghanistan, Iraq o Siria, dove i reporter corrono il rischio di venire uccisi. Ero convinto di vivere in un paese democratico, membro dell’Unione europea, dove i giornalisti sono protetti, dove sono garantite le condizioni affinché possano portare avanti il loro lavoro, le loro inchieste, senza venire brutalmente eliminati».
La criminalità organizzata, in Slovacchia, è davvero così potente?
«Non avevamo molte informazioni sui gruppi criminali internazionali prima delle indagini di Ján. Secondo le nostre fonti, in Slovacchia esistono gruppi criminali organizzati provenienti da Albania, Serbia, Kosovo, Russia, Ucraina. Ma certamente nessuno poteva sapere o immaginare che fossero così potenti. Ora, anche grazie al lavoro di Ján, abbiamo maggiori informazioni».
Accuse di corruzione, manifestazioni di piazza e dimissioni del premier. Che cosa sta succedendo in Slovacchia?
«Avremo presto un nuovo governo. Due esponenti dell’esecutivo – il primo ministro Robert Fico e il ministro degli Interni Robert Kaliňak –, coinvolti nelle indagini di Kuciak, si sono dimessi, pur negando ogni connessione con l’omicidio. Dimissioni cui sono stati costretti dopo un’imponente manifestazione di piazza, la più grande dal 1989, dai tempi della “rivoluzione di velluto”. Speriamo di poter cambiare il nostro modo di pensare, il nostro futuro. Nessuno vuole vivere in un paese dove la corruzione dilaga».
Un pool internazionale di giornalisti per proseguire il lavoro di Ján
Lo scorso 6 marzo, un gruppo di giornalisti investigativi slovacchi, insieme ad altri reporter provenienti da Svizzera, Repubblica Ceca, Polonia e Germania, si è riunito – per la prima volta – nella redazione di Aktuality.sk, dove Ján lavorava. Appunti e documenti alla mano, si sono messi al lavoro. Con un unico obiettivo: portare a termine l’inchiesta di Kuciak, iniziata e mai conclusa.
Le testate coinvolte sono Aktuality.sk, Sme, Denník N, Hospodárske Noviny, Nový Čas dailies, Trend Weekly, il sito Postoj, RTVS, Markíza, insieme a: Swiss Blic, Polish Onet, la radio pubblica ceca Český Rozhlas e il tedesco Die Welt.
Foto tratta da Twitter
Due parole dopo lo shock. E’la libera circolazione delle persone e del nefasto denaro, in una parola “liberismo”, a produrre questi tragici fatti! C’è da pensarci, se si vuole un’Europa più libera ma anche più sicura. Con lo sguardo rivolto ad est(Putin) e le spalle ad ovest(Trump), dovremmo stare tutti più tranquilli.