Kosovo

KOSOVO: I primi dieci anni da stato indipendente

Il Kosovo si prepara a festeggiare i dieci anni dalla dichiarazione d’indipendenza. Un decennio è difatti trascorso da quel 17 febbraio 2008, giorno nel quale il parlamento di Pristina dichiarava solennemente il Kosovo uno stato sovrano. Le principali città del paese sono addobbate a festa e sono in programma concerti e manifestazioni. Dieci anni di vita sono un traguardo importante, ma, soprattutto, sono un momento per rileggere il percorso compiuto e per prepararsi alle sfide future.

Il Kosovo del 2008

Il Kosovo del 2008 veniva da quasi nove anni di supervisione internazionale, imposta al termine del conflitto del 1998-99 tra la Serbia di Slobodan Milošević e l’Esercito di Liberazione del Kosovo (UÇK), sostenuto in modo decisivo dalla NATO. Un conflitto scoppiato al culmine di un decennio di oppressione orchestrata dal governo di Belgrado contro i cittadini di etnia albanese, la grande maggioranza dell’allora provincia serba. Se all’inizio la presenza internazionale era stata salutata positivamente, però, con il passare degli anni era cresciuto il risentimento della popolazione verso una condizione di limbo indecifrabile. Una insoddisfazione che, fallita ogni mediazione tra gli Stati Uniti, garanti di Pristina, e la Russia, schierata a difesa degli interessi della Serbia, portò alla dichiarazione unilaterale d’indipendenza.

Le sfide internazionali

In questi dieci anni, il Kosovo ha dovuto prima di tutto lottare per affermarsi sullo scenario internazionale. Dopo i fulminei riconoscimenti degli Stati Uniti e dei suoi alleati, negli anni il numero dei paesi che hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo è cresciuto con una certa lentezza. Ad oggi, il Kosovo risulta riconosciuto da 111 paesi membri delle Nazioni Unite. A pesare, però, è soprattutto l’opposizione della Russia e della Cina: fino a che ci sarà il loro veto, il Kosovo non potrà entrare nell’ONU.

Difficoltà simili si riscontrano nei rapporti con l’Unione europea, dato che ben cinque paesi membri si rifiutano di riconoscere l’indipendenza del Kosovo. Qui il problema, però, non è tanto il rischio di un veto, quanto, da un lato, il rallentamento del processo di allargamento dell’Unione, dall’altro, le riforme che Pristina deve intraprendere per avvicinarsi agli standard europei. Come confermato nella recente strategia per l’allargamento, i tempi saranno lunghi.

Quello che certamente il Kosovo deve evitare sono mosse in grado di destabilizzare i rapporti con i partner occidentali: i recenti attacchi di diversi politici kosovari contro la Corte speciale per i crimini dell’UÇK, l’organo istituito per perseguire i crimini commessi dalla guerriglia albanese durante il conflitto, hanno indispettito Bruxelles e Washington. Ulteriori polemiche su questo argomento rischiano di peggiorare l’immagine esterna del paese.

Il rapporto con la Serbia

Sempre in chiave di rapporti esterni, il dialogo intrapreso con la Serbia è sicuramente una delle principali novità di questi dieci anni. L’accettazione del governo serbo di sedere al tavolo con i vertici kosovari è stata già di per sé una presa d’atto di Belgrado sulla evidente impossibilità di governare la sua ex-provincia. Soprattutto, i negoziati hanno generato accordi poi tramutati in politiche concrete: dai diplomi universitari alle targhe delle auto, dal codice telefonico per il Kosovo all’integrazione di cittadini serbi nella polizia. Molto significativa è stata anche la partecipazione dei serbi alle elezioni kosovare, ponendo fine ad un duro boicottaggio.

Su questo fronte, però, non mancano le criticità. L’integrazione dei serbi del Kosovo è un processo strettamente controllato dal governo di Belgrado, che non lascia alcuna autonomia alla comunità locale. Una situazione che ha risvolti negativi non solo in termini di partecipazione democratica, ma anche di sicurezza, come dimostra la recente uccisione del leader politico Oliver Ivanović. Nel complesso, inoltre, non si è promosso lo sviluppo del dialogo tra cittadini di etnia serba ed etnia albanese, che, soprattutto al nord, rimane a livelli minimi.

Certamente poco è stato fatto da parte del governo kosovaro, che ancora deve costituire l’Associazione delle Municipalità a maggioranza serba, che garantirebbe delle importanti autonomie alla comunità serba. Per quanto al momento vige uno stallo, la volontà del presidente della Serbia Aleksandar Vučić di elaborare una proposta di soluzione definitiva alla questione del Kosovo lascia sperare che si possano a breve compiere dei passi avanti.

La libertà di viaggiare

Sul piano internazionale, l’urgenza più sentita dai cittadini è sicuramente la liberalizzazione dei visti. Il Kosovo, difatti, è rimasto l’unico paese in Europa, insieme a Russia e Bielorussia, che necessita di un regime di visti per entrare nell’area Schengen. Una condizione che rende particolarmente complesso per i kosovari poter viaggiare all’estero.

A bloccare questa situazione è la mancata ratifica dell’accordo per la demarcazione dei confini con il Montenegro, imposta da Bruxelles come condizione necessaria. Nonostante l’intesa con Podgorica era stata trovata, la forte opposizione da parte di diverse forze politiche, secondo le quali l’accordo fa perdere al Kosovo alcuni territori di confine, rende impossibile la ratifica da parte del parlamento di Pristina.

Il lavoro

Alle questioni internazionali, si aggiungono urgenti problematiche di natura interna. La principale ha un nome e cognome: mancanza di lavoro. Per quanto le statistiche mostrano una costante crescita del PIL, nell’economia reale i risultati si faticano ad intravedere. Come dieci anni fa, la maggior parte delle famiglie dipende dalle rimesse della diaspora, mentre le attività economiche devono spesso fare affidamento su aiuti internazionali.

La fascia di persone che non lavora è altissima, mentre chi lavora deve accontentarsi di stipendi minimi, raramente superiori ai 300 euro mensili. La situazione è particolarmente drammatica per quanto riguarda i giovani, dato che più del 50% di loro è senza lavoro. Più dei numeri, però, preoccupano le prospettive: tanti, troppi giovani hanno come unica aspirazione quella di lasciare il paese.

La corruzione e la criminalità

Il problema del lavoro va di pari passo con due fenomeni che in questi dieci anni non sembrano aver subito alcun rallentamento. Si tratta della corruzione e della criminalità organizzata. La corruzione pervade il paese ad ogni livello, e, nonostante le pressioni della comunità internazionale, ben poco è stato fatto da parte di una leadership politica spesso collusa.

Altrettanto debole è stata la lotta alla criminalità organizzata, dato che il Kosovo rimane al centro di diversi traffici, dalla droga alle armi alla prostituzione. Fino a che non si prenderanno serie iniziative su questo fronte, i risultati della crescita economica saranno invisibili.

Il futuro

Le sfide elencate non devono, di per sé, spaventare. Quelle che si trova davanti il Kosovo, d’altronde, non sono così differenti da quelle dei vicini: è tutta la regione balcanica a confrontarsi con assenza di lavoro, emigrazione dei giovani, corruzione, criminalità, rapporti inter-etnici. Questo va evidenziato per smentire chi utilizza la lista dei problemi per definire il Kosovo uno stato fallito, spesso sottintendendo una contrarietà alla sua indipendenza. Il Kosovo non è uno stato fallito, è uno stato che deve fare molto di più per i propri cittadini.

Proprio qui è il nodo: l’anniversario dei dieci anni deve essere un’occasione per un cambio di passo. Un cambio di passo prima di tutto delle istituzioni, dato che qui ricade la responsabilità di portare avanti le riforme; ma, alla luce di una classe politica che appare interessata soprattutto a mantenere il potere, un cambio di passo ci deve essere anche a livello di società, inteso come maggiore impegno ed interesse dei cittadini verso argomenti di rilevanza pubblica. Solo se questo accadrà, il decennale dell’indipendenza, da mera celebrazione, diverrà la base per dei reali successi.

Chi è Riccardo Celeghini

Laureato in Relazioni Internazionali presso la facoltà di Scienze Politiche dell'Università Roma Tre, con una tesi sui conflitti etnici e i processi di democratizzazione nei Balcani occidentali. Ha avuto esperienze lavorative in Albania, in Croazia e in Kosovo, dove attualmente vive e lavora. E' nato nel 1989 a Roma. Parla inglese, serbo-croato e albanese.

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