Una delle quattro regioni storiche della Lettonia, il Latgale (Letgallia in italiano) si trova alla frontiera tra il mondo baltico e quello slavo. Situata nell’est del paese, a nord del fiume Daugava, la regione confina a est con la Russia, a sud con Bielorussia e Lituania. Nota ai più come “la regione più russa d’Europa”, a causa dell’elevato numero di russofoni residenti nel suo territorio, il Latgale cela una realtà storica e sociale ben più complessa.
Una storia anomala
Storicamente popolata dalla tribù baltica dei letgalli (detti anche lettoni orientali), la regione conobbe sviluppi in parte diversi da quella della Lettonia, soprattutto in epoca moderna. Mentre gran parte della Livonia, Riga compresa, venne ceduta alla Svezia nel 1621, il Latgale rimase parte della Confederazione polacco-lituana e nel 1772 venne annesso all’impero russo. Per circa trecento anni, il Latgale fu quindi separato dal resto della Lettonia e i letgalli vissero un periodo “buio”, non godendo di alcun diritto linguistico o culturale sul proprio territorio, nonché di arretratezza economica.
Tuttavia, questo periodo fu cruciale poiché permise al Latgale di sviluppare una mentalità e una cultura proprie, una forte fede cattolica (che coesisteva con l’ebraismo e l’ortodossia) – in contrasto col protestantesimo dominante nel resto del paese, così come una lingua evolutasi diversamente dal lettone. Influenzata dal polacco, la lingua letgalla diede vita ad una tradizione letteraria basata sull’alfabeto latino, mentre nel resto della Livonia veniva usato il gotico. Con la russificazione imposta dalla metà del XIX secolo, l’uso dell’alfabeto latino venne però vietato, e con esso ogni forma di espressione scritta del letgallo.
Al Congresso di Rezekne tenutosi nel maggio 1917, la maggioranza dei nazionalisti letgalli votò per la riunificazione con la Lettonia, nonostante altri sostenessero l’idea di un Latgale autonomo all’interno della Russia. Nei primi anni di esistenza della Repubblica lettone, il Latagale fu la sola regione a godere di una forte autonomia governativa e culturale. Ma a partire dal 1934 il regime autoritario di Karl Ulmanis soppresse le rivendicazioni della regione all’interno di un monolitico nazionalismo lettone.
L’occupazione nazista e poi quella sovietica determinarono importanti cambiamenti territoriali, e soprattutto linguistico-demografici. In particolare, l’arrivo massiccio in Lettonia di lavoratori e altri migranti russofoni, conseguenza delle politiche migratorie sovietiche, che si stabilirono principalmente nella capitale e nel Latgale, nei poli urbani di Daugavpils e Rezekne. Inoltre, a partire dagli anni ‘30 le politiche linguistiche sovietiche vietarono de facto l’uso della lingua letgalla, a favore di un (asimmetrico) bilinguismo lettone-russo.
I russi del Latgale
La presenza russa e russofona nel Latgale è però ben più antica di quel che si pensi. I primi russofoni si stabilirono permanentemente nella regione (e successivamente nel resto della Lettonia) già nel 1660, quando le riforme del patriarca Nikon generarono uno scisma all’interno della Chiesa ortodossa russa. Migliaia di credenti che rifiutavano le nuove pratiche liturgiche furono costretti a lasciare la Russia per sfuggire alle persecuzioni e si rifugiarono al di là delle frontiere, anche nel Latgale.
A differenza di molti dei russofoni “sovietici”, i Vecchi credenti (nel 2010 circa 70.000 in Lettonia) rappresentano una minoranza perfettamente integrata nel tessuto sociale lettone. Dopo il crollo dell’URSS e la restaurazione dell’indipendenza, i Vecchi credenti ottennero automaticamente la cittadinanza della Lettonia. Essi stessi si definiscono “leali allo stato lettone, patrioti”, ma contemporaneamente “di madrelingua e cultura russa [1]”.
Nel Latgale, zona di contatto, le relazioni tra lettoni e russofoni si sono sviluppate in maniera molto più fluida e tollerante che nel resto della Lettonia. Il ruolo specifico che la regione ha avuto nel dar forma a questi rapporti costituisce una certa “anomalia” del Latgale. Ad esempio, i Vecchi credenti si considerano una “popolazione indigena” e dei “mediatori”: dimostrando che la convivenza tra lettoni e russofoni è possibile, la loro presenza tricentenaria sul territorio avrebbe aiutato ad attenuare i conflitti legati alle politiche statali sulla cittadinanza e la lingua introdotte negli anni novanta [2].
Oggi, lo “spettro” del separatismo tra Riga e Mosca
Oggi il Latgale è una delle regioni più povere dell’Unione Europea. Secondo il censimento del 2011, la popolazione si aggira intorno ai 300.000 abitanti, di cui i lettoni costituiscono solo il 46%, seguiti da russi (38,9%), polacchi, bielorussi, ucraini e lituani. La lingua letgalla viene usata quotidianamente dal 35% degli abitanti in Latgale, e dall’8% della popolazione dell’intero paese.
Ma in una Lettonia ossessionata dal monolinguismo di stato non c’è spazio per i particolarismi: il letgallo è considerato alla stregua di una variante regionale del lettone. Sebbene non ci siano restrizioni sull’uso, parte della popolazione vorrebbe che Riga riconoscesse formalmente il diritto del Latgale a preservare e sviluppare la lingua e la cultura che le sono proprie. Qualcosa che probabilmente non accadrà mai, poiché il riconoscimento del letgallo come lingua regionale potrebbe creare un pericoloso precedente ed aprire la strada alle rivendicazioni dei russofoni.
Ed è proprio questo il nodo fondamentale della “questione” letgalla: pur considerandosi lettoni a pieno titolo e patrioti, i letgalli che rivendicano la propria identità sono accusati di separatismo e di slealtà nei confronti della Lettonia. E addirittura di giocare a favore dei russi poiché “il riconoscimento del letgallo come lingua diversa dal lettone comporterebbe una diminuzione del numero di parlanti della lingua nazionale – favorendo la ‘russificazione’ del Latgale”. Non a caso si è già parlato di una “Crimea lettone”; ma se a Riga fa comodo ignorare le richieste dei letgalli sventolando lo spauracchio della Russia, questo discorso è un’arma a doppio taglio su cui giocano anche le organizzazioni russofone radicali. Dopo il fallimento del referendum sulla lingua russa del 2012, queste hanno infatti iniziato a propagandare l’idea di un Latgale autonomo, includendo l’attivismo regionale nella propria retorica.
Nel frattempo, altri attivisti letgalli cercano di distanziarsi da tali posizioni e dai russofoni in generale – paradossalmente cadendo nell’emulazione del nazionalismo lettone – invece di cercare rivendicazioni comuni. Non si parla ovviamente di separatismo, ma del riconoscimento formale che identità plurime possono esistere e coesistere – non solo in una regione di confine, ma anche nel resto di un paese che si protegge dietro un illusorio paravento di uniformità linguistica e culturale.
[1] [2] intervista dell’autrice a Illarion Ivanov, presidente della Comunità dei Vecchi Credenti di Riga (Riga, aprile 2015).