La Rivoluzione del 1917 aveva (anche) volto di donna

Restano ancora oggi in disparte, le donne della rivoluzione russa, nella narrazione del 1917. Eppure in disparte certo non erano: anche grazie a loro la Russia vive la rivoluzione, introduce il suffragio universale, pari diritti ed alcune forme di socializzazione del lavoro domestico.

La Rivoluzione di febbraio: una rivolta dal volto di donna

A differenza della presa del Palazzo d’Inverno dell’Ottobre – evento poi celebrato come l’autentica Rivoluzione, ma che, per molti aspetti, fu più simile ad un moderno e tutto sommato pacifico coup d’etat – la Rivoluzione del Febbraio  fu teatro di veri sommovimenti di piazza. Il 23 febbraio (8 marzo) in occasione del Giorno Internazionale della Donna, gli scioperi che erano stati a partire da gennaio solo sparsi e scoordinati, per quanto imponenti, si trasformarono in una vera e propria insurrezione contro il governo zarista. Le operaie scese in piazza, vere e proprie protagoniste della rivolta, chiedevano miglioramenti delle condizioni di vita e lavoro ed il ritorno degli uomini dal fronte. Proprio la guerra, che aveva privato di mariti e figli, offrì alle donne la possibilità di far sentire la propria voce: erano vedove di guerra molte delle rivoluzionarie bolsceviche, esempio di attivismo politico e sociale al femminile.

Il femminismo marxista delle rivoluzionarie russe

In Russia il femminismo si orientò subito, sulla scia dei sommovimenti dell’epoca, verso un cosiddetto “femminismo marxista” che introduceva nel discorso di critica all’impianto economico anche la condizione di disuguaglianza della donna. La rivoluzione proletaria per queste femministe sarebbe stato l’unico mezzo per l’ottenimento della libertà femminile. E così, sulla spinta idealista dei primi tempi rivoluzionari, effettivamente fu: tra 1917 e 1920 vennero introdotti il suffragio universale, l’uguaglianza davanti alla legge, il diritto al divorzio e il diritto di aborto libero e legale. Diritti “essenziali per dare la possibilità alle donne di diventare indipendenti da istituzioni patriarcali come la Chiesa ortodossa e le altre autorità religiose, e dal controllo dei loro padri e mariti”, sostiene  la storica Wendy Z. Goldman, autrice di Women, the State and Revolution: Soviet Family Policy and Social Life, 1917-1936 (Cambridge University Press, 1993) e Women at the Gates: Gender and Industry in Stalin’s Russia Women (Cambridge University Press, 2002). Anche le politiche di socializzazione del lavoro domestico andavano in questa direzione: le mense, le lavanderie pubbliche, gli asili, oggetto del piano idealistico dei bolscevichi, intendevano permettere alla donna di godere del tempo libero e sviluppare se stessa su una base di parità con gli uomini.

I nomi noti: Nadežda Krupskaja e Aleksandra Kollontaj

Krupskaja, purtroppo spesso relegata nella narrazione come “moglie di Lenin”, fu un’attivissima rivoluzionaria bolscevica. Incontrò il futuro marito nel 1894 proprio in un circolo marxista e nel 1905 divenne segretario della fazione bolscevica del Partito Operaio. Dopo il 1917 lavorò alacremente al fianco di Lunačarskij al Commissariato per l’Istruzione. Convinta della necessità di dialogare con le donne, dalle pagine del giornale Rabotnica (lett., L’operaia) Krupskaja cercava di diffondere tra le lettrici i propri ideali marcatamente femministi.

È proprio grazie a Kollontaj, prima donna al mondo ministro (più precisamente, secondo la terminologia rivoluzionaria, Commissario del popolo per l’Assistenza Sociale) e ambasciatrice, che nei primi anni dopo il 1917 la Russia introduce i diritti fondamentali per la donna, compreso il riconoscimento di un salario pari a quello degli uomini. Tuttavia, sostiene la studiosa Katy Turton, “alla sua figura sono legati alcuni stereotipi. Se a Nadežda Krupskaja è dato il ruolo di moglie di Lenin, Aleksandra Kollontaj è considerata una donna dalle molte avventure amorose”.

Nomi meno noti: Marija Bočkareva, Marija Spiridonova, Ekaterina Breškovskaja

Bočkareva “ha modificato l’idea di quello che si riteneva potessero essere capaci le donne”, afferma Sarah Badcock dell’università di Nottingham. Questa rivoluzionaria, con la concessione dell’ultimo zar Nicola II, fu addirittura soldato nell’esercito zarista nella prima guerra mondiale:  vi si distinse particolarmente e venne promossa sottufficiale. Creò successivamente anche il primo “battaglione della morte” interamente femminile, facendo vergognare gli uomini “incapaci di lottare per il paese”, come recitavano i suoi slogan. Bočkareva, contadina della siberiana campagna di Tomsk, trovò nella rivoluzione il suo spazio, così come Spiridonova, grande oratrice delle masse contadine, operaie e tra i soldati, ma anche tra i primi a denunciare i bolscevichi come traditori degli ideali rivoluzionari. Con lei anche Breškovskaja, la cosiddetta “Babuška (nonna) della rivoluzione”, uno dei leader del partito Socialista Rivoluzionario (gli “esery”, dalla sigla SR). Insoddisfatta dei bolscevichi, lasciò la Russia nel 1918. “Se piaci a Breškovskaja, allora sei un vero rivoluzionario”, dicevano i suoi contemporanei.

LEGGI ANCHE: Russia, l’emancipazione sempre mancata della donna, di Vittorio Filippi

Chi è Martina Napolitano

Dottoressa di ricerca in Slavistica presso l'Università di Udine, è direttrice editoriale di East Journal e scrive principalmente di Russia.

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