BOSNIA: In arrivo altri fondi europei. Per dissinescare le mine oppure un nuovo conflitto?

 di Giacomo Corticelli

La Commissione Europea ha recentemente stanziato circa 5,5 milioni di euro per i paesi che, si auspica, entreranno nell’Unione, con tempi e modalita’ differenti. Metà della cifra sarà destinata alla Turchia. Si divideranno il resto Croazia, Serbia, Bosnia Erzegovina, Macedonia, Albania, Kosovo e Islanda.

La misura economica si aggiunge alle molte altre intraprese dall’Unione Europea tramite diversi canali e istituzioni. Lo scopo ufficiale dei finanziamenti, in vista dell’ingresso dei suddetti paesi nell’Unione, è rafforzare le relazioni multilaterali tra Unione, Balcani e Turchia. Bruxelles prevede di riuscire a rafforzare la governance, le condizioni sociali, le prospettive economiche e in generale migliorare della vita quotidiana dei cittadini. Il caso della Bosnia Erzegovina dimostra però quanto lavoro resti da fare.

Made in UE. Enormi quantità di denaro sono piovute in Bosnia dopo gli accordi di Dayton, sia per favorire la necessaria stabilità della regione, sia per emendare un notevole senso di colpa. I finanzamenti, infatti, provenivano in larga misura dall’Unione Europea, i cui paesi membri furono in buona parte corresponsabili di alcuni dei peggiori macelli balcanici a causa di una politica estera non-interventista o, meglio, tardo-interventista dovuta a un differente rapporto con i paesi della regione. L’impasse si creò a causa della rivalità tra gli “amici” dei croati, come l’Austria, “amici” dei serbi, come la Francia, “amici” di entrambi, come la Germania o l’Italia. Prendere una decisione interventista, considerando anche il resto della comunità internazionale, Russia e USA in testa, era quasi impossibile.

Anche per questo, durante il conflitto, ci si limitò ai soli aiuti umanitari. Nel caso della Bosnia Erzegovina, poi, la valanga di fondi stanziati dal 1995 fino al 2000, non ha contribuito al miglioramento del paese, oppure ha lasciato tracce quasi invisibili. Paesi coinvolti nel conflitto, ma che hanno ricevuto molto meno in termini monetari, come Serbia e Croazia, sono oggi avanzati in molti settori. La Bosnia resta con un tasso di disoccupazione superiore al 40% e senza margini di crescita. Questo dimostra come il denaro non sia la chiave di volta per contribuire allo sviluppo di un paese se non è canalizzato da una chiara strategia nel lungo periodo.

Media e UE. I nuovi fondi 2011 della Commissione andranno ancora, ma non solo, in direzione dello sviluppo dei media indipendenti. In effetti, alcuni di essi soffrivano recentemente di forti difficoltà di autosostentamento, sopratutto dal 2000, quando l’emergenza é stata considerata (a livello internazionale) tecnicamente conclusa. E’ però doveroso sottolineare l’incoerenza della comunità internazionale nel settore dell’informazione in Bosnia. Infatti in una prima fase nel dopoguerra si erano largamente sostenuti i media indipendenti: cosicché nel 2001 la Bosnia si trovò ad avere ben 210 stazioni radio per una popolazione di circa 4 milioni di abitanti. L’obiettivo di avere una pluralità nel mondo dell’informazione si poteva dire raggiunto, fin troppo. Risultato fu che ogni comunità etnica poteva vantare di enormi mezzi per propagandare la propria visione nazionalistica. Dal 1998 sono stati incoraggiati grandi network internazionali e si stabilirono le prime sanzioni ai media piu estremisti. Boro Kontić, direttore di Media.ba, portale di informazione indipendente bosniaco, ebbe però a dichiarare che “la comunità internazionale ha certo agito con buone intenzioni, ma ha sottovalutato la cultura esistente nella regione e le conseguenze del conflitto balcanico”. La cristallizzazione delle posizioni estreme é infatti coincisa con l’allentarsi della presenza internazionale nella regione, ovvero dopo il 2000. Una volta tagliati i fondi, ognuno ha ripreso la propria strada verso la propria etnia di appartenenza, a scapito dell’unità nazionale nonché di una pacificazione duratura

Mine e UE. Altra questione scottante é rappresentata dalle mine antiuomo. Secondo un comunicato pubblicato dalla Commissione il 4 aprile scorso, il paese ha ricevuto per l’ennesima volta una quantità ingente di finanziamenti diretti al Mine Action Centre, che lavora dal dopoguerra per uno stato mine free. Dagli accordi di Dayton ne sono già passati sedici, e il 3% del territorio è ancora disseminato di mine. E’ triste ricordare come le “armi vigliacche” per eccellenza, che ancora giaciono inesplose in territorio bosniaco, siano state in larga parte prodotte in Europa, come ricorda anche il noto film “No man’s land”.

Vero che, dopo la convenzione di Ottawa, le mine antiuomo sono state bandite dal territorio europeo. Vero anche che la Polonia non ha ancora ratificato il trattato e quindi le può ancora vendere, nonostante le dichiarazioni ufficiali. Vero pure che tra i paesi non firmatari, ci sono i maggiori partner commerciali dell’Unione, quali USA, Israele, Russia, Cina, India e Marocco. Quindi, in caso di necessità, non mancherebbero “amici” capaci di produrre mine aggirando i divieti di Bruxelles. Altresi vero che il Trattato di Ottawa non prevede divieti per le mine anticarro. E folle sarebbe pensare che queste armi non uccidano civili. Basta dare uno sguardo alla cronaca afghana o irachena per capire quanto la differenza sia minima in termini di morte e di impossibilità di sviluppo economico e sociale.

Un consulente politico dell’Unione Europea, che ovviamente non può essere citato, ha recentemente affermato che: “noi abbiamo fatto molto per mantenere la pace durante questi ultimi sedici anni, ma nulla presuppone che un nuovo conflitto possa oggi travolgere la regione”. Sono forse da cercare in queste parole le vere ragioni dell’invio di nuovi fondi da Bruxelles a Sarajevo?

Chi è redazione

East Journal nasce il 15 marzo 2010, dal 2011 è testata registrata. La redazione è composta da giovani ricercatori e giornalisti, coadiuvati da reporter d'esperienza, storici e accademici. Gli articoli a firma di "redazione" sono pubblicati e curati dalla redazione, scritti a più mani o da collaboratori esterni (in tal caso il nome dell'autore è indicato nel corpo del testo), oppure da autori che hanno scelto l'anonimato.

Leggi anche

Vareš

BOSNIA ERZEGOVINA: Ripartono i lavori alla miniera d’oro di Vareš

L’area balcanica è ricca di risorse naturali, si sa. Fiumi e bacini d’acqua, foreste, biodiversità, …

2 commenti

  1. Molto interessante, bisognerebbe approfondire gli obiettivi prioritari di questi fondi IPA-2, e i trend di allocazione per ciascun paese, così come i diversi livelli di assorbimento.

  2. e se lo dice il nostro bosnista, Giacomo… all’opera 🙂
    Personalmente non ho capito di che si parla. Chi spiega a me e ai nostri lettori che sono i fondi Ipa?

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com