SIRIA: La nuova base militare della Russia è un regalo ai curdi siriani

SIRIA: La nuova base militare della Russia è un regalo ai curdi siriani

La Russia avrà una nuova base militare in Siria. E per la prima volta in un territorio che non è sotto il controllo del regime di Assad. Lo ha annunciato il 20 marzo Rêdur Xelîl, portavoce della forza curda YPG legata al partito PYD. Finora i russi potevano contare sulla base navale storica di Tartus, usata da Mosca fin dagli anni ’70 e affacciata sul Mediterraneo, e su quella più recente di Khmeimim, da cui partono i caccia russi per i bombardamenti nel paese. Entrambe strutture permanenti, concesse da Assad per 49 anni lo scorso gennaio. Tra breve ne sorgerà una terza nel cantone curdo di Afrin, nel nord-ovest della Siria a poca distanza dal confine turco.

Il Rojava visto da Mosca

Xelîl ha dichiarato che questo accordo tra le forze curde e la Russia si basa sulla «cooperazione nella lotta contro il terrorismo e sull’addestramento dei nostri combattenti da parte dell’esercito russo», rimarcando la presenza di relazioni dirette con il Cremlino. Un rapporto, questo, che non è certo un mistero. I contatti non sono mai venuti meno per tutta la durata della guerra in Siria e unità russe erano già state avvistate nella zona di Afrin. La prima rappresentanza semi-ufficiale all’estero del Rojava (così i curdi chiamano le aree della Siria sotto il loro controllo) è stata aperta proprio a Mosca. E i russi da mesi chiedono che ai negoziati di pace a Ginevra e Astana siedano anche i curdi, anche se finora non se n’è fatto niente per l’opposizione della Turchia, che li considera terroristi alla stregua dell’Isis.
Ma la cooperazione militare esplicita ha un peso e un significato ben diversi da quelli dei rapporti diplomatici, soprattutto in questa fase in cui la guerra è tutt’altro che finita (oltre alla campagna contro l’Isis, sono in corso offensive dei ribelli alla periferia di Damasco e nella zona di Hama). C’è da sottolineare esplicita: perché russi e curdi hanno collaborato sul campo più volte, pur senza dare a queste manovre il timbro dell’ufficialità. Mentre naufragavano i negoziati di Ginevra di febbraio 2016 i curdi hanno strappato ai ribelli la base aerea di Menagh con l’appoggio delle bombe russe, tagliando la linea di rifornimento dei ribelli tra la Turchia e Aleppo. Durante l’assedio di Aleppo, tra novembre e dicembre dello scorso anno, i curdi si sono schierati di fatto con i russi e Assad dalla loro roccaforte nel quartiere di Sheikh Maqsoud. Sempre a russi e lealisti all’inizio di marzo hanno ceduto una fetta di territorio attorno a Manbij, per creare una sorta di cuscinetto che li difenda da una possibile offensiva dei ribelli appoggiati dalla Turchia.

“I curdi non si toccano”

Una base russa a Afrin rappresenta così un salto di qualità. E le ripercussioni sui delicatissimi equilibri tra le forze in campo possono essere vaste. Non stupisce quindi che la Russia si sia affrettata a smentire tutto. Poche ore dopo il comunicato di Xelîl, il ministero della Difesa russo ha specificato che non si tratterebbe di una base militare ma di una semplice unità del Centro per la Riconciliazione, l’organo attraverso il quale il Cremlino monitora il cessate il fuoco raggiunto il 30 dicembre, sulla cui base si incardinano i negoziati di pace in corso e di cui è garante insieme alla Turchia. Stando al comunicato non ci sarebbe nessuna attività di addestramento delle forze curde in programma.
I motivi per dubitare di questa versione non mancano. Primo fra tutti, la reazione sorpresa di Ankara, che ha addirittura convocato l’ambasciatore russo per spiegazioni: è stata, quantomeno, una mossa unilaterale di cui i turchi erano all’oscuro. Poi l’utilità di un punto d’appoggio appena a nord della provincia di Idlib, ultima vera roccaforte delle forze ribelli contro le quali prima o poi russi e lealisti lanceranno un’offensiva. E se anche non fosse una base militare, il messaggio indirizzato ad Ankara dai russi è piuttosto chiaro: i curdi non si toccano, gli attacchi paventati dai turchi contro Manbij da un lato e Afrin dall’altro non devono avvenire.

Cosa cambia adesso per i curdi?

Chi ci guadagna di più da questa situazione sono senz’altro i curdi siriani. La presenza russa è, appunto, una garanzia forte che smonta un eventuale attacco della Turchia. E poi si somma alla collaborazione con gli USA, anche loro accorsi con le bandiere a stelle e strisce ben in vista a Manbij, quando Ankara aveva provato ad attaccare i curdi poche settimane fa. È anche un consistente passo in avanti per il futuro assetto della Siria immaginato dai curdi. Mosca nei mesi scorsi aveva tentato più volte una mediazione con Assad per garantire loro l’agognato status autonomo alla fine della guerra. Il regime si era sempre rifiutato. Ma se i curdi diventano ufficialmente partner dei russi, l’Assad che vuole riconquistare tutto il paese avrà sempre meno voce in capitolo. Discorso simile anche per quanto riguarda il tavolo della diplomazia: finora PYD e YPG sono sempre stati esclusi, ma i russi potrebbero insistere e, dopo aver messo all’angolo la Turchia come sembrano indicare queste ultime mosse, riuscire a portarli a Ginevra.

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Nella foto: membri delle forze russe e del Consiglio Militare di Manbij, legato ai curdi siriani, si scambiano le mostrine militari

Chi è Lorenzo Marinone

Giornalista, è stato analista Medio Oriente e Nord Africa al Centro Studi Internazionali. Master in Peacekeeping and Security Studies a RomaTre. Per East Journal scrive di movimenti politici di estrema destra.

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