«Quello che ho visto mi dà l’impressione che ci stiamo muovendo nella direzione giusta». Sotto la coltre delle mille cautele della diplomazia (e del buon senso), l’inviato dell’Onu per la Siria Staffan de Mistura lascia trapelare qualche barlume di ottimismo. Il 3 marzo è finito Ginevra IV, il nuovo round di negoziati di pace che ha coinvolto delegati del regime di Assad e delle opposizioni, più uno stuolo di osservatori e di ‘garanti’ del processo come la Russia. Va detto senza infingimenti: i risultati sono pochi, scarni e riguardano questioni più che altro formali. Ma dopo 6 anni di continui fallimenti anche il più fragile dei risultati può fare notizia.
I punti dell’accordo
Sia Assad che le opposizioni lasciano la città svizzera portando a casa qualcosa. Damasco è riuscita ad aggiungere all’agenda la questione ‘anti-terrorismo’, i delegati delle opposizioni politiche e militari hanno potuto parlare seriamente per la prima volta di una fase di transizione. Dalla 9 giorni di negoziati esce un’agenda di base su cui intavolare i prossimi incontri e sulla quale le parti si impegnano a discutere. Oltre all’anti-terrorismo, i tre punti sono la formazione di un governo di transizione «credibile e inclusivo», la stesura della nuova costituzione e libere elezioni. A questi si aggiunge la ricostruzione post-conflitto, su cui si sta impegnando in particolare l’Ue.
«Mi aspetto che le parti ora debbano cercare un accordo-quadro che contenga un pacchetto politico condiviso, così che il processo di transizione politica possa essere implementato come indica la Risoluzione Onu 2254», ha commentato de Mistura.
Da Ginevra ad Astana (e ritorno)
In teoria la discussione di questa agenda deve concludersi entro 6 mesi, ma nessuno è così ottimista da crederci davvero. Il vertice di Ginevra però si è concluso con le date dei prossimi negoziati e con la conferma del ‘doppio binario’. In Svizzera si tornerà il 23 marzo, mentre il processo parallelo che si svolge ad Astana, in Kazakhstan, riprenderà il 14. Nella prima sede, sotto l’ombrello dell’Onu, si discute delle questioni politiche. Nella seconda ci si mette d’accordo su quelle militari.
Fino a qui tutto bene
In parte è proprio grazie agli incontri che si sono tenuti ad Astana tra gennaio e febbraio che Ginevra IV non è fallita come i tentativi precedenti. In Kazakhstan – sotto la supervisione di Russia e Turchia, garanti rispettivamente di Assad e opposizioni – si discute del cessate il fuoco in vigore da fine dicembre (e ben poco rispettato, da ambo le parti), dello scambio di prigionieri e di altre questioni necessarie per quello che passa sotto l’etichetta di ‘confidence building’.
La realtà come al solito è ben più prosaica e non si lascia rappresentare da un sentimento: la fiducia è un orpello, senza la volontà politica di Mosca e Ankara non si concluderebbe nulla in questa fase. Alla prima occasione buona, una delle parti denuncerebbe una tra le centinaia di violazioni della tregua e tornerebbe a far parlare soltanto le armi. Il processo di Astana quindi è fragilissimo. E non bisogna dimenticare il ruolo dell’Iran, osteggiato da opposizioni e Turchia a più riprese e non del tutto allineato neppure con i desideri di Mosca.
Cosa può andare storto
Restano poi diversi nodi, più o meno difficili da sciogliere. La Russia preme affinché le opposizioni formino un blocco unico. In questo momento sono spaccate in tre gruppi: l’HNC (High Negotiation Committee), il gruppo del Cairo e il gruppo di Mosca. Il primo è l’unico che rappresenta la parte militare delle opposizioni, gli altri due sono variamente invischiati con Assad e i russi tanto che per alcuni rappresentano un’opposizione più di facciata che altro. Nessuno dei tre, poi, rappresenta adeguatamente quei Consigli locali che costituiscono la parte più dimenticata e tradita delle manifestazioni del 2011.
Senza l’unità delle opposizioni è possibile che non si arrivi a negoziati diretti, faccia a faccia con i delegati di Assad. Passo necessario per dare vita a una transizione politica convincente. Qui si innesta un altro problema: il regime continua a considerare ‘terroristi’ tutti i ribelli, non solo al-Nusra e l’Isis come vorrebbe l’Onu. Facile pensare – benché non scontato – che il tema ‘anti-terrorismo’ così tanto voluto in agenda da Damasco possa diventare la sua via d’uscita per interrompere ancora una volta i negoziati.