SIRIA: Cosa succederà dopo la caduta di Aleppo?

La caduta di Aleppo sembra ormai questione di giorni. Il regime di Assad e i suoi alleati hanno riconquistato quasi tutta la parte est, dove una coalizione di milizie ribelli è asserragliata fin dal 2012. Ormai controllano un pugno di quartieri sventrati dalle bombe, una tomba di pochi chilometri quadrati. Le truppe lealiste hanno sfondato prima da nord e poi da ovest, hanno ripreso la città vecchia e continuano l’offensiva sull’ultima sacca.

Perché i ribelli hanno perso ad Aleppo

Il fronte ribelle si è disgregato nel giro di 48 ore dopo aver resistito 4 anni e aver sopportato un assedio che dura praticamente da luglio. Il motivo non è ancora del tutto chiaro. I bombardamenti della Russia sono stati martellanti ma miravano più a far crollare il morale che a colpire obiettivi militari, tant’è vero che sono finiti regolarmente in macerie gli ospedali. Hezbollah, iraniani e milizie sciite guidate da Tehran hanno aumentato la pressione, ma anche questo non spiega del tutto un crollo così repentino. L’intervento della Turchia da agosto tiene impegnati un po’ di ribelli lontano dal fronte di Aleppo, dove avrebbero potuto almeno alleggerire la pressione dei lealisti con qualche controffensiva.

Forse la causa principale va cercata negli scontri interni tra gli stessi ribelli. Tra i circa 10mila miliziani anti-Assad che presidiano Aleppo est, in realtà, le divisioni ci sono sempre state e sono emerse ancora di più man mano che la situazione si faceva disperata. All’inizio di novembre tre dei gruppi più estremisti (Jaysh Fatah al-Sham cioè l’ex al-Nusra legata ad al-Qaeda, al-Zenki e le brigate Abu Amara) hanno assaltato le posizioni della milizia Fastaqim, un tempo appoggiata dagli Usa. Nel giro di pochi giorni quel fronte è crollato sotto la spinta dei lealisti.

Civili nel mirino

Finora sono 80mila i civili che sono riusciti a uscire da Aleppo est. Mentre lasciavano i quartieri orientali molti sembra siano stati uccisi dai cecchini dei ribelli. Di quelli che hanno attraversato indenni la terra di nessuno, l’Onu sostiene ne siano spariti a centinaia: presi dalle truppe fedeli ad Assad e tenuti chissà dove. Questa guerra che dura da più di 5 anni non finirà con la riconquista della seconda città della Siria: questi due episodi illustrano tragicamente quanto sia ancora lontana una tregua, per non parlare di una futura, necessaria riconciliazione.

La partita della Russia

Ma il conflitto siriano è più intricato del duello Assad-ribelli. Il Cremlino aspetta che si insedi Donald Trump a gennaio per riprendere un dialogo con gli Usa. Con Aleppo sotto controllo governativo (e la provincia di Idlib come prossimo obiettivo) la Russia potrà dettare qualche condizione in più, ma non è detto che si riesca ad andare oltre l’ennesima tregua traballante.

La partita della Russia non si gioca solo con Washington, ma anche con Israele e l’Iran. I russi vogliono arginare l’influenza iraniana sulla Siria, che sta crescendo a dismisura, ma hanno bisogno di Tehran per vincere sul campo. In questo braccio di ferro tra presunti alleati si inserisce l’ultimo raid dei caccia israeliani, che il 7 dicembre hanno colpito l’aeroporto militare di Damasco, con ogni probabilità centrando qualche struttura o deposito usato da Hezbollah. Non è la prima volta che Tel Aviv si lancia in azioni del genere perché questo è il suo interesse principale: frenare i miliziani libanesi sponsorizzati dall’Iran, evitare che acquisiscano potere, armi e capacità di manovra (magari a ridosso del Golan). Adesso raid del genere tornano utili anche a Putin.

La Turchia ha fretta

Nel frattempo la Turchia accelera mandando in Siria mezzi e uomini aggiuntivi e prova a espugnare al-Bab, in mano all’Isis e a poche decine di km da Aleppo. La fretta è dettata da due punti interrogativi: caduta Aleppo, il regime di Assad si metterà di traverso?; che atteggiamento avrà Trump con l’alleato Nato? Chi prova a dar qualche segno di vita è l’Isis, che l’8 dicembre ha attaccato i russi a Palmira riuscendo a conquistare di nuovo la città e a mettere le mani su alcuni pozzi petroliferi nei dintorni. D’altronde l’offensiva dei curdi su Raqqa, centro nevralgico del califfato in Siria, procede con estrema lentezza e non sta impegnando troppo i malconci seguaci di al-Baghdadi.

Chi è Lorenzo Marinone

Giornalista, è stato analista Medio Oriente e Nord Africa al Centro Studi Internazionali. Master in Peacekeeping and Security Studies a RomaTre. Per East Journal scrive di movimenti politici di estrema destra.

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