Nulla di fatto a Sochi, al Summit per la pace in Siria. L’unica intesa raggiunta, martedì scorso, nella località sulle sponde del Mar Nero, riguarda la creazione di una commissione incaricata di redigere la nuova costituzione siriana. Secondo quanto deciso dai partecipanti ai colloqui, il nuovo organo si riunirà a Ginevra e lavorerà sotto l’egida dell’Onu. «In seguito saranno poste le basi per lo svolgimento di elezioni democratiche», ha spiegato Staffan De Mistura, inviato speciale dell’Onu per la crisi siriana.
Il boicottaggio dell’opposizione anti-Assad
Già alla vigilia dell’incontro non ci si aspettavano grandi risultati, visto l’annunciato boicottaggio del vertice da parte delle opposizioni anti-Assad, che hanno deciso di non prendervi parte.
Promosso da Russia e Iran, alleati del discusso leader di Damasco, nonché da Ankara, che sostiene invece i ribelli, l’obiettivo dichiarato del summit era quello di riunire i rappresentanti del governo siriano e dell’opposizione – ribelli e curdi – intorno a uno stesso tavolo.
Sabato scorso, però, Nasr Hariri, capo negoziatore del comitato siriano per i negoziati (NSC) che rappresenta i principali gruppi di opposizione, aveva annunciato il boicottaggio del “congresso” di Sochi, dopo l’ennesimo fallimento dei negoziati con Damasco promossi dall’Onu a Vienna. «Il regime punta a una soluzione militare, non mostra la volontà di impegnarsi in seri negoziati politici», aveva spiegato. Poi anche i curdi hanno rincarato la dose, negando la loro partecipazione alla conferenza e accusando Mosca di supportare l’offensiva turca in atto nella regione di Afrin, in terra siriana, contro i guerriglieri dell’YPG (l’Unità di Protezione Popolare curda).
La battaglia di Afrin
Oltre dieci giorni fa oramai, Ankara ha lanciato la campagna militare, aerea e terrestre, “Ramoscello d’ulivo” per strappare la regione di Afrin, nel nord-ovest della Siria, al controllo dei curdi dell’YPG. Le operazioni continuano violentemente da più di una settimana con raid aerei, incursioni di droni e bombardamenti, anche sui civili. Domenica scorsa, i turchi sono riusciti a conquistare l’altura strategica di Burseya. Ma non è finita qui. Erdogan ha dichiarato di essere disposto ad ampliare le operazioni militari, pur di allontanare dai confini turchi la minaccia curda. Il prossimo obiettivo potrebbe quindi essere la città di Manbij, dove però i turchi dovranno fare i conti con la presenza militare statunitense, rischiando di alimentare un pericoloso scontro. Per gli Stati Uniti i curdi sono stati, e rimangono, importanti alleati nella lotto contro l’Isis; per Ankara, invece, costituiscono una minaccia maggiore di quella terroristica.
Lo scacchiere geopolitico internazionale
Il Summit di Sochi, insomma, costituisce l’ennesimo tentativo di risolvere – mediante la diplomazia – un conflitto che oramai insanguina la Siria da quasi 7 anni. Secondo molti osservatori, però, il Cremlino starebbe tentando di avviare un processo di pace “parallelo” a quello promosso dall’Onu e, soprattutto, cercherebbe di ottenere una soluzione più “vicina” agli interessi di Turchia, Russia, Iran e ovviamente del discusso leader Bashar Assad. Anche il logo, scelto per rappresentare l’evento – una colomba e un ramoscello di ulivo, simboli di pace, e sullo sfondo due bandiere del governo di Damasco – ha fatto discutere e ha creato un incidente diplomatico. Una delegazione di oppositori filo-turchi ha infatti disertato il vertice dopo essere atterrata all’aeroporto che hanno trovato tappezzato di cartelloni con il contestato logo; una scelta che rappresenta senza ambiguità l’orientamento di Mosca sulla questione siriana.
Ma se la posizione di Russia e Iran è chiara fin dall’inizio, quella turca lo è un po’ meno. Da sempre contraria al regime di Assad, Ankara appoggia ufficialmente i ribelli. Eppure, negli ultimi mesi, sembrerebbe disposta a “chiudere un occhio” in cambio del beneplacito russo all’annientamento della minaccia curda.
Una situazione che rischia di diventare esplosiva, ancor più considerata la posizione degli Stati Uniti, per i quali l’apporto delle milizie curde in chiave anti-Isis è risultato fondamentale per la riconquista di molte aree del Paese, strappate ai miliziani del Califfato. Washington considera i curdi una risorsa fondamentale nella lotta al terrorismo. Ecco perché il silenzio statunitense appare assordante; ma qualora Erdogan dovesse tradurre in azioni i suoi propositi di ampliare l’offensiva in Siria, Washington potrebbe decidere di far sentire la propria voce. E quello che avrà da dire potrebbe non piacere ad Ankara.
Foto: dal profilo Twitter di RSI news