«Le forze curde parteciperanno certamente all’offensiva su Raqqa». La dichiarazione del generale statunitense Townsend ha frantumato le ultime speranze dei turchi di poter attaccare Raqqa, la “capitale” dell’ISIS. La campagna militare su Raqqa è stata per mesi al centro di un braccio di ferro tra Ankara e Washington. La Turchia, insieme ai gruppi ribelli che appoggia, voleva sostituirsi ai curdi siriani come principale forza di terra per l’assalto finale alla città. Ha presentato piani alternativi, incontrato i vertici del Pentagono, ma senza successo. Restano soltanto le ritorsioni che aveva minacciato a più riprese. E che infine ha messo in pratica attaccando i curdi, a Manbij in Siria e non solo.
La Turchia bloccata ad al-Bab
Tutto si gioca in un fazzoletto di terra nel nord della Siria. L’epicentro è al-Bab, città a metà strada tra Aleppo e l’Eufrate a pochi chilometri dal confine turco. A fine febbraio Ankara è riuscita a strapparla all’Isis, fuggito in ritirata in una notte, dopo tre mesi di tentativi infruttuosi. Nelle intenzioni dei turchi doveva essere un (improbabile) trampolino di lancio per continuare l’avanzata in direzione di Raqqa. Ma a scombinare i loro piani ci ha pensato l’esercito di Assad, che ha tagliato la strada arrivando da sud. Ai turchi resta solo uno spicchio di Siria, sostanzialmente inutile.
Per i curdi siriani una mezza vittoria
Inutile perché non serve allo scopo ultimo dell’intervento turco: impedire che i curdi siriani unificassero i loro territori, divisi tra il cantone di Efrin a ovest e quelli di Kobane e Hasakah più a est. Lì in mezzo si sono incuneate le forze turche fin dallo scorso agosto. L’arrivo dei lealisti di Assad ad al-Bab, però, ha creato una sorta di ‘ponte’ tra i cantoni. Adesso i curdi – certo non alleati di Assad in senso stretto, ma neppure avversari – hanno una continuità territoriale. Possono spostare mezzi e uomini, difendere meglio Efrin a lungo isolata e sotto il tiro dei turchi. Insomma, una mezza vittoria che è meglio di nulla.
L’assalto a Manbij
Tagliata fuori dall’offensiva su Raqqa, incapace di frenare i curdi siriani, la Turchia ha reagito subito. «Il nuovo obiettivo della Turchia in Siria è Manbij. Manbij è una città che appartiene agli arabi». Così Erdoğan ai cronisti che lo accompagnavano sull’aereo presidenziale di ritorno dal Pakistan. Manbij si trova tra al-Bab e l’Eufrate ed è l’unica città controllata (anche) dai curdi a portata di tiro per la Turchia nella zona. Soprattutto, si trova a ovest del fiume, per Ankara una linea rossa che i curdi non avrebbero dovuto oltrepassare. Così l’esercito turco ha iniziato a marciare su Manbij. Lo ha fatto nonostante insieme ai curdi ci siano anche reparti delle forze speciali degli Usa, finora la migliore polizza per i curdi contro un’invasione turca su larga scala.
I curdi chiedono aiuto ad Assad
È una mossa che Ankara aveva minacciato da tempo. Ma i curdi sono corsi ai ripari. Hanno stretto un accordo con Assad: alle forze di Damasco viene ceduta una parte dei territori attorno a Manbij, che saranno presidiati dall’esercito siriano. In pratica è un cuscinetto fra curdi e turchi. Adesso se Ankara vuole proseguire l’operazione deve combattere contro Assad, ma distruggerebbe il già fragilissimo cessate il fuoco di cui è garante e sulla cui base si intavolano i negoziati di pace a Ginevra delle ultime settimane. Non solo: continuare l’attacco su Manbij significa anche mettersi contro la Russia, alleata di Assad. La Turchia è di nuovo imbrigliata.
Si spara sul monte Sinjar
Manbij non è l’unico fronte di attrito tra curdi e Turchia. Ankara ha bombardato la base di Menagh, occupata l’anno scorso dai curdi siriani e vicina ad Efrin. Scaramucce anche dalla parte opposta, sul Sinjar al confine tra Iraq e Siria. La zona è in mano a milizie yazide create e addestrate dal Pkk. Nei primi giorni di marzo si sono scontrate con i Peshmerga siriani, che sono addestrati dalla Turchia a Bashiqa in Iraq e vicini al presidente del Kurdistan iracheno Barzani, a sua volta alleato di Erdoğan con cui si era incontrato in Turchia pochi giorni prima. Alcune fonti sostengono che i Peshmerga abbiano attaccato gli yazidi cercando di tagliare la loro linea di rifornimento con la Siria. Altre parlano di un semplice malinteso: sarebbero stati diretti al confine e non avrebbero avuto alcuna intenzione di attaccare. Quel che è certo è che gli scontri hanno lasciato presto spazio alle trattative e non si spara più. Ma la situazione è tutt’altro che tranquilla. E la Turchia non esiterà ad approfittarne se resterà senza alternative.