Da BELGRADO – Lo scorso 2 marzo il parlamento di Belgrado ha annunciato le elezioni presidenziali per il prossimo 2 aprile. Il mandato di Tomislav Nikolić volge infatti al termine e saranno 11 i candidati a contendersi la poltrona di presidente della repubblica. Fino a tale data, inoltre, il consiglio dei ministri ha deciso di sospendere i lavori del parlamento.
Vučić “pigliatutto”?
Il periodo che ha anticipato l’inizio ufficiale della campagna elettorale ha visto una piccola lotta intestina dentro il partito di governo, il Partito Progressista Serbo del primo ministro Aleksandar Vučić. Questi è stato fino all’ultimo indeciso se candidarsi o lasciare che Tomislav Nikolić corresse per il secondo mandato. Alla fine, “nel nome della stabilità”, Vučić ha ufficializzato la sua candidatura a presidente della repubblica, ottenendo l’appoggio sia di Nikolić che del partito.
A tal proposito va detto che in Serbia c’è un vuoto legislativo che non obbliga l’attuale capo del governo a dare le dimissioni nel caso di candidatura ad altre cariche pubbliche. In caso di vittoria dell’attuale premier, questa carica verrà dunque trasmessa a qualcun’altro, ma il consiglio dei ministri ha fatto sapere che il nome verrà rivelato appena dopo le elezioni. Tra i nomi papabili, si fa largo quello di Ana Brnabić, già ministro dell’amministrazione pubblica.
Deficit democratico
Le elezioni sono state annunciate con appena un mese di scarto e ciò ha reso difficile sia l’organizzazione dell’intera campagna elettorale da parte degli altri candidati, che la supervisione da parte dell’OSCE, che con così poco preavviso non potrà infatti garantire osservatori internazionali per assicurare il regolare svolgimento del voto.
La campagna elettorale durerà dunque appena un mese, la più corta della storia delle elezioni presidenziali in Serbia.
Tutta la campagna elettorale ruota attorno alla figura di Vučić. Mentre lui accusa i leader dei partiti di opposizione di non avere programmi politici e di non far altro che accanirsi contro di lui, Vučić continua ad essere comunque il candidato che maggiormente viene nominato e di cui si parla maggiormente sui media.
I candidati dell’opposizione a loro volta lo accusano di abusare del suo ruolo di premier a scopi propagandistici, e d’altro canto la decisione di sospendere il parlamento va a tuto svantaggio loro. Inoltre, la scelta di Vučić di non dare le dimmissioni da primo ministro sembra giustificata non solo in senso precauzionale, per mantenere la carica nel caso non dovesse vincere; ma anche per sfruttare l’immagine di cui gode da capo dell’esecutivo.
Primo tra tutti a muovere questo tipo di accusa è l’ex ombudsman Saša Janković. Questi balzò all’onore delle cronaca un anno fa, quando scoppiò il caso Savamala, e in veste di difensore civico individuò nelle autorità della città, a partire dal sindaco e i vertici di polizia, i responsabili per le demolizioni abusive i cui mandanti vennero individuati nei vertici statali, inclusi il ministro degli interni Nebojša Stefanović e lo stesso Vučić.
Le speranze dell’ opposizione
Saša Janković – che ha ricoperto il ruolo di difensore civico per dieci anni ed è del tutto estraneo al mondo della politica – ha basato la sua campagna elettorale contro la figura di Vučić, facendo leva sulla mancanza di trasparenza e legalità che caratterizzano l’attuale governo serbo, portando proprio l’affaire Savamala a sostegno delle proprie tesi.
Una prassi simile è stata seguita da Vuk Jeremić, ex Partito Democratico e politico più navigato di Janković, che punta seriamente al secondo turno cercando di fare breccia su tutti gli strati della società serba con una retorica al limite del populismo, non rinunciando ad utilizzare anche le questioni nazionali, a partire dalla situazione del Kosovo, per aumentare i propri consensi.
Capitolo a parte invece per Vojislav Šešelj, leader del partito radicale. La sua campagna elettorale è ufficialmente iniziata il 3 marzo scorso, in occasione della visita dell’Alto rappresentante UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, quando questa ha tenuto un discorso al parlamento che è stato accompagnato dalla protesta in aula dei radicali, che hanno urlato ininterrottamente lo slogan “Serbia! Russia! Non ci serve l’Unione!”.
Tra gli altri candidati, infine, un capitolo curioso è quello di Ljubiša Preletačević “Beli” (il cui vero nome è Luka Maksimović): istrionico outsider la cui campagna è caratterizzata da un’ironia irriverente e sfacciata nei confronti dellaclasse politica serba. Nelle ultime settimane ha raggiunto un’altissima popolarità sui social media, grazie soprattutto a trovate divertenti, come presentarsi in pubblico a Kragujevac a bordo di una carrozza o aver basato la sua campagna elettorale su promesse bizzarre e inverosimili. La sua presenza, se non altro, dovrebbe aumentare l’affluenza alle urne.
Verso l’autocrazia?
Il prossimo 2 aprile, quindi, il popolo serbo sarà chiamato a votare per la seconda volta in meno di un anno. L’ultima volta si trattò delle elezioni parlamentari anticipate fortemente volute da Vučić, che volle garantirsi un prolungamento del mandato esecutivo, oltre che ridimensionare l’opposizione. A meno di un anno dalla vittoria alle parlamentari ora punta alla carica più alta dello stato, lasciando presagire come voglia controllarne sempre di più le sorti sia in politica estera, sia in politica interna, che in caso di vittoria farebbe guidare a un suo uomo di fiducia.
Le ambizioni di Aleksandar Vučić a controllare tutto l’apparato statale serbo lasciano presagire che il paese possa finire verso una deriva autocratica, come dimostra la predominate presenza sui media di cui gode e di cui viene accusato di esserne alla regia.
In conclusione, anche questa campagna dimostra come la politica in Serbia sia priva di un dialogo tra le parti basato sul confronto di idee e programmi politici e come questa sia invece costantemente personalizzata e ostaggio della ricerca del leader migliore.
Foto: Corax