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KOSOVO: Pristina vuole il suo esercito

Il Kosovo potrebbe presto dotarsi di un proprio esercito. L’iniziativa è stata presa direttamente dal presidente della repubblica Hashim Thaçi, che, lo scorso 7 marzo, ha inviato al parlamento un disegno di legge per la trasformazione della Kosovo Security Force (KSF), l’attuale forza di sicurezza presente nel paese, in un esercito regolare. Come prevedibile, la Serbia ha reagito duramente, dichiarandosi contraria alla nascita di un esercito kosovaro. Più sorprendenti sono state le reazioni della comunità internazionale, in particolare degli Stati Uniti e della NATO, che hanno apertamente criticato questa accelerazione. Thaçi, però, sembra voler andare avanti, tanto da minacciare le dimissioni in caso di fallimento: una mossa che potrebbe avere profonde conseguenze politiche.

Il progetto di Thaçi

Il Kosovo è oggi dotato di una forza speciale di pronto intervento, la KSF, nata all’alba dell’indipendenza. Si tratta di una forza di 4000 unità dedita ad operazioni di risposta alle crisi e di protezione civile, dotata di sole armi leggere. La KSF opera sotto lo stretto monitoraggio della NATO, che è presente nel paese con circa 4500 uomini.

Da tempo si discute della possibilità di dotare il Kosovo di un esercito. Per farlo, è necessario un emendamento alla Costituzione, per cui serve il voto favorevole dei deputati delle minoranze: proprio qui c’è l’ostacolo maggiore alla creazione dell’esercito, poiché la Lista Serba, il partito, legato a Belgrado, che rappresenta i serbi del Kosovo, ha chiaramente fatto sapere di opporsi al progetto.

Per aggirare il veto serbo, Thaçi punta su una legge che trasformi le caratteristiche della KSF, senza passare per cambiamenti costituzionali. Il disegno di legge portato in aula prevede, nello specifico, un cambiamento della missione e dei compiti della KSF, che la renderebbe un vero esercito, con armi pesanti, compiti di difesa territoriale e un aumento delle unità. Secondo Thaçi, si tratta di un processo naturale per uno stato sovrano come il Kosovo, un fattore di stabilità regionale, nonché un passaggio necessario per poter richiedere l’adesione alla NATO.

Le reazioni: Belgrado e Washington

La reazione della Serbia non si è fatta attendere. Il premier Aleksandar Vučić ha dichiarato che Belgrado non permetterà la creazione di un esercito del Kosovo. Il ministro degli Esteri Ivica Dačić ha aggiunto che qualora ci fosse un esercito kosovaro, questo non potrebbe entrare nelle municipalità a maggioranza serba, in particolare quelle a nord del fiume Ibar.

Più eclatanti, perché meno prevedibili, sono state le reazioni del principale alleato di Pristina, gli Stati Uniti. Il Dipartimento di Stato americano ha espresso preoccupazione per questa decisione, mentre l’ambasciata a Pristina ha dichiarato che la nascita di un esercito dovrebbe avvenire tramite un processo di riforma costituzionale condiviso, aggiungendo senza mezzi termini che l’adozione della legge porterebbe gli Stati Uniti a rivedere l’attuale impegno di cooperazione e assistenza fornita alla KSF. Concetti ribaditi dal Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg, che ha definito questa azione unilaterale unhelpful. È la prima volta che Pristina e Washington si trovano in disaccordo in modo così palese e pubblico.

Elezioni anticipate?

Nonostante queste prese di posizione, Thaçi non sembra disposto a cedere, anzi ha espresso la volontà di dimettersi in caso il parlamento non approvasse la legge. Secondo Thaçi, un’assemblea che non è in grado di dotare il proprio paese di un esercito non ha motivo di esistere, prefigurando la fine della legislatura e le elezioni anticipate. Proprio qui si scorge il nodo della questione.

La risolutezza del presidente e leader del principale partito del paese, il Partito Democratico del Kosovo (PDK), sembra nascondere il forte desiderio di andare ad elezioni. Una mossa che permetterebbe di giocare di anticipo sui rivali e di votare prima che arrivino i primi rinvii a giudizio della Corte Speciale sui crimini dell’UÇK, che potrebbero toccare esponenti di spicco del PDK. La delicata questione dell’esercito, che rischia di influenzare il dialogo con la Serbia e i rapporti con gli alleati, dunque, si inserisce in un quadro politico complesso e in divenire, dalle conseguenze imprevedibili.

Chi è Riccardo Celeghini

Laureato in Relazioni Internazionali presso la facoltà di Scienze Politiche dell'Università Roma Tre, con una tesi sui conflitti etnici e i processi di democratizzazione nei Balcani occidentali. Ha avuto esperienze lavorative in Albania, in Croazia e in Kosovo, dove attualmente vive e lavora. E' nato nel 1989 a Roma. Parla inglese, serbo-croato e albanese.

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