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KOSOVO: Attesa per il Tribunale speciale sui crimini dell’UÇK

Si attende a breve il voto del parlamento di Pristina sull’istituzione del Tribunale sui crimini commessi dall UÇK durante e dopo il conflitto del 1999. La comunità internazionale chiede di agire, altrimenti si muoverà l’ONU. Il Partito Democratico del Kosovo si divide, Thaci cerca di far rientrare il dissenso.

Sono settimane decisive per la creazione del Tribunale speciale che dovrà giudicare i presunti crimini commessi dai guerriglieri dell’Esercito di liberazione del Kosovo, l’UÇK, durante e dopo il conflitto con la Serbia del 1999. Dopo mesi di discussione, si attende ora che il parlamento di Pristina voti gli emendamenti costituzionali necessari all’istituzione di questo organo giurisdizionale, proposti dal governo del premier Isa Mustafa nello scorso marzo. Una prima votazione era avvenuta il 26 giugno scorso, ma la maggioranza di 2/3 necessaria per l’approvazione non era stata raggiunta, a causa del voto contrario di alcuni deputati del Partito Democratico del Kosovo, PDK, il principale partito di governo. Il leader del partito, nonché ministro degli Esteri, Hashim Thaçi, sta lavorando per far rientrare il dissenso interno: solo quando si saranno raggiunti i numeri necessari, il parlamento voterà nuovamente sugli emendamenti.

La necessità di un tribunale ad-hoc per giudicare i crimini commessi dai guerriglieri dell’Esercito di liberazione del Kosovo, protagonisti della guerra che portò di fatto all’indipendenza da Belgrado, nasce dall’incapacità dimostrata fino ad ora dai tribunali locali ed internazionali di accertare i fatti e punire i colpevoli. Per far fronte a tale situazione, l’Unione Europea ha stabilito nel 2011 una task force speciale per indagare sulle accuse sollevate dal rapporto presentato al Consiglio d’Europa dal senatore svizzero Dick Marty nel 2010. Il cosiddetto rapporto Marty accusa alcuni membri dell’UÇK di aver commesso, durante e dopo il conflitto, rapimenti, violenze, esecuzioni ai danni di serbi, rom e albanesi del Kosovo accusati di collaborare con Belgrado, nonché di aver organizzato un vasto traffico di armi, droga e organi, prelevati da prigionieri serbi rapiti e uccisi per tale scopo. Il Tribunale dovrebbe proprio basarsi sui risultati dell’attività investigativa della task force per giungere alle proprie sentenze.

La spinta per la creazione del Tribunale arriva essenzialmente da fuori, in primis dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, che hanno chiesto a Pristina di procedere in tempi stretti. Nel caso di un ulteriore ritardo, la comunità internazionale potrebbe agire in proprio, affidando al Consiglio di Sicurezza dell’ONU il compito di istituire il Tribunale. Già ad oggi si prevede che la sede e buona parte degli uffici del Tribunale saranno non a Pristina, ma a l’Aja, per garantire l’indipendenza dei giudici e la protezione dei testimoni, spesso mancanti nei processi fino ad ora tenuti sui crimini in questione. Se anche la nascita del Tribunale fosse ad opera della comunità internazionale, sarebbe un’ulteriore prova dell’incapacità delle istituzioni kosovare di assicurare il rispetto della giustizia e di fare chiarezza sul recente passato.

In merito alla creazione del Tribunale, in Kosovo si è acceso lo scontro politico interno. L’opposizione si dice contraria, vedendo nel Tribunale un nuovo tentativo della comunità internazionale di porre sotto tutela la sovranità del Kosovo: l’istanza portata da alcuni deputati di Vetëvendosje, partito nazionalista di opposizione, è stata bocciata dalla Corte Costituzionale, che in una sentenza del maggio scorso ha ritenuto legittimi gli emendamenti. Nel governo, invece, mentre il partito del premier, la Lega Democratica del Kosovo, LDK, si è detto a favore dell’istituzione del Tribunale, i problemi maggiori vengono dal PDK. Il partito di Thaçi è nato come diretta emanazione dell’UÇK e molti dirigenti hanno combattuto nelle sue fila. Per quanto Thaçi, leader dell’UÇK all’epoca dei fatti e chiamato in causa dal rapporto Marty, si sia detto favorevole, sicuro, a suo dire, della correttezza delle azioni compiute da lui e dai suoi uomini, alcuni esponenti del PDK hanno espresso contrarietà ad un Tribunale che potrebbe toccare molti degli attuali quadri del partito. Da qui spiegato il fallimento della prima votazione e l’attesa per la seconda, forse decisiva.

Chi è Riccardo Celeghini

Laureato in Relazioni Internazionali presso la facoltà di Scienze Politiche dell'Università Roma Tre, con una tesi sui conflitti etnici e i processi di democratizzazione nei Balcani occidentali. Ha avuto esperienze lavorative in Albania, in Croazia e in Kosovo, dove attualmente vive e lavora. E' nato nel 1989 a Roma. Parla inglese, serbo-croato e albanese.

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