AZERBAIGIAN: Calenda a Baku per ribadire l’impegno italiano nel Tap

Durante il terzo meeting del Southern Gas Corridor Advisory Board, tenutosi a Baku il 23 febbraio scorso, il ministro per lo Sviluppo Economico Carlo Calenda è tornato a parlare del Tap, il gasdotto che dalla frontiera greco-turca porterà il gas azero in Europa attraverso Albania e Italia.

Non ci sono problemi con la costruzione della sezione italiana del Tap”, avrebbe dichiarato il ministro in risposta alle preoccupazioni per i ritardi italiani nell’avanzamento del progetto, in seguito agli incontri con il presidente azero Aliyev e i ministri dell’Energia di Azerbaigian e Turchia. Calenda ha inoltre incontrato il vicepresidente della Commissione Europea per l’Unione Energetica Maroš Šefčovič, con il quale si è impegnato a seguire il pacchetto di proposte della Commissione in materia energetica.

Il progetto

La Trans-Adriatic Pipeline è il terzo segmento del Southern Gas Corridor, iniziativa della Commissione Europea volta a differenziare l’approvvigionamento energetico dell’UE attraverso l’importazione di gas dall’area del Caspio, riducendo la dipendenza dalla Russia. Un progetto da 45 miliardi di dollari che prevede la costruzione di quasi 4000 chilometri di tubi e che attraverserà sei paesi tramite tre gasdotti: il SCP (South Caucasus Pipeline) fino in Georgia, il Tanap (Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline) che attraversa la Turchia, e il Tap, che dopo aver attraversato la Grecia, l’Albania e l’Adriatico, arriverà a circa 800 metri dalla costa di San Foca, in Salento, per poi proseguire per 55 km a nord da Melendugno fino a Mesagne, dove si collegherà con la rete nazionale gestita da Snam. È la più grande opera energetica in cui l’Italia si è impegnata, grazie alla partecipazione della Banca Europea per gli Investimenti (BEI) e l’appoggio delle istituzioni europee.

Il Comitato No Tap

Se da una parte la Tap renderà l’Italia un hub europeo del metano, permettendole di accedere alll’energia a prezzi più bassi e creare occupazione in Puglia, dall’altra il progetto è ampiamente contestato da una parte della popolazione salentina, sindaci e associazioni, unitamente al comitato No Tap; i quali si oppongo a un progetto che comporterebbe la distruzione di una costa che vive di turismo e di agroalimentare. Il governatore della Puglia Michele Emiliano suggerisce, invece, di spostare l’approdo direttamente nella zona industriale di Brindisi, aggirando così l’”ostacolo” principale, ovvero gli ulivi secolari presenti nella zona concordata. Mentre gli addetti ai lavori sostengono che verranno comunque ripiantati, il comitato si mostra scettico verso le valutazioni dell’azienda, ritenute insufficienti anche dal ministero dell’Ambiente, che ha già richiesto indagini più approfondite.

Contestati anche gli aspetti economici: le reti Counter Balance e Banktrack hanno recentemente pubblicato un’analisi sulle ricadute negative che le banche potrebbero riscontrare finanziando il progetto Tap, ritenendo che esso violi gli Equator Principles, cioè le linee guida per la gestione del rischio.

A fare da sfondo all’intera vicenda c’è poi la spinosa questione dell’appoggio europeo all’Azerbaigian: oltre ad intaccare l’ecosistema salentino e danneggiare una costa pluripremiata a livello turistico, l’Unione Europea andrebbe a finanziare gli Aliyev, famiglia che detiene un controllo sempre più solido sul paese caucasico, specialmente dopo la nomina della moglie del presidente Ilham alla vicepresidenza del paese, chiudendo gli occhi di fronte alle violazioni dei diritti fondamentali che sono ormai all’ordine del giorno.

Chi è Francesca Barbino

Nata in Calabria nel 1993, vive a Forlì dove si è laureata presso il MIREES, Interdisciplinary Research and Studies on Eastern Europe. Da maggio 2016 collabora con East Journal, per il quale si occupa principalmente di Caucaso.

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