A fine 2016 è venuto a mancare Dubravko Lovrenović, professore di storia dell’università di Sarajevo. Lo ricordiamo con la traduzione di un suo saggio sulla questione dei bogomili.
A garantire ai cosiddetti bogomili un posto nella storiografia è stato nella seconda metà del XIX secolo nientemeno che quell’autorità scientifica che era ed è tuttora Franjo Rački. In sostanza, scrive A. Vaillant in “Il bogomilismo della Chiesa bosniaca nell’opera di F. Racki e il romanticismo croato“, si trattava di “una bella eresia nazionale, di cui i croati erano orgogliosi, e che ha gareggiato con l’hussitismo ceco”.
Il focus del mito dei bogomili è l’affermazione che la Bosnia medievale sia stata centro di una dottrina neo-manicheista e dualista, in opposizione agli insegnamenti ufficiali delle chiese cattolica e ortodossa – e che tale dottrina elitaria in Bosnia abbia avuto un sostegno di massa. Negli ultimi cinquant’anni sono apparsi nuovi e più critici studi, che hanno illuminato in maniera nuova la situazione della Chiesa bosniaca medievale. Ho riassunto nelle seguenti conclusioni la loro ricerca, insieme ad alcune osservazioni personali.
Il mito dei bogomili e l’idea di una continuità ininterrotta tra la Bosnia medievale e ottomana, come indicato da SM Jaya, è stato introdotto nella coscienza storica musulmano-bosniaca dallo scrittore e orientalista Safet Basagic-Redžepašić (1870-1934) per la prima volta nel 1892 e poi nel suo compendio storico Brevi istituzioni sulla storia della Bosnia-Erzegovina 1463-1850, (Sarajevo, 1900). Tale narrativa godeva del sostegno, per ragioni politiche, del progetto d’ideologia nazionale del bosnismo (Bošnjaštvo) propugnato dal governatore austro-ungarico della Bosnia-Erzegovina, Benjamin Kallay (1882-1903), contro le aspirazioni serbe e croate in BiH.
Fino alla nascita delle prime accuse di eresia nel tardo XII e XIII secolo, la Bosnia medievale ha avuto alle spalle una lunga tradizione di mezzo millennio di pratica rituale cattolica slavo-glagolitica, che è visibile attraverso i documenti e reperti archeologici. Rispetto all’Ungheria, dove il cattolicesimo diffuso nella sua versione latina, la Bosnia medievale aveva una tradizione cristiana più radicata.
Le prime denunce che hanno messo in relazioni la Bosnia con l’eresia originano dal signore della Duklja Vukan (1198-1216) che, vedendo che stava perdendo la battaglia politica per il potere, cercava così di avvicinarsi a papa Innocenzo Ill e garantirsi la promozione della diocesi di Antibari (Bar) al rango di sede metropolitana. (Non si deve perdere di vista il fatto che nell’epoca della ridefinizione delle relazioni tra le chiese orientali e occidentali in Europa sud-orientale dopo il crollo dell’Impero Bizantino nella quarta crociata nel 1204 il primo re serbo Stefano Prvovenčani nel 1217 era stata incoronato con la corona papale.) Più tardi i governanti ungheresi si impadronirono di questa grammatica ideologica, quando mettendosi servizio di programmi universali del papato del XIII secolo cercarono di latinizzare la diocesi slava bosniaca e così di influenzare le strutture della Chiesa ungherese. E’ indicativo che i governanti ungheresi attivino tale vocabolario dell’eresia solo quando necessario per realizzare obiettivi politici in Bosnia. Al contrario, in epoca di relazioni stabili con i governanti bosniaci, la maggior parte dei quali sono stati coinvolti nel sistema feudale ungherese, di tali accuse non vi è traccia.
La Chiesa bosniaca, che secondo le fonti locali era apparsa per la prima volta nel 1326/29, fino al1459 non è stata numericamente forte, né si è mai concentrata sulla conversione delle masse, a causa della mancanza di reti pastorali territoriali, sulle quali la Chiesa cattolica aveva basato la sua azione nella nazione (non senza ragione Radina e un gruppo di suoi seguaci che nel 1466 avevano chiesto asilo nella loro area ai veneziani vengono chiamati setta). Grazie alle sue regole rigorose e la classificazione spartana dei peccati secondo cui qualsiasi deviazione dalla dottrina è trattata come imperdonabile peccato mortale, già dall’inizio la Chiesa bosniaca esercita una forte attrattività. Questa linea ascetica originale della Chiesa bosniaca ha sin dall’inizio del XV secolo, se non prima, iniziato a scemare e perdersi, con una progressiva laicizzazione e l’adozione di un codice di vita della nobiltà feudale. D’altra parte, la Chiesa cattolica a partire dalla metà del XIV secolo attraverso i francescani e il clero secolare aveva sviluppato una ramificata attività pastorale che arrivava a comprendere una parte sostanziale della popolazione bosniaca; sui suoi successi pastorali, negli anni prima della caduta dello stato bosniaco nel 1463, ha testimoniato il Patriarca di Costantinopoli Genadije Školaris.
La morale della Chiesa bosniaca non si concentra principalmente sulla negazione dei principi cristologici, quanto piuttosto in una critica della Chiesa universale. La Bosnia medievale non sa come le forti tensioni religiose domestiche siano diminuite in Francia all’inizio del XIII secolo e in Boemia nella prima metà del XV secolo. I conventi francescani e i templi della Chiesa bosniaca, concentrati nella Bosnia centrale, il paese del re, per tutto il tempo hanno coesistito pacificamente e senza contesa gli uni con gl’altri.Le fonti storiche che parlano dell'”eresia” della Chiesa bosniaca sono per lo piùscritte in latino, mentre, al contrario, gli storici hanno dimostrato che la Chiesa bosniaca non può essere associata con la tradizione e lo sfondo del movimento mistico e dualistica occidentale della seconda metà del XII e XIII secolo. I manoscritti biblici miniati utilizzati dalla Chiesa bosniaca erano stati scritti nello spirito della dottrina cristiana ufficiale e fedeli agli standard della lingua slava tradizionale di Cirillo e Metodio. L’analisi paleografica-artistica dei testi biblici della Chiesa bosniaca parla della loro relazione con i vecchi modelli glagolitici croato-dalmati, e di una eminente dimensione europea che si riflette nella rappresentazione del governo in stile occidentale europeo dell’arte, prima romanica e poi gotica. Il modernismo occidentale europeo e il “tradizionalismo bosniaco” artistico interagiscono nel modo più credibile nei manoscritti biblici, il Codice di Hval e il Messale di Hrvoje, i libri devozionali per il duca Hrvoje Vukčić Hrvatinić degli inizi del XV secolo. La fruttuosa cooperazione di miniatori domestici e stranieri (dalmato-italiani) ha portato a creazioni artistiche riconoscibili dallo stile gotico europeo occidentale, ma anche dal tipico manoscritto regionale bosniaco. Detto simbolicamente: la Bosnia in questa relazione ha portato cliente (patrono), scrivano e alfabeto domestici (glagolitico e cirillico), mentre l’Europa occidentale ha donato lo stile artistico dei miniatori. Questo modello in realtà illustra il meccanismo su cui poggiava una cultura internazionale dell’Europa medievale caratterizzata da tendenze artistiche globali e le varietà locali.
Se gli insegnamenti [della Chiesa bosniaca] fossero eretici o no venne determinato dalla Chiesa ufficiale, secondo i suoi dogmi proclamati ma spesso anche secondo gli interessi politici del momento. Quanto il crudele rispetto di tale principio portasse a conseguenze insostenibili lo mostra il caso di S. Metodio, che i prelati tedeschi avevano dichiarato eretico, portandolo al carcere. Anzichè di eresia sarebbe più appropriato, come fa J. Huizinga, parlare di “tipi di pietà”. “Poiché gli antici eretici erano intensamente religiosirispetto ai cristiani moderni”, come ha notato J. Burckhardt.
Come chiesa di stato (J. Sidak), la Chiesa bosniaca riempiva un vuoto nel tessuto sociale dello Stato bosniaco medievale, a seguito della dislocazione della diocesi cattolica di Đakovo alla metà del XIII secolo. Nel vuoto ecclesiale che durò fino alla creazione del Vicariato francescano nel 1339-1340, in Bosnia si sviluppò una specifica confessione cristiana che fonti ben informate di Ragusa (Dubrovnik) definirono la “fede bosniaca”, in opposizione alla “religione romana” dei ragusei stessi. Sulla base di questa partizione tra la religione bosniaca e romana – in cui fanno da sfondo ben laici motivi politici – una buona parte della nobiltà bosniaca sviluppò specifiche sensibilità confessionali che, come nel caso di Hrvoje Vukčić, trovarono espressione concreta nell’aderenza all’una o all’altra organizzazione ecclesiastica.
La parte successiva del mito dei bogomili riguarda l’origine delle pietre tombali medievali dette stećak, che si diffuse nell’ultima decade del XIX secolo. Dopo un secolo di studi su questo fenomeno, la scienza storica ha abbandonato tali visioni e adottato un differente punto di vista. Il tempo storico e la de-mitologizzazione è ciò che porto in questa monografia sulle lapidi.
Dubravko Lovrenović, Bosanska kvadratura kruga. Sarajevo: Dobra knjiga; Zagreb: Synopsis, 2012. (pp. 233-237)