ARMENIA: Il nazionalismo armeno, tra repressione e distensione

Con la distensione che caratterizza l’ultimo periodo della Guerra fredda, il Cremlino allenta la presa sulle Repubbliche che costituiscono l’URSS, determinando profonde implicazioni nell’area caucasica. È dunque negli anni ’80 che giunge a compimento il lungo processo di sviluppo del nazionalismo armeno, che culmina nel 1991 con la nascita di uno Stato indipendente.

Emersione e repressione dell’etno-nazionalismo

A partire dal 1922 la Repubblica socialista sovietica di Armenia entra a far parte della Repubblica federativa transcaucasica. In epoca staliniana, i rapporti tra la regione armena e l’URSS sono caratterizzati dal tentativo di Mosca di reprimere ogni localismo e, in particolare, ad essere fatta oggetto di costanti attacchi è la Chiesa armena. Con l’avvento della Seconda guerra mondiale, viene timidamente dato spazio ad una prima manifestazione del nazionalismo armeno, con la concessione di parziale libertà a gruppi etnici interni nel tentativo di non creare fratture subnazionali.

La figura di Raffi

Solo con il disgelo post-staliniano, tuttavia, la graduale apertura di Mosca determina la riabilitazione di alcune figure cardine del nazionalismo armeno. È infatti con Kruscev che si dà avvio alla ripubblicazione delle opere dell’intellettuale armeno-iraniano Raffi. Questi era stato ritenuto colpevole dalla leadership staliniana di aver fomentato il patriottismo caucasico con i suoi scritti che, redatti nella seconda metà dell’Ottocento, contengono ampi riferimenti ai secoli della storia armena.

Il talento narrativo di Yacob Malik Yacobean (meglio noto con lo pseudonimo di Raffi) emerge nei racconti in cui vengono descritte le gesta dei melik’, gli organizzatori della resistenza armena. Nei romanzi come nelle poesie, l’autore non di rado si lancia in elaborate invettive contro i nemici storici del suo popolo. Le opere di Raffi, pertanto, descrivendo la resistenza condotta dalle popolazioni armene contro turchi e persiani nel corso dei secoli, sono spesso ritenute la base ideologica dell’indipendentismo nella regione del Larabal e nei territori limitrofi.

La politicizzazione del nazionalismo

A metà degli anni ’60, con il cinquantenario del genocidio, si assiste ad una politicizzazione del sentimento nazionalista armeno. È nel 1965 che scoppiano a Yerevan proteste la cui violenza senza precedenti conduce il Soviet supremo a decidere di autorizzare la costruzione del Memoriale sulla collina di Tsitsernakaberd. Inoltre, in una notte del 1962, viene abbattuta senza preavviso da alcuni soldati la statua di Stalin, che da anni sovrastava la collina che ospita il Parco della Vittoria. A sostituirla è, nel 1967, la statua di Mays Hayastan (Madre Armenia), visibile ancora oggi, che impugna la spada e guarda verso il confine turco.

La “seconda distensione”

Con l’avvio della seconda distensione (1985-1991) nel contesto della Guerra fredda, la sentita esigenza di cambiamento si estende anche alla periferia dell’URSS. In area caucasica, il rinnovamento va configurandosi come pulsione verso l’indipendenza – coronamento di un processo plurisecolare. Il nazionalismo della popolazione armena del Nagorno-Karabakh, territorio sottoposto all’autorità azera, confluisce in un movimento indipendentista che mira alla riunificazione con la terra d’origine e prende il nome di miatsum (unificazione). La componente militaristica del nazionalismo armeno costituita dal conflitto con l’Azerbaijan, tuttavia, ne rappresenta soltanto un aspetto secondario e sarebbe semplicistico non considerare il carattere antico e complesso del fenomeno.

Dall’analisi dell’evoluzione storica del nazionalismo armeno emerge dunque con chiarezza il modo in cui, tra repressione e distensione, il sentimento nazionale armeno abbia conosciuto contrazioni e momenti espansivi, fasi ideologiche e politico-militari. Il successo negli anni ‘90 del processo indipendentistico non è che il coronamento di un fenomeno molto più complesso, basato sul sentimento di un’origine comune.

Immagine: Google Maps.

Chi è Giulia Tempo

Laureata in "Scienze Internazionali, dello Sviluppo e della Cooperazione" presso l'Università degli Studi di Torino, frequenta un Master in "International Relations" alla London School of Economics. In precedenza ha frequentato un Minor in"Globalisation and Development" presso la Maastricht University. Parla inglese, francese e studia russo.

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