BALCANI: Il traffico delle armi [IV]

Il ministro dell’economia bulgaro, Bojidar Loukarskij, si è detto consapevole che le armi esportate possano in qualche modo finire nei circuiti illegali del mercato nero che alimenta i conflitti in Siria, Libia e Yemen, ma per ora il commercio è legale e non viola né l’ATT, né alcuna dichiarazione e convezione sui diritti umani. Il ministero non ha quindi alcuna prova che esse finiscano nel marasma dei conflitti, né allo stesso modo può controllare che si fermino al Paese importatore, giacché la responsabilità bulgara termina nell’istante in cui la transazione ha fine.

In effetti formalmente la Bulgaria commercia con Paesi non embargati e nel pieno rispetto del diritto internazionale, di più, sottoponendo le transazioni commerciali ad otto gradi di controllo richiesti da regole comunitarie. Questo, sulla base delle dichiarazioni ministeriali, dovrebbe eliminare ogni polemica riguardante il commercio di armi, dal momento che dimostrerebbe che le armi vendute dalla Bulgaria nel calderone dei traffici interni del conflitto siriano.

La VM7, l’azienda si Stato che controlla le vendite di armi e munizioni, non ha alcuna intenzione di estendere i controlli oltre la destinazione di arrivo. Al di là delle formali impossibilità di controllare la destinazione nel mercato nero delle armi vendute ad Arabia Saudita o Giordania o Emirati Arabi Uniti o Turchia, per l’azienda bellica bulgara è importantissimo mantenere il trend di crescita economica. Nel 2008 fu infatti dichiarata insolvente; il debito fu ristrutturato e la crescita economica registrata negli ultimi due anni è eccezionali: dal 2015 lavora a pieno regime e ha dato lavoro a 1200 persone, e negli ultimi semestri tra 2015 e 2016 ha registrato tassi di crescita notevoli.
Oltre alle dichiarazioni bulgare, che descrivono una realtà di comodo, altri Paesi si sono trovati nella posizione di dover dimostrare intenzioni scrupolose.

È il caso della Serbia che il 6 ottobre, di concerto con la Francia, ha approntato dei comitati investigativi congiunti che in linea di principio dovranno redarre documentazioni sui traffici di armi, legali e non. È evidente come la ratio dietro questa decisione voglia evitare che i traffici illeciti non aumentino in conseguenza a controlli di più ampio respiro sul commercio legale. Questo è ancor più vero nel caso della Serbia, uno dei maggiori Paesi esportatori nonché uno dei Paesi dell’area balcanica oggetto dei reportage di Balkan Insight con maggiore produzione odierna di armi. A questa produzione va ricordata la presenza di enormi rimanenze (tra armi e munizioni) della guerra che continuano ad alimentare, grazie all’estrema economicità dei prodotti, il mercato nero delle armi (si parla nel reportage di 200 euro per un fucile AK-47).

Ancora da attendere i risultati di queste indagini, giacché risulta difficile immaginare come si possa indagare le diramazioni che un prodotto può prendere una volta arrivato al Paese importatore: è altresì ovvio che le difficoltà di questo tipo non possono permettere alla Serbia come agli altri Paesi citati nei reportage di BI di scaricare le proprie responsabilità per meri fattori economici.

Fonte: BIRN

Chi è Gianluca Samà

Romano, classe 1988, approda a East Journal nel novembre del 2014. Laureato in Relazioni Internazionali presso l'Università degli studi Roma Tre con una tesi sulle guerre jugoslave. Appassionato di musica, calcio e Balcani.

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