Il parlamento ungherese ha bocciato la riforma costituzionale voluta da Orbán. La modifica avrebbe impedito l’applicazione delle quote previste dall’Unione Europea per la spartizione dei rifugiati tra gli stati membri. Dei 199 parlamentari infatti, 131 hanno votato a favore della modifica a fronte dei 133 voti necessari (maggioranza dei 2/3), perché l’emendamento passasse; tre i voti contrari e 65 gli astenuti.
Tutti i membri di Fidesz, il partito di governo, hanno appoggiato le modifiche previste dal primo ministro. Astenuti i partiti dell’ala sinistra del parlamento, MSZP (Magyar Szocialista Párt – Partito Socialista Ungherese), LMP (Lehet Más a Politika – La Politica Può Essere Diversa) e DK (Demokratikus Koalíció – Coalizione Democratica), i rappresentanti di Együtt (Insieme) e Dialogo per l’Ungheria; a votare contro i tre membri indipendenti dell’assemblea.
Decisivo il voto dell’estrema destra
Il vero ago della bilancia invece è stato Jobbik, partito di estrema destra che inizialmente aveva parteggiato per il governo in merito alla votazione di oggi. Invece i suoi 23 parlamentari si sono astenuti, cambiando le sorti della riforma che avrebbe dovuto mettere una toppa al fallimento del referendum dello scorso 2 ottobre. Ma perché questo cambio di programma?
Durante le votazioni, i parlamentari di Jobbik sventolavano un manifesto di protesta contro Fidesz, su cui campeggiava lo slogan “Il vero traditore è chi fa entrare i terroristi in cambio di denaro!”. Il supporto di Jobbik infatti, era condizionato al divieto di vendita dei “bond di residenza”. Questi sono buoni statali del valore di 300.000 euro che se acquistati garantiscono al richiedente i documenti necessari per rimanere in Ungheria. Dunque la “vendita delle indulgenze” di Orbán è proprio alla base dello scontro con Jobbik, il cui Presidente Gábor Vona dichiarava lunedì: “né migranti ricchi né migranti poveri, né terroristi ricchi né terroristi poveri possono venire in Ungheria” aggiungendo “quello che è importante per Fidesz non è il paese, ma il bottino”.
Fidesz si era detto pronto a rinunciare ai residency bond, ma che in ogni caso non avrebbe accettato ricatti da Jobbik.
Orbanismo in crisi?
La situazione per il primo ministro Orbán potrebbe diventare difficile; se i suoi rapporti con l’Unione Europea sono già incrinati da tempo, non si può certo dire che in politica interna vadano meglio. Il referendum di ottobre è stato un fallimento e la votazione di oggi in parlamento costituisce un’altra sconfitta per il governo in carica.
A fronte di questi due avvenimenti, infatti, probabilmente sarà necessario per Orbán cambiare strategia: anche se la lotta alle quote dei migranti rimarrà un tema chiave della linea di partito in vista delle elezioni del 2018, il premier ungherese dovrà tenere conto dei partiti alla destra di Fidesz, che per il momento non sembrano propensi a scendere a compromessi.
Questo articolo è frutto della collaborazione con MAiA Mirees Alumni International Association e PECOB, Università di Bologna.