UNGHERIA: Referendum, chi ha vinto e chi ha perso

Da BUDAPEST – Il referendum del 2 ottobre non ha raggiunto il quorum. I votanti sono stati il 43%, mentre i No alle quote hanno rappresentato il 98% dei voti validi (3,3 milioni). Ben 223.000 sono state le schede nulle, indicazione di voto del Partito del Cane a due Code, pari al 6,27%. Non è una novità per l’Ungheria una affluenza così bassa, infatti solo in due referendum dal 1989 si è riusciti a superare la metà più uno degli elettori, mentre alle ultime elezioni europee si era recato alle urne solo il 29%. La ripartizione dei votanti tra le regioni ha dimostrato, ancora una volta, la differenza tra Budapest ed il resto del paese. Nelle grandi città infatti, e soprattutto nella capitale, l’affluenza al voto è stata bassa. Mentre nelle regioni storicamente del Fidesz (nord-ovest) l’affluenza ha superato il 50%.

Chi vince?

La notte del voto si sono sprecate le dichiarazioni vittoriose nelle sedi di partiti ed associazioni. Ovunque si parlava di vittoria. Il Fidesz ha sottolineato le percentuali bulgare del No ed ha indicato come 3,3 milioni di oppositori alle quote siano un numero maggiore di chi nel 2003 aveva votato per l’adesione alla UE. Anche la destra radicale, Jobbik, ha da festeggiare, loro hanno sempre ritenuto inutile il referendum chiedendo invece una modifica costituzionale che ora verrà portata avanti anche dal Fidesz. I partiti “del boicottaggio” possono essere soddisfatti perché questa è la prima elezione dal 2009 che non si conclude nella maniera prospettata da Orbán. Grande soddisfazione per il Partito del Cane a due code che per la prima volta ha dimostrato di avere una solida base di consenso. Proprio grazie a questo successo ora il partito satirico si trova di fronte a un bivio. Ieri il presidente ha dichiarato che “con il sostegno ricevuto non possiamo più essere solo un partito barzelletta e quindi ci candideremo alle elezioni politiche del 2018”. Anche le 22 associazioni firmatarie di una dichiarazione di boicottaggio possono ritenersi soddisfatte. La loro critica a un quesito inutile e dannoso è riuscita a mobilitare una parte della società civile come anche le manifestazioni di venerdì hanno dimostrato.

Chi perde?

Senza dubbio tra la schiera dei perdenti vanno ricordati i contribuenti ungheresi. La campagna di questo referendum è stata la più costosa del paese (15 miliardi di fiorini, quasi 50 milioni di euro), in gran parte soldi pubblici. Viktor Orbán non può far finta di niente. Prima del voto l’obiettivo del Fidesz era chiaro: superare il quorum e stravincere. Questo obiettivo è stato via via ridimensionato quando ormai era chiaro che sarebbe stato molto difficile raggiungere il quorum. L’autogol per il partito di governo è evidente. Infatti, sebbene Orbán possa contare ciecamente sulla sua base elettorale, non è riuscito a convincere la maggioranza del paese, su un tema a lui caro. L’opposizione raggiunge il proprio scopo, ma l’astensione è uno strumento difficile da valutare, inoltre nella sera del voto la mancanza di una voce forte e univoca  dimostra ancora una volta come non ci sia né un progetto politico né unità d’intenti sul da farsi.

Cosa succede ora

Nonostante il mancato raggiungimento del quorum, Orbán prosegue per la sua strada. Il premier ha sottolineato come la volontà sia quella di lottare contro la politica europea di accoglienza ed il primo passo sarà dato dal cambiamento della Costituzione.

La lotta a destra

Il giorno dopo il voto nel parlamento è andato in onda lo scontro nella destra ungherese. Jobbik ha chiesto le dimissioni del governo, sottolineando come solo dopo aver speso 15 miliardi inutilmente il Fidesz abbia deciso di seguire la proposta di modifica costituzionale già avanzata dalla destra radicale. Orbán dal canto suo ha attaccato Jobbik, accusandolo di aver fatto fallire il referendum per calcoli politici (nei comuni in cui governa Jobbik la percentuale dei votanti è stata particolarmente bassa), così da essersi venduto a Bruxelles. La lotta nella destra ungherese, iniziata qualche mese fa, continuerà a essere al centro del dibattito nel prossimo futuro.

Conclusioni

Questo referendum aveva importanti valenze politiche in Ungheria. Fidesz non esce ridimensionato grazie al numero dei No, ma il risultato evidenzia una disaffezione verso il governo che si è mostrata proprio in una delle tematiche con cui Orbán pensava di mobilitare maggiormente gli ungheresi.  Quello che rimane dopo il voto sono gli effetti di una campagna elettorale invasiva, dai toni provocatori e spesso violenti. Un messaggio di odio con il quale soprattutto le associazioni che si occupano dei migranti ed i migranti stessi dovranno confrontarsi in futuro.

Chi è Aron Coceancig

nato a Cormons-Krmin (GO) nel 1981. Nel 2014 ho conseguito all'Università di Modena e Reggio Emilia il Ph.D. in Storia dell'Europa orientale. In particolare mi interesso di minoranze e storia dell'Europa centrale. Collaboro con il Centro Studi Adria-Danubia e l'Istituto per gli incontri Culturali Mitteleuropei.

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