UCRAINA: Ucciso il giornalista Pavel Sheremet. Chiunque governi, si muore

Non importa chi sia il presidente in carica, né la direzione del governo. In Ucraina i giornalisti muoiono ammazzati. Qualunque sia il regime, democratico o autoritario, filorusso o filoeuropeo, in Ucraina i giornalisti muoiono ammazzati. La morte di Pavel Sheremet, ucciso a Kiev il 20 luglio da un’autobomba, conferma la precaria situazione della libertà di stampa nel paese. Il nome di Pavel Sheremet è legato alla lunga, e inconclusa, lotta per la libertà di espressione e di stampa nei paesi dell’ex blocco sovietico.

Chi era Pavel Sheremet

Nato a Minsk nel 1971, ha iniziato la sua carriera di giornalista nell’asfittica Bielorussia di Lukashenko, diventando direttore della Belarusskaya Delovaya Gazeta e iniziando a collaborare con l’emittente russa ORT, erede della televisione di stato sovietica. Quest’ultima divenne l’unica voce alternativa in una Bielorussia sempre più sotto il controllo di Lukashenko, al punto che il regime di Minsk cercò più volte di mettere a tacere l’emittente che, nell’epoca Yelstin, aveva assunto una linea marcatamente liberale.

Tra il 1995 e il 1999, Sheremet si vide ritirare le credenziali per lavorare come giornalista e gli fu impedito di uscire dal paese. Nel 1997 fu persino arrestato e accusato di cospirazione a seguito di un servizio, realizzato proprio per ORT, sul traffico di migranti tra Bielorussia e Lituania. Un servizio che mise in serio imbarazzo Lukashenko, impegnato in quei giorni in una operazione di rafforzamento del controllo alle frontiere.

Per questo nel 1998 Pavel Sheremet venne premiato con il Press Freedom Award dal Committee to Protect Journalists (CPJ). Nello stesso anno, a seguito della la crisi finanziaria del 1998, le azioni di ORT passarono all’oligarca Boris Berezhovski, vicino al presidente Yelstin. Sheremet proseguì la sua collaborazione con l’emittente realizzando un’intervista – che il New York Times ritenne troppo “indulgente” – alla moglie del presidente russo, il quale si trovava allora in estrema difficoltà, al punto che avrebbe dovuto rassegnare le proprie dimissioni l’anno seguente.

Malgrado le critiche, a Sheremet fu sempre riconosciuto di essere un portavoce della libertà di espressione, e per questo impegno, nel 2002, ricevette l’OSCE Prize for Journalism and Democracy per “il suo ammirevole coraggio nel riportare in modo indipendente le violazioni ai diritti umani e alla libertà di espressione in Bielorussia, denunciando la sparizione di politici e giornalisti di opposizione”.

Intanto l’emittente ORT passava sotto il controllo di Roman Abramovich, magnate vicino al nuovo presidente russo, Vladimir Putin. Non è dato sapere quali fossero i suoi rapporti con il nuovo inquilino del Cremlino, ma da allora Pavel Sheremet ha maturato un progressivo allontanamento dall’emittente, iniziando nel 2010 una collaborazione con Ukrainska Pravda, quotidiano in lingua ucraina, fondato da Georgiy Gongadze, giornalista indipendente ucciso nel 2000 dalle squadracce agli ordini dell’allora presidente Kuchma (il padrino politico di Yanukovich).

Che giornale è Ukrainska Pravda

Nel 2004 Ukrainska Pravda è stato una voce della Rivoluzione Arancione e tra i più aspri critici del regime di Yanukovich. Oggi il giornale è guidato da Olena Prytula, amante di Gongadze, che – pur essendo russofona – ha sempre voluto mantenere il quotidiano in lingua ucraina. Un giornale che non ha certo rapporti con Mosca ma che non si è tirato indietro nel denunciare gli abusi sulla popolazione civile del Donbass da parte della Guardia Nazionale ucraina e dei reparti paramilitari vicini a Kiev. In tal senso il giornale – oggi solamente nella versione online, anche in lingua inglese – si propone come voce indipendente nello scenario mediatico ucraino.

Tuttavia, dal 2014, Ukrainska Pravda è edito da Sevğil Musayeva-Borovyk, classe 1987, giornalista e attivista crimeano, di famiglia tatara, fondatore di numerose piattaforme di social-media durante Euromaidan, e critico nei confronti dell’intervento russo in Crimea. Già collaboratore di Forbes Ukraine, Musayeva-Borovyk ha lasciato il giornale a seguito dell’acquisizione della testata da parte di Serhiy Kurcenko, uomo vicino a Yanukovich, detto “il re del gas ucraino” ed esponente del clan di Donetsk. Anche per queste ragioni, Ukrainska Pravda può ritenersi un giornale orientato in senso antirusso. Una caratteristica della quale Pavel Sheremet non poteva che essere al corrente.

La morte

La mattina del 20 luglio, come ogni mattina, Sheremet è uscito di casa per recarsi alla redazione di Radio Vesti, dove conduceva un programma di approfondimento politico. Ad attenderlo l’auto di Olena Prytula. Non è chiaro per quale ragione l’automobile fosse in uso al giornalista tuttavia, appena messa in moto, un ordigno è esploso incendiando il veicolo e uccidendo il giornalista. Al momento l’ufficio del procuratore, Yuriy Lutsenko, indaga su tre piste: quella professionale, quella personale e quella “russa”. Quest’ultima è stata fin da subito indicata come una delle ragioni dell’omicidio da Zorian Shkiriak, portavoce del ministero degli Interni ucraino. L’approccio critico tenuto da Ukrainska Pravda nei confronti di Mosca e degli oligarchi filorussi può essere alla base dell’attentato.

Tuttavia occorre ricordare come la nuova oligarchia al potere nel paese, quella del clan di Dnepropetrovsk, che vede nel presidente Poroshenko un suo esponente, sia attraversata da grandi tensioni interne, acuite dalla guerra nel Donbass. Malgrado gli eventi di Euromaidan, l’Ucraina fatica ad approdare a un reale regime democratico, e la classe dirigente di oggi non si distingue molto – per metodi e finalità – da quella precedente. I media giocano, nella lotta per il potere, un ruolo importante e il loro controllo, come pure la cooptazione dei giornalisti, è un elemento costitutivo del sistema di potere ucraino. Altro elemento è l’utilizzo di gruppi criminali attraverso cui imporre la propria supremazia da parte di oligarchi dissidenti, appartenenti a cordate alternative o gruppi rivali. L’omicidio è strumento di potere. Quel che conta, quindi, non è tanto scoprire quale mano ha piazzato il tritolo che ha ucciso Sheremet, ma individuare la rete di interessi che l’ha mossa. Compito tutt’altro che semplice nell’Ucraina di oggi.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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