L’Europa orientale (non) esiste

di Edoardo Corradi e Giorgio Fruscione

Per alcuni inizia a Trieste, punto più a sud di quella “cortina di ferro” compresa tra Stettino, Polonia, e il mar Adriatico; per altri, invece, include solo l’ex blocco sovietico; per altri ancora, solo i paesi che una volta erano parte dell’Unione Sovietica; ed infine, la sola Russia, o meglio, solo la regione ad est degli Urali.

Ma concretamente, che cos’è l’Europa dell’est?

Nel linguaggio comune siamo soliti utilizzare la locuzione “Europa orientale” per identificare un’area abbastanza vaga che si trova al di là del mare Adriatico. Identificare però un’area ben precisa con la quale riferirsi con il termine “Europa orientale” diventa così complesso tanto da far pensare che, forse, l’Europa orientale non esiste. Se infatti siamo così sicuri nel determinare i confini dell’Europa occidentale e, in misura minore, di quella centrale, appariranno molte versioni discordanti su cosa si intende per Europa orientale. Il ricercatore dell’Accademia delle Scienze di Budapest Stefano Bottoni sostiene, nell’introduzione del suo libro “Un altro Novecento. L’Europa orientale dal 1919 a oggi”, che “ha perso da tempo la propria legittimità scientifica per trasformarsi in una denominazione fortemente legata al contesto politico e al rapporto di questa regione con la civiltà occidentale”, definendo l’Europa dell’est come “un concetto a geometria variabile”. D’altronde, come lo stesso Bottoni riporta, “le località che aspirano all’ambita denominazione di “centro d’Europa” sono per la maggior parte lituane, estoni, slovacche, ungheresi, ucraine, polacche e bielorusse”. Niente a che vedere con la nostra idea di Europa centrale e orientale.

Una questione di prospettiva e interpretazione

Come risultato di questa “geometria variabile”, il concetto di “est Europa”, a fronte dell’evoluzione politica e sociale dell’ultimo secolo, ha smesso di essere un mero riferimento geografico, per diventare espressione di un insieme di elementi socio-culturali considerati “altro” rispetto alla cultura occidentale. In altre parole, lo stesso concetto di “est Europa” non sarebbe che un frutto della coscienza collettiva sociale occidentale. Infatti, a seguito del crollo del muro di Berlino e della conseguente migrazione delle popolazioni che vivevano ad est di esso verso i paesi occidentali, si è sviluppata anche un’accezione negativa del termine.

Questo procedimento concettuale è stato ben illustrato da Edward Said in “Orientalism”, in cui l’autore spiega come la stessa idea di “oriente” non sia che il frutto di rappresentazioni culturali pregiudiziali della percezione occidentale circa i “popoli orientali” e di come questa porti a distinguere tra occidentali e non occidentali. In questo modo, il concetto di oriente assume i connotati di arretratezza, primitività, ma soprattutto alterità.

Sulla base del pensiero di Said si è poi sviluppato il concetto di “nesting orientalism”, grazie all’opera di Milica Bakić-Hayden. Secondo l’autrice, questo concetto esprime la tendenza di ogni regione di riferirsi alle culture e religioni ad est di essa come maggiormente conservatrici e primitive. Si prenda, a titolo d’esempio, l’ex Jugoslavia e il processo concettuale con cui le repubbliche che maggiormente hanno voluto l’indipendenza hanno ricercato una emancipazione culturale dall’idea stessa di “Balcani”. La Slovenia, infatti, era legata maggiormente alla cultura mitteleuropea non godendo, inoltre, della lingua comune invece tra serbi e croati; la Croazia, invece, si allontanava ulteriormente dall’ortodossia e dal passato ottomano di Serbia e Bosnia con il fervente cattolicesimo e il background storico della Dalmazia. Questo processo di emancipazione culturale, come spiegato da Maria Todorova in “Immagining the Balkans”, ha portato questi paesi di fatto a rinnegare non solo il proprio passato ma anche un’eventuale appartenenza alla “regione balcanica”. Il tutto si ridurrebbe quindi ad una questione di interpretazione culturale, ovvero alla capacità collettiva di una determinata cultura, popolo o religione di immaginare sé stessa in relazione all’altro.

A tal proposito è esemplificativo il caso della Cina, il cui “orientalismo” sembrerebbe innegabile. Tuttavia, la parola con cui i cinesi si riferiscono al proprio paese, “Zhongguo” (中国), significa “centro della terra”, e non fa che riconfermare come “Oriente” ed “Occidente” non siano che il frutto di interpretazioni collettive.

Europa orientale

L’Europa orientale a est dell’Adriatico

Identificare l’Europa orientale come tutto ciò che è a Oriente della nostra prospettiva italiana, ossia con tutto ciò che si trova a est del mare Adriatico, è una semplificazione che rischia di portare confusione. I Balcani sono orientali tanto quanto l’Ucraina? La Grecia, in tal senso, dove andrebbe a porsi? Nell’Europa orientale, seguendo lo schema geografico, o in quella occidentale, secondo uno schema più ideologico? La Grecia è infatti considerata globalmente come la culla della civiltà occidentale, e la sua integrazione europea nel 1979-1981 andò in tal senso. Rientra anche il caso della Turchia, che fa parte del più ampio dibattito sulla europeità della Turchia.

L’Europa orientale come regione post-comunista

Una delle tante definizioni che viene data al termine “Europa orientale” è quella alla quale appartengono tutti gli stati post-comunisti. Una divisione geografica che riflette la divisione in due blocchi della guerra fredda, andando a inserire in un unico calderone stati diversi per storia e distanti per posizione geografica. Identificando in questo senso l’Europa orientale, la Croazia e la Bielorussia apparterrebbero alla stessa regione, così come la cattolica Polonia e il musulmano Kosovo. In questa definizione l’unico punto in comune è di aver vissuto sotto regimi comunisti. Ma anche in questo punto emerge una frattura: se da un lato i paesi facenti parte l’ex Patto di Varsavia hanno impostato il loro regime statale all’ombra dell’Unione Sovietica, questo non si può dire per la penisola balcanica che ha sperimentato una via nazionale al socialismo in Jugoslavia e ha visto un “non-splendido” isolamento in Albania.

Si può quindi limitare il concetto di Europa orientale a quello comprendente i paesi dell’ex Patto di Varsavia e dell’Unione Sovietica. In tal senso si potrebbe quindi identificare una maggiore vicinanza e contiguità geografica della regione, salvo definire paesi come la Repubblica Ceca o la Bulgaria come paesi orientali. La vicinanza geografica quindi decade, ricadendo nella problematica emersa già nella precedente definizione. L’ex territorio della Repubblica Democratica Tedesca sarebbe quindi Europa orientale?

L’Europa orientale come “Nuova Europa” dopo il 1918

Alla fine della prima guerra mondiale si aprirono nuove direttrici per la politica di potenza europea. La caduta dei grandi imperi e la loro dissoluzione avevano aperto interessanti prospettive per le potenze vincitrici che cercavano di estendere la loro egemonia su questi paesi. In tal senso l’Europa orientale può essere anche considerata come tutto ciò che è emerso dalla grande guerra. In questo caso la locuzione Europa orientale assume non un significato geografico ma uno prettamente politico, come un nuovo spazio di manovra per i paesi della Triplice Intesa.

L’Europa orientale come regione povera

Spesso si identifica l’Europa orientale come tutti quei Paesi a basso livello di reddito, con uno scarso sviluppo infrastrutturale, logistico e tecnologico. Si identifica l’Ovest ricco e democratico con l’Est povero e facilmente incline ai regimi autoritari. In questo contesto quindi riemergono le problematiche precedenti. Il recente sviluppo di determinati paesi, specie dopo l’integrazione europea, farebbe decadere questa definizione, rendendo difficile la coniugazione tra geografia e concetto di Europa orientale.

Può anche essere vista – specie prima dell’allargamento dell’Unione Europea del 2004 dove entrarono Slovenia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Cipro e Malta – come la regione comprendente i territori che l’UE vorrebbe integrare nella sua struttura. Ma una volta integrati, decadrebbe il concetto di Europa orientale come “Europa da integrare”, essendo giunti alla conclusione del processo d’integrazione. Gli stessi paesi di quelli considerati dell’est, come la Polonia, vedevano nell’integrazione europea come un “ritorno in Europa”, senza identificare delle distinzioni tra la parte occidentale e orientale del continente

Conclusioni

Cosa significa, quindi, Europa orientale? Può voler dire tutto e niente. Può significare un luogo geografico bene o scarsamente definito, uno luogo ideale legato alla storia o alla cultura, un luogo politico, un luogo economico. Dare una definizione univoca appare però complicato e si lega alle percezioni di ogni singola persona. I molteplici significati che ha la locuzione “Europa orientale” fa comprendere come tale termine sia un costrutto artificioso, le cui radici risiedono nei molteplici significati che abbiamo provato a suggerire.

Per questa ragione sono giunte delle nuove suddivisioni geografiche del territorio europeo, andando a identificare l’area balcanica come quella sud-orientale, quella centrale “mitteleuropea” alla quale fanno parte paesi come la Germania, l’Ungheria e la Polonia, quella orientale con l’Ucraina, la Bielorussia e la parte della Russia europea. Ma forse, anche in questo caso, sarebbe meglio trovare una nuova connotazione e dimenticare, una volta per tutte, l’Europa orientale.

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