Muranòw, Warsaw

POLONIA: Muranów, la rinascita di un quartiere

Varsavia è tra le mete europee più gettonate degli ultimi tempi. Grazie anche ai low-cost che permettono di visitare la Polonia al di là della più battuta Cracovia, la capitale polacca sta vivendo la sua primavera. Se il famoso quartiere di Praga, noto per essere il più alternativo e bohémien della metropoli, è rifiorito per le iniziative culturali di artisti nazionali e stranieri che hanno ripopolato gli edifici abbandonati (Praga veniva considerata fino a qualche decennio fa il fulcro della criminalità cittadina), diversa è stata per anni la situazione negli altri distretti. Condannati a una conformazione urbana prettamente residenziale, senza alcuna vocazione turistica o artistica, hanno sempre vissuto all’ombra dell’imponente e ultra-moderno centro finanziario, e della città vecchia. Partendo da questo constatazione, Peter Richards, un consulente inglese da diversi anni a Varsavia, affermò in un’intervista al Gazeta Wyborcza Stołeczna che il problema della città fosse proprio l’inespressività dei suoi quartieri. Era il 2010 ma già qualcosa iniziava a muoversi nel distretto di Muranów. Beata Chomątowska, che allora lavorava al suo primo libro, “Stacja Muranów”, oggi è la presidentessa dell’omonima associazione protagonista di una rigenerazione urbana. East Journal ha scambiato due chiacchiere con lei per ripercorrere la storia di questo progetto.

Non un quartiere qualunque

Abitato per decenni principalmente da ebrei e per questo parte del ghetto di Varsavia durante l’occupazione tedesca, Muranów è oggi un immenso quartiere residenziale che ospita 40.000 persone. «Rispetto al Kazimierz di Cracovia o ad altri quartieri ebraici in Europa, è stato progettato per farne un complesso abitativo disegnato come monumento del ghetto. In parte è stato costruito sulle sue stesse rovine (Varsavia è stata quasi totalmente distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale) e sorge su colline artificiali composte da macerie. Anche i resti umani sono rimasti sepolti lì per sempre. Questa caratteristica influenza la vita nel quartiere. È come vivere sulla cenere» – racconta Beata, giornalista e scrittrice. E in questo grande cimitero la vita è stata, infatti, a lungo assente.

Muranòw dopo la Seconda Guerra Mondiale

«Oggi qualcosa sta cambiando: molte ONG hanno posto lì la loro sede, e così anche bar, ristoranti e il Museo POLIN sulla storia degli ebrei polacchi». Parecchia vitalità è stata iniettata dall’Associazione Stacja Muranów, nata su spinta di quella stessa critica comparsa su Gazeta Wyborcza Stołeczna e dopo aver organizzato il Future City Game – un laboratorio promosso dal Consiglio Britannico affinché residenti, autorità locali e attivisti si incontrino per identificare e risolvere problemi di un’area urbana – dal titolo “Sveglia Muranów”.

“Sveglia, Muranów”

Intercettando prima e dopo il Future City Game altri uomini e donne entusiasti del progetto, l’associazione ha preso forma distinguendosi sin da subito per la sua spontaneità e caparbietà. «Abbiamo vinto un bando per l’assegnazione di spazi non utilizzati presentando un ambizioso programma culturale che all’epoca non sapevamo nemmeno come realizzare. Dieci tra noi – quelli che potevano permetterselo – si sono auto-tassati per pagare l’affitto nei primi mesi e imprimere lo slancio iniziale. Lentamente abbiamo iniziato a organizzare differenti attività, gratuite e a pagamento, richiedere finanziamenti e ottenerli». Oggi a Stacja Muranów è presente anche un bar nello spazio dato in concessione a una coppia di amici desiderosi di gestire una piccola caffetteria.

Caffetteria Stacja Muranòw

«Ogni anno abbiamo fatto qualche passo avanti. L’altra particolarità dell’associazione è che la maggior parte delle persone che ne fanno parte si è incontrata su Internet. C’è stata molta spontaneità e fiducia sin dall’inizio. Certamente questo ha avuto anche i suoi svantaggi e li abbiamo pagati successivamente, ma l’attuale consiglio – siamo in cinque – è composto da gente che non si era mai conosciuta prima e che lavora insieme dai primissimi tempi, quindi l’idea di non avere un’idea sembra funzionare» – continua Beata, che come gli altri si dedica all’associazione nel tempo libero. Tra sponsor, caffetteria, e affitto degli spazi restanti ad altre ONG, Stacja Muranów riesce ormai a gestirsi autonomamente e finanziare le attività socio-culturali. «Sin dall’inizio ci siamo concentrati su poche cose: promuovere le attività socio-culturali per animare il distretto; lavorare con la comunità locale affinché comprendesse l’unicità del quartiere, il suo passato ebraico e il suo legame col presente; promuovere Muranów a Varsavia e all’estero. Siamo un’organizzazione formata da giovani creativi che vanta un network molto ampio e forte, dalle ONG alle organizzazioni ebraiche.

Un modello replicabile?

Superata la fase in cui residenti erano troppo poco attivi per sostenere le iniziative del quartiere, quest’ultimo ora attrae gente proveniente da tutta Varsavia e anche dal circondario. «Pochi anni fa il nome “Muranów” non era molto conosciuto al di fuori della città, ora è diventato sinonimo di “quartiere ebraico”. Non so se il modello sia perfettamente replicabile. Personalmente, quello che mi spaventa sarebbe la totale gentrificazione dell’area come avvenuto a Kazimierz nella mia città natale, Cracovia, dove i residenti sono stati costretti a trasferirsi perché ogni cosa è diventata artificiale e mirata ai turisti. Ma sono abbastanza sicura che non può accadere a Muranów, almeno non fino a tal punto, per due fattori: l’essere un quartiere residenziale e la sua proporzione».

Murales Muranòw

E per conoscere un distretto senza stravolgerne l’essenza, l’associazione si è inventata delle piccole escursioni urbane lontanissime dai prodotti turistici di massa e incentrate su temi specifici: le varie rappresentazioni della memoria nell’area, l’idea del “complesso residenziale come monumento”, i murales. Proprio questi ultimi costituiscono il fiore all’occhiello delle attività di Stacja Muranów per aver dato colore a un’area fondamentalmente grigia. «Il primo murales è stata anche una lezione su come cooperare con la comunità locale, coinvolta sin dall’inizio, ed educare al passato ebraico in maniera diversa da quanto facciano le stele commemorative. Ha funzionato. Così abbiamo pensato di farne un altro e poi altri ancora». Beata Chomątowska è stata anche l’ispiratrice del famoso murales dedicato a David Bowie, finanziato tramite crowdfunding e inaugurato a metà aprile nel quartiere di Żoliborz.

Una fucina di idee

«Abbiamo iniziato localmente ma non possiamo rivolgerci solo ai polacchi. Per me Muranów è un fenomeno che può essere riconosciuto globalmente e serve come esempio di una narrazione connessa alla memoria e agli esperimenti urbani e architettonici». Un esempio? «La creazione di un portale online su Varsavia e Berlino insieme a una associazione partner tedesca e all’artista Maria Kossak che vive nella capitale. Sarà una sorta di giornale virtuale e una piattaforma di contatto tra i creativi delle due città. Apparirà quest’anno, per il 25esimo anniversario della partnership tra le due capitali». Noi lo stiamo solo aspettando.

Chi è Paola Di Marzo

Nata nel 1989 in Sicilia, ha conseguito la Laurea Magistrale in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso la Facoltà "R. Ruffilli" di Forlì. Si è appassionata alla Polonia dopo un soggiorno di studio a Varsavia ma guarda con interesse all'intera area del Visegrád. Per East Journal scrive di argomenti polacchi.

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