E’ stata inaugurata sabato 7 maggio, a ventitré anni dalla sua distruzione e a 15 dalla posa della prima pietra, la moschea Ferhadija di Banja Luka, nel capoluogo dei serbi di Bosnia.
La moschea Ferhadija, così come il famoso ponte di Mostar, era un capolavoro dell’architettura ottomana del XVI secolo. Secondo la leggenda dopo l’inagurazione della moschea nel 1579 il suo costruttore, Ferhat pascià, fece condannare a morte e rinchiudere nel minareto architetti e muratori, perché non potessero più costruire nulla di così bello – ma questi si tramutarono in uccelli e volarono via.
Nonostante fosse protetta come monumento UNESCO sin dal 1950, la moschea Ferhadija, come la vicina moschea Arnautija, venne rasa al suolo nella notte del 7 maggio 1993. Il minareto, sopravvissuto all’esplosione, venne abbattuto in un secondo tempo. La demolizione della moschea richiese grandi quantità di esplosivi e il coordinamento di molteplici persone e macchinari, facendo così presumere il coinvolgimento delle autorità separatiste serbobosniache. Si dice, come racconta Gordana Knezevic, che i vetri delle finestre di tutto il quartiere andarono in frantumi per il botto – tranne quelle del Ministero dell’Interno dell’autoproclamata Republika Srpska, che erano state lasciate aperte. Tuttavia, nessuno è mai stato punito per quel crimine, nonostante politici serbobosniaci come Radoslav Brdjanin siano stati condannati dall’ICTY a 30 anni per aver organizzato la distruzione delle proprietà di cittadini bosniaci musulmani.
A differenza di Sarajevo e di altre città, Banja Luka non si trovò mai in prima linea durante la guerra in Bosnia. Ma la città su soggetta a deliberate e sistematiche campagne di pulizia etnica contro i non-serbi. Allo scoppio della guerra, musulmani e croati persero il lavoro, ebbero le loro proprietà confiscate, e fu loro intimato di lasciare la città. La distruzione della Ferhadija mandava loro un messaggio chiaro: non c’è posto per voi qui ed ora. Tutte le 16 moschee di Banja Luka vennero rase al suolo entro il 1995. Dei 30.000 bosniaci musulmani che abitavano a Banja Luka prima del conflitto, solo un quarto è rimasto.
A lungo sul sito della moschea rimase un parcheggio. Un primo permesso alla Comunità Islamica per la ricostruzione della Ferhadija venne dato nel 2001, ma la cerimonia di posa della prima pietra, il 7 maggio, fu attaccata da un gruppo di mille ultranazionalisti serbi che lanciarono pietre, incendiarono auto, tappeti, e una vicina panetteria di una famiglia bosgnacca, oltre ad issare la propria bandiera sul tetto del locale Centro islamico. Nel frattempo, 250 persone tra cui gli ambasciatori di ONU, Regno Unito, Svezia e Pakistan restavano chiusi all’interno, venendo poi liberati dalla polizia. Alla fine della giornata si contavano un morto e trenta feriti. “Fu uno dei giorni peggiori della mia vita. Mi piacerebbe e spero che l’odio se ne sia andato oggi, ma temo che non sia così”, ha raccontato al Guardian il giornalista indipendente Aleksandar Trifunovic.
La ricostruzione della moschea è stato un processo lungo e laborioso, non solo per l’atmosfera ostile. Anima della ricostruzione è stato Muhamed Hamidovic, professore di architettura dell’università di Sarajevo, che già negli anni ’70 aveva preso schizzi e disegni della moschea. Gli schemi per la restaurazione della moschea dopo il terremoto del 1968 permisero di completare il progetto. I resti dell’edificio, sparsi in varie località – alcuni gettati nel fiume Vrbas, altri in varie discariche – vennero recuperati con l’aiuto dei residenti. L’unica colonna integra fu recuperata sul fondo di un laghetto, dopo essere stata notata dal locale club di sommozzatori. Le pietre vennero scansionate una ad una per ricostruirne al computer l’originale posizionamento. In tutto vennero recuperati circa 3.500 frammenti, il 65% del materiale originale della moschea. Per le parti mancanti, Hamidovic identificò le cave originarie grazie a documenti d’archivio ottomani, e fece intagliare dei pezzi sostitutivi. Si tratta del più complesso e significativo progetto di ricostruzione architetturale dopo l’inaugurazione del nuovo Ponte di Mostar nel 2004, paragonabile alla riapertura della Vijecnica di Sarajevo nel 2014. “Sono convinto che abbiamo lavorato in maniera professionale, usando metodi simili a quelli originari”, commenta Hamidovic. “Può essere un modello per la ricostruzione degli oltre 2.500 monumenti storici e culturali distrutti durante la guerra. E, ovviamente, sono contento che la gente possa riavere le proprie memorie“.
La ricostruzione della Ferhadija è stata resa possibile da fondi privati, del governo della Republika Srpska, e dell’Agenzia di Cooperazione della Turchia. La cerimonia di riapertura, alla quale erano attese 20.000 persone e per la quale era previsto un ampio dispiegamento di forze dell’ordine, dovrebbe simboleggiare l’accettazione del passato ottomano e della presenza musulmana nel capoluogo serbo-bosniaco. Anche le autorità serbobosniache ci tengono a sottolineare che la Republika Srpska non è più quella del 1993 o quella del 2001. Il presidente Milorad Dodik ha partecipato all’inaugurazione, portando in dono tre tappeti persiani; con lui c’erano il premier turco Davutoglu e l’imam della regione di Banja Luka, Osman Kozlic. “Molti cristiani ortodossi con cui ho parlato mi han detto che la Ferhadija è parte dei loro ricordi. Dobbiamo mantenere questo sentimento e proteggere e sviluppare la nostra cultura comune“, ha commentato l’imam. E il ministro degli interni della Republika Srpska, Dragan Lukac, ha affermato che “dobbiamo mandare un messaggio di pace, tolleranza e coesistenza, per mostrare che Banja Luka è un posto in cui chiunque può vivere”. Ma, secondo Trifunovic “coloro che mantengono il paese in uno stato di odio saranno in prima fila all’apertura della moschea, e questo non è giusto”.
Foto: RFE/RL