CALCIO: Tessera del tifoso a Est. Ferencváros in guerra, tra i tifosi e il vice di Orbán

Questo articolo è la seconda parte di una serie più ampia relativa alla cosiddetta “tessera del tifoso” nei paesi dell’area est-europea. Questo articolo affronterà il peculiare caso ungherese e in particolare la faida in corso tra dirigenza e tifosi del Ferencváros, la principale squadra di Budapest. Leggi la prima parte.

Risale al 2010 l’introduzione in Ungheria di un’apposita tessera per l’acquisto dei biglietti delle partite di calcio. Il primo club a dotarsene fu il più conosciuto e tifato della nazione e di Budapest: il Ferencváros (dai propri tifosi chiamato familiarmente Fradi). Come motivazione venne addotta la necessità di contrastare le violenze all’interno degli stadi, a seguito degli incidenti verificatisi in occasione degli incontri dei biancoverdi del Ferencváros con l’Hertha Berlino, con il Diόsgyör e nel derby in casa dei rivali cittadini dell’Ujpest.

Negli anni successivi il possesso della tessera è divenuto obbligatorio per tutte le tifoserie, anche per potersi recare in trasferta. Dopo molte proteste, la più clamorosa delle quali è stata – nel derby dell’aprile 2015 tra Ferencváros e Ujpest – la diserzione dello stadio da parte di entrambe le tifoserie (raggruppatesi, riunendo diverse migliaia di persone, davanti a due distinti maxischermi per seguire la partita), il 30 giugno 2015 le autorità calcistiche ungheresi hanno comunicato che, a partire dalla stagione 2015/16, il possesso della tessera non sarebbe più stato necessario per l’acquisto dei biglietti delle partite. Tale decisione è stata spiegata sia con l’avvenuto raggiungimento di un sufficiente livello di controllo a mezzo degli strumenti anche informatici già adottati, sia con la necessità di non penalizzare oltremodo, con adempimenti onerosi e farraginosi, coloro che intendono accedere agli stadi.

La quasi totalità delle società calcistiche d’Ungheria ha pertanto reso facoltativa la sottoscrizione della tessera, così favorendo un parziale ripopolamento degli stadi ungheresi, dove la media spettatori è assai bassa (si attesta intorno alle duemila presenze a partita). Tuttavia, persiste ancor’oggi una situazione anomala ed eccezionale, che riguarda il Ferencváros. In seno alla società biancoverde di Budapest – che nella stagione in corso guida la classifica del campionato con ampio margine di vantaggio sulle inseguitrici, veleggiando verso il ventinovesimo titolo d’Ungheria (titolo che il Fradi non vince dal 2004) – è in atto da più di un anno una dura contrapposizione tra il presidente Gábor Kubatov e gli ultras, guidati dal gruppo dei Green Monsters. Gábor Kubatov, imprenditore ungherese con ambizioni politiche sempre più marcate, è presidente del Ferencváros dal 2011: dopo alcuni anni di sostanziale collaborazione con la tifoseria più accesa, nel 2014 ha improvvisamente mutato atteggiamento, facendosi promotore dell’adozione di invasivi strumenti di controllo, a cominciare dallo scanner biometrico.

Tale iniziativa sarebbe conseguita – secondo i media ungheresi – ad alcuni episodi che misero in pessima luce, agli occhi della federcalcio e degli sponsor (ma non solo), la tifoseria ultras del Ferencváros, politicamente molto orientata a destra – in essa fa larga presa il movimento nazionalista Jobbik -, sulla falsariga del ruolo storico assunto dalla società biancoverde (squadra-simbolo dell’opposizione al regime comunista: molti tifosi del Ferencváros fecero parte delle “prime linee” della rivoluzione del 1956). In particolare causò indignazione l’esposizione nell’agosto 2013 di uno striscione in memoria di Lászlό Csatáry, accusato di aver partecipato alla deportazione di oltre 15 mila ebrei slovacchi nei campi di concentramento nazisti. Csatáry era deceduto a 98 anni a Budapest dopo essere sfuggito alla condanna a morte decretata dal Tribunale di Košice e aver vissuto oltre mezzo secolo sotto mentite spoglie tra il Canada e Buda (la parte occidentale della capitale ungherese) dove era stato arrestato solo nel luglio 2012.

L’esposizione dello striscione incriminato avvenne nel vecchio stadio del Ferencváros, poi demolito e sostituito – a partire dalla stagione 2014/15 – dalla modernissima Groupama Arena. Oggi chiunque voglia entrarvi – abbonato, sostenitore occasionale, semplice “turista del tifo” – deve possedere la tessera del Ferencváros (per il cui rilascio bisogna fornire una lunga serie di dati, con conseguenti lentissime code alle biglietterie) e deve sottoporsi, una volta giunto ai tornelli di ingresso, al riconoscimento mediante scansione del palmo della mano. Si tratta di un moderno sistema di controllo, ritenuto infallibile, per l’adozione del quale sono state spese ingenti somme di denaro.

Per contrastare tali imposizioni, gli ultras del Fradi hanno scelto la strada del boicottaggio, disertando lo stadio nelle partite casalinghe e limitandosi a presenziare in trasferta quando loro consentito. Ma non solo. Hanno dato vita a una protesta organizzata, sviluppatasi in molteplici iniziative: cortei (di cui uno fin sotto casa di Kubatov, nell’estate 2015), conferenze stampa, manifestazioni unitarie con altre tifoserie. Infine, lo scorso 13 marzo, hanno massicciamente presenziato in oltre diecimila unità a una partita della seconda squadra del Ferencváros, militante nella serie C ungherese, dando un’ulteriore dimostrazione di forza numerica e di attaccamento ai colori sociali. La dirigenza del Ferencváros è però rimasta ferma sulla propria posizione: sottoscrizione della tessera del tifoso e sottoposizione allo scanner biometrico restano per ora requisiti indispensabili per l’ingresso alla Groupama Arena.

Il pugno di ferro societario ha una spiegazione anche politica: Gábor Kubatov è uno dei quattro vicepresidenti del partito conservatore Fidesz (propugnatore di una politica patriottica e di interventismo statale in campo economico), il cui leader è l’attuale premier Viktor Orbán. Le connessioni tra la gestione del club e il ruolo politico di Kubatov sono molteplici. Tra queste, il ricorso da parte del presidente del Ferencváros, sia nella gestione della tifoseria sia in alcune delicate vicende politiche, a una squadra di sicurezza privata, composta per lo più da ex-galeotti (tra i quali anche alcuni pregiudicati per omicidio), ex-poliziotti ed ex-hooligan ora passati al soldo della dirigenza. È la famigerata security del Ferencváros, assurta agli onori delle cronache per numerosi episodi di violenza e di intimidazione ai danni dei tifosi dissidenti. Alcuni dei membri di tale “squadra di sicurezza” non hanno fatto mancare la propria presenza anche in circostanze politiche, come quando lo scorso 23 febbraio hanno impedito al leader dei parlamentari socialisti di accedere all’ufficio elettorale nazionale per depositare una proposta di referendum.

Numerose sono le analogie con la perdurante situazione di conflitto, nella confinante Croazia, tra i tifosi della Dinamo Zagabria e il dirigente del club e della federcalcio croata Zdravko Mamić. Emergono però due significative differenze: la persistenza di rigidi e invasivi controlli per l’ingresso allo stadio del Ferencváros e l’attribuzione al presidente del club Gábor Kubatov di una carica politica che gli consente di muovere le fila della latente contrapposizione con la tifoseria da una posizione senz’altro privilegiata. L’accantonamento della tessera non sembra, per ora, aver risolto tutti i problemi esistenti negli stadi d’Ungheria, almeno fintantoché non verrà fatta maggior luce sulla zona grigia tra sport, business e politica che ammorba le ormai già deboli fondamenta del calcio ungherese.

Foto: Facebook (Groundhopping)

Chi è Paolo Reineri

Nato nel 1983, torinese. E’ avvocato dal 2009. Appassionato di sport con particolare interesse per i suoi risvolti sociali, ha affiancato alla propria attività professionale l’approfondimento delle tematiche e delle vicende, sportive e non solo, dell’area est-europea, collaborando anche con l’emittente Radio Flash e con la rivista Fan’s Magazine.

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