Questo articolo è la prima parte di una serie più ampia relativa alla cosiddetta “tessera del tifoso” nei paesi dell’area est-europea. Questo primo articolo affronterà i casi in cui la tessera è stata introdotta e poi revocata, mentre i successivi articoli affronteranno i casi in cui la tessera è tutt’ora in vigore e infine i casi in cui l’adozione della tessera è programmata.
L’idea dell’introduzione di una “tessera del tifoso”, controverso strumento adottato in Italia a partire dalla stagione calcistica 2010/2011 a mezzo di semplice direttiva del ministero dell’Interno, ha fatto recentemente proseliti anche nell’area est-europea. Con sorti, tuttavia, spesso assai diverse da quelle “magnifiche e progressive” propagandate nel belpaese. Tale tessera, solitamente abbinata a un circuito bancario, consiste nella sua versione italiana in una carta – contenente una fotografia del titolare – che, previa autorizzazione dell’autorità di polizia, viene rilasciata dalle società di calcio a chi non ricade in alcuna delle fattispecie ostative previste (condanne per reati da stadio, ecc). In Italia il possesso della tessera del tifoso è obbligatorio, già dal 2010, per l’acquisto sia degli abbonamenti stagionali sia dei biglietti dei settori ospiti.
La diffusione nell’Europa dell’est di strumenti assimilabili alla tessera del tifoso può essere ricondotta a tre diverse situazioni: stati in cui la tessera è stata introdotta e poi revocata, stati in cui la tessera è ad oggi applicata, e, infine, stati in cui è in programma la sua adozione. Iniziamo dai paesi in cui il tentativo è miseramente naufragato.
Croazia
Nell’ottobre 2013 fu imposto ai tifosi di calcio croati il possesso di uno speciale “voucher” per poter acquistare i biglietti delle partite in trasferta della propria squadra. Per poter ottenere tale voucher era necessario inviare alla società calcistica “di appartenenza” i propri dati, comprensivi del numero di carta d’identità: il club avrebbe quindi deciso il rilascio o meno della tessera, indispensabile per l’acquisto dei biglietti delle trasferte, da effettuarsi con congruo anticipo rispetto al giorno della partita in modo da consentire la trasmissione dei dati alla società ospitante almeno 24 ore prima dell’incontro.
L’opposizione delle tifoserie croate, e in particolare dei principali gruppi ultras (Bad Blue Boys della Dinamo Zagabria e Torcida dell’Hajduk Spalato), fu subito netta e decisa. Non va trascurato, nella lettura delle vicende croate, che il contrasto al voucher si è innestato sulla latente contrapposizione tra gli ultras di Zagabria (ma non solo) e Zdravko Mamić, plenipotenziario del calcio locale (già direttore esecutivo della Dinamo, carica da cui si è recentemente dimesso a seguito del suo coinvolgimento in scandali finanziari, nonché figura de facto apicale della federcalcio nazionale).
Fu così che nel derby di Croazia tra Dinamo e Hajduk del dicembre 2013, disputato nella capitale, si verificò un unicum nella storia del calcio croato: le tifoserie ultras delle due squadre marciarono insieme in corteo sino al vecchio e glorioso stadio Maksimir, dove presero entrambe possesso della tribuna “est”, coalizzandosi contro Mamić e la decisione della federcalcio. Anche le altre tifoserie croate, sull’onda lunga dell’esempio dei due gruppi più noti e numerosi, rifiutarono il voucher: per aggirare i divieti fu intrapresa una collaborazione tra tifoserie per l’acquisto dei biglietti, in una sorprendente spirale di reciproca “solidarietà da stadio”. Dinanzi a tali premesse, già nel febbraio 2014 la federcalcio croata decise di abolire il sistema del voucher e delle trasferte regolamentate dalle società calcistiche, riconoscendone l’inutilità e gli esiti controproducenti.
In terra croata la “tessera” è pertanto sopravvissuta solo pochi mesi. La sua abolizione non ha però impedito il prolungarsi di una situazione di forte tensione tra gli ultras e le autorità calcistiche, rappresentata dal conflitto tra i tifosi della Dinamo e Zdravko Mamić. Divieti di varia natura si sono susseguiti (blocco di singole trasferte, creazione di black list di tifosi cui è stato impedito l’acquisto dei biglietti, ecc). Né sono mancate sanzioni ad hoc quali l’emissione di misure analoghe ai DASpo – e cioè ai divieti di accesso negli stadi – per il mancato rispetto dei posti assegnati, per cori ingiuriosi, per accensione di torce e fumogeni. Tuttavia, nonostante le turbolenze del calcio croato, a partire dal febbraio 2014 le limitazioni delle libertà di movimento dei tifosi non hanno più trovato appiglio in una misura generalizzata come quella del voucher.
Polonia
Le origini normative della tessera del tifoso polacca risalgono alla legislazione del 2009 sulla sicurezza negli eventi “di massa”. Di lì a poco le carte dei tifosi vennero rese obbligatorie dalle società sportive: per entrare in uno stadio polacco si doveva non solo fornire una lunga serie di dati personali, ma anche consegnare una propria fotografia da applicare sulla tessera, avente quest’ultima l’ulteriore funzione di carta di credito. Ciò era necessario anche per assistere a una singola partita “casalinga”, costringendo così alla sottoscrizione della tessera, e ai relativi adempimenti, persino gli spettatori stranieri in “visita turistica” negli stadi di Polonia.
Tali disposizioni si sono presto rivelate non solo inutili sotto il profilo della sicurezza, ma anche dannose dal lato economico. Esse hanno infatti comportato una drastica riduzione delle presenze negli stadi polacchi: la tessera veniva rifiutata dagli ultras in forza di un’opposizione di principio, ed era al contempo malvista dai tifosi più tiepidi per i disagi connessi, a cominciare dalle ore di attesa alle biglietterie e agli ingressi. Di ciò si sono rese conto nel 2013 anche le autorità calcistiche polacche, tra cui il consulente della sicurezza della Ekstraklasa (la serie A locale) Seweryn Dmowski, il quale ebbe a dire che «è più facile imbarcarsi su un aereo che entrare in uno stadio polacco». Federcalcio e società di gestione della Ekstraklasa si sono pertanto fatte portavoci di specifiche richieste agli organi politici, instando nel febbraio 2013 per l’eliminazione del riconoscimento fotografico e, nell’autunno dello stesso anno, per l’abolizione dell’obbligatorietà del possesso di un’apposita tessera per entrare negli stadi. Nel 2014 la Commissione parlamentare sullo sport ha deciso di accogliere gran parte delle domande provenienti dal mondo del calcio, adoperandosi per l’eliminazione della necessità sia del riconoscimento fotografico sia della tessera obbligatoria.
Le società sportive hanno quindi colto la palla al balzo: una dopo l’altra hanno annunciato la dismissione dello strumento di controllo, che – è stato calcolato – avrebbe scoraggiato circa 700.000 persone dall’entrare negli stadi polacchi. Nel febbraio 2015 il Legia Varsavia, che deteneva il record di oltre 300.000 tessere emesse, ha annunciato che la carta del tifoso non sarebbe più stata necessaria per l’acquisto dei singoli biglietti, pubblicizzando ufficialmente l’iniziativa con lo slogan “Lo stadio è di nuovo aperto a tutti”. Il cerchio si è quindi chiuso con l’approvazione definitiva, nell’ottobre 2015, della nuova legislazione sugli eventi sportivi di massa, sottoscritta dal presidente Duda e in vigore da metà novembre dello scorso anno, con la quale è stata ratificata una decisione nell’aria da tempo: per poter acquistare un biglietto ed entrare allo stadio in Polonia è ora sufficiente mostrare soltanto un documento d’identità. I tifosi festeggiano, gli incassi delle società aumentano, la sicurezza – almeno per ora – non pare essere incisa.
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Foto: corteo Torcida Split a Zagabria contro il voucher (Facebook)