Amo gli albanesi

Essere cresciuti con il pupazzo One – quello di Bim Bum Bam per intenderci, nefasto contenitore di cartoni animati giapponesi – o con i telefilm americani trasmessi dalla Fininvest, oppure con Ok il prezzo è giusto, e una Iva Zanicchi che scandiva “cento, cento, cento”, ebbene, essere cresciuti ed educati da quella becera televisione è una cosa che ha segnato una generazione di italiani. Ma non solo, anche una generazione di albanesi. Quella rappresentazione del bengodi, quel profluvio di luci e biglietti verdi che cadevano dal cielo, quei montepremi e quelle vallette scosciate, te li porti dietro per tutta la vita, come una cicatrice. Già, una cicatrice. Non si esce vivi dagli anni ottanta, avrebbe cantato una band qualche anno dopo. Non si esce vivi, cioè, da una mistica del consumo, da una falsificazione della realtà, dalle promesse di mulini bianchi mai mantenute. Il risveglio è stato brutale.

Ecco, dicevo gli albanesi. Loro ne sono usciti vivi, abbastanza almeno. Quelli della mia generazione sono il mio specchio, solo con qualche livido in più. La crisi loro se la sono presa in faccia fin da piccoli. Noi abbiamo tangibilmente creduto, almeno per un poco, a quel sogno grasso e campestre di bianchi mulini, di robot spaziali con circuiti di mille valvole, come si crede a un babbo natale. Noi abbiamo goduto di quella fede, di quella certezza d’ubertoso avvenire. Loro ebbero la dittatura per infanzia, la cruda realtà dello sfacelo, la psicosi dei bunker, fino a quel 1991 e alla grande fuga verso Lamerica. Ma non ci fu Iva Zanicchi ad attenderli a braccia aperte.

Ci fu indifferenza, italica barbarie, “ributtiamoli a mare”, e altre caramelle velenose di un popolo razzista cresciuto a boom economico, pane bianco, utilitaria in giardino, vacanze ai mari o ai monti, illusioni di un benessere che quella sberla di realtà rappresentata dai barconi albanesi metteva in discussione. Ma loro, gli albanesi, hanno vinto. Sarà per questo che ho sviluppato una profonda ammirazione per loro. E’ ora di fare coming out, lo dico e lo confermo, io amo gli albanesi.

Perché sono come noi, ma meglio di noi. Sono coraggiosi, tenaci, intelligenti, e sono i migliori italiani che abbia mai conosciuto. Italiani, sì. Senza virgolette. Perché Iva Zanicchi o Gira la Ruota valgono più di ogni passaporto. Quei circa 500mila che l’ISTAT ha censito quest’anno sono italiani – di cuore e di testa. Non hanno mai dimenticato le proprie radici, e perché mai dovrebbero, e prova a criticare il loro paese – loro possono, e lo fanno continuamente, ma tu non puoi mica – che ti cavano gli occhi. Ma amano il nostro, che è anche loro, e lo migliorano con creatività, spirito imprenditoriale, senza farsi fermare dalle narrazioni del “tanto è impossibile” che a noi, italici figli delle utilitarie in giardino, servono da consolazione. Per un emigrante niente è impossibile.

Loro hanno tenuto duro, testa bassa, lavorare e guadagnarsi pane e rispetto fino a che si cominciò a sentire frasi del tipo: “E’ albanese però è una brava persona”. Quel “però” era il segno di una breccia fatta nella xenofobia italica. Oggi è impossibile non avere mai fatto conoscenza (amicizia?) con un albanese. Ed è quindi impossibile non averne visto le qualità, decisamente superiori ai difetti.

Nessuno ha mai regalato niente agli albanesi. Tutto quello che hanno ottenuto se lo sono guadagnato centimetro per centimetro. Sulla loro bandiera campeggia un’aquila a due teste, e così credo siano loro: una testa guarda il futuro, i bambini che faranno, la vita che hanno e dovranno costruire in questo paese avaro di opportunità; l’altra testa guarda al passato, ai genitori e ai nonni, all’Albania che non si dimentica e che si vorrebbe più giusta e più onesta con i suoi figli.

Gli albanesi sono i migliori italiani che ci siano. Hanno saputo integrarsi, fondersi, cambiare e cambiarci, diventando indistinguibili senza assimilarsi, senza rinunciare a ciò che sono. Siamo diventati un paese più adulto grazie a loro, abbiamo imparato che ci sono anche gli altri, e a conviverci, abbiamo imparato che l’immigrazione non è un male – sì, c’è ancora qualche verde recidivo – e che non esistono bianchi mulini. E spero davvero che domani avremo un presidente del consiglio di origine albanese, altro che Obama! Allora forse saremo un paese migliore.

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

Leggi anche

Rama Kurti

BALCANI: Edi Rama e Albin Kurti, storia di un rapporto difficile

Storia del complesso rapporto tra Edi Rama e Albin Kurti, i due leader carismatici di Albania e Kosovo

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com