L’arrivo in Europa di centinaia di migliaia di siriani in fuga dalla guerra e da Daesh è una delle tematiche più discusse, negli ultime mesi dai media nazionali ed internazionali.
Il fatto che alcuni paesi del Caucaso siano una delle destinazioni di fuga di queste persone è abbastanza sorprendente, vista l’instabile situazione politica ed economica della regione. Se questo movimento non è rilevante in cifre assolute, lo è in termini relativi, se considerata la scarsa densità demografica delle loro mete.
Il paese che ha registrato l’arrivo del maggior numero di siriani è l’Armenia, dove a fronte di una popolazione di circa 3 milioni di abitanti, ci sono stati circa 15 mila arrivi dal 2012, cifra che secondo le parole del presidente Sergh Sarkissian, ha reso l’Armenia la prima destinazione in Europa per i profughi siriani, considerando il dato pro capite.
La popolarità del paese caucasico è legata alla sua legislazione che rende molto facile agli stranieri di origine armena, di ottenere la residenza e la cittadinanza. Non è un caso, quindi che questi profughi appartengano, principalmente, alla comunità armena siriana che prima dell’inizio della guerra contava tra i 60 mila e le 80 mila membri .
Possono definirsi come “rimpatri” anche i 5 mila arrivi nelle tre repubbliche del Caucaso settentrionale russo dell’Adighezia, della Cabardino-Balcaria e del Karačaj-Circassia. Si tratta, infatti, dei circassi siriani, i discendenti di coloro che furono costretti ad abbandonare il Caucaso tra il 1863 e il 1867, in quello che viene talvolta definito come un genocidio perpetrato dai russi. Non è, quindi, sorprendente la tiepida accoglienza che gli è stata riservata dalle autorità di Mosca, che ha portato, in alcuni casi, alla loro espulsione dalla Federazione russa.
Infine, una menzione a parte per coloro che si sono stabiliti in alcuni degli stati non riconosciuti della regione, in particolare in Abkhazia e Nagorno-Karabakh. Ufficialmente, circa 500 persone si sono stabilite in Abkhazia, ottenendo lo status di “rimpatriati”, legato alla politica di ripopolamento promossa dal governo di Sukhumi per favorire il “ritorno” in patria degli abcasi dalle comunità in giro per il mondo.
La situazione è meno trasparente in Karabakh, dove, da tempo, si dice che vi siano profughi siriani. Il fatto è stato più volte denunciato dalle autorità azere come immigrazione illegale e come un tentativo di spostare l’equilibrio dei negoziati di pace. Di fatto, nonostante il trionfalismo di alcuni nazionalisti armeni nel celebrare “il ritorno alla madre patria”, sembra che il numero effettivo di siriani in Karabakh non superi il centinaio.
Resta da capire come, i nuovi arrivati, si adattino al nuovo contesto, posto che chi li accoglie non ha spesso risorse sufficienti per provvedere alla loro sistemazione. Se in Armenia l’integrazione può dirsi generalmente riuscita, grazie anche al supporto della diaspora armena europea ed americana e all’assenza di barriere linguistiche, lo stesso non si può dire negli altri casi.
I problemi sono legati soprattutto al fatto che i nuovi arrivati non parlano il russo, rendendo difficile la ricerca di un lavoro. A questo bisogna aggiungere le barriere burocratiche e la già menzionata ostilità delle istituzioni russe, che ostacolano l’ottenimento dello status di rifugiato e della cittadinanza russa.
L’immigrazione dei siriani nel Caucaso ha, quindi, una natura diversa da quella verso l’Europa, legata alle origini dei fuggitivi che li portano a cercare rifugio dove hanno maggiore probabilità di essere accolti. In molti casi, poi, la scelta è vista come un ideale “ritorno” in patria. Nonostante, le cifre esigue, se considerati le cifre totali dei fuggitivi dalla Siria , l’immigrazione verso il Caucaso ha un forte valore simbolico nei paesi di arrivo.
Foto: Maxim Edwards