TURCHIA: Il suicidio politico del partito curdo HDP

Il partito filo curdo HDP sta vivendo le settimane più difficili della sua breve esistenza politica. Da mesi è sotto attacco per i rapporti col PKK. Il governo dell’AKP e il presidente Erdoğan non risparmiano i colpi. L’ultimo in ordine di tempo: l’8 gennaio scorso la polizia ha fatto irruzione negli uffici del partito nel distretto di Beyoğlu a Istanbul e ha arrestato diversi membri del partito. Adesso sotto accusa finisce anche il perno del programma dell’HDP, l’autonomia, complice una controversa dichiarazione del suo leader Selahattin Demirtaş.

Demirtaş ha in buona sostanza giustificato l’ottenimento dell’autonomia attraverso l’uso della forza. Gli scontri tra esercito e militanti dell’ala giovanile del PKK in molte città del sud-est a maggioranza curda, secondo il leader dell’HDP, testimoniano che la popolazione ha abbracciato l’idea di autonomia in risposta all’atteggiamento dittatoriale dello stato. In città come Cizre e Diyarbakır estenuanti coprifuoco vanno avanti da settimane. Mentre i cittadini – quelli che non si sono rifugiati altrove – cercano di sopravvivere, centinaia di giovani difendono le barricate con le armi. Interi quartieri sono sotto il loro controllo. La risposta dell’esercito è sempre più violenta e non risparmia i civili. Carri armati nelle strade, colpi d’artiglieria e altri armamenti pesanti sono scene ormai quotidiane. Armi e trincee, quindi, sarebbero una risposta legittima per raggiungere un qualche grado di autonomia. Purtroppo serve a poco la pezza messa dalla co-presidente dell’HDP Figen Yüksekdağ, che ha rilanciato spiegando che l’autonomia va intesa come modello di autogoverno da applicare a tutto il paese.

Qual è il problema? L’HDP ha certamente il diritto di condurre una battaglia politica per ottenere maggiore autonomia. Così come ha il sacrosanto diritto di denunciare gli abusi dell’esercito verso i civili, o di chiedere indagini imparziali per l’uccisione di chi, come l’avvocato Tahir Elçi, ha sostenuto la causa curda chiedendo il rispetto dei diritti umani. Ben diverso è dire che giusto portare avanti il proprio progetto politico con le armi. Non solo perché in tal modo Demirtaş offre un’occasione d’oro al governo per metterlo a tacere. Occasione subito sfruttata, visto che il leader dell’HDP è prontamente finito sotto inchiesta e si gioca l’immunità da parlamentare. Il punto è che il partito filo curdo rischia di bruciare quel poco capitale negoziale che gli resta. In altre parole, rischia di commettere un vero e proprio suicidio politico.

Come partito rappresentato in parlamento, l’HDP è nella condizione di mediare tra le parti. Da un lato dialogare con il PKK, dall’altro portare lo scontro sul piano politico costringendo il governo a trattare. È pur vero che Erdoğan ha fatto carte false per non riprendere il processo di pace. D’altronde nessuno poteva aspettarsi che il compito dell’HDP sarebbe stato facile. Tuttavia, se le posizioni dell’HDP si appiattiscono su quelle di chi resiste con la lotta armata, gli equilibri saltano. Salta il suo ruolo di unico interlocutore politico, il solo grimaldello con cui poteva scardinare i piani di Erdoğan. Che avrà buon gioco a legare richiesta d’autonomia a terrorismo, delegittimando così l’intera agenda politica del partito filo curdo. Senza compiere il passo eclatante di dichiararlo fuorilegge, bensì svuotandolo dall’interno pezzo dopo pezzo.

Ma salta anche l’utilità dell’HDP per il PKK, che dimostra ogni giorno di più di essere in grado di difendersi da solo. A lungo andare l’HDP rischia di essere nient’altro che un guscio vuoto, un peso morto la cui presenza impedisce – paradossalmente – la ripresa di una trattativa. Visto che la guerriglia urbana non accenna a diminuire d’intensità, il tempo gioca a favore del governo. Per l’HDP è il momento di passare al piano b. Sempre che ne abbia uno.

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Chi è Lorenzo Marinone

Giornalista, è stato analista Medio Oriente e Nord Africa al Centro Studi Internazionali. Master in Peacekeeping and Security Studies a RomaTre. Per East Journal scrive di movimenti politici di estrema destra.

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2 commenti

  1. se le cose procedono così non sarà di certo l’HDP a perdere ma sarà tutto il Paese e la libertà a perdere una grande occasione. l’HDP mette in atto come ultima soluzione l’autogoverno, proposto precedentemente al Parlamento centrale anni fa, messo nel programma durante i giri elettorali, decisione presa dal DTK diverse volte tempo fa, idea appoggiata parzialmente anche da parte del governo nell’ambito di integrazione democratica nell’UE. non si tratta dell’acqua calda ma si tratta di una soluzione che resta come l’ultima soluzione da abbracciare di fronte ad uno sproporzionata, ingiusta ed aggressiva violenza dello Stato. L’HDP sostiene la resistenza popolare in Bakur, appunto, una resistenza contro una cultura politica ed economica che cerca di spazzare via tutte le opposizione di ogni tipo ovunque. Appunto a finire sotto inchiesta sono tanti in Turchia. Pure lo showman Beyaz… giornalisti, studenti, accademici, professori, militari, giudici, poliziotti, avvocati, attivisti, medici, imam etc. Basta avere una voce diversa rispetto il resto del coro.

    l’HDP giorno e notte, dentro e fuori parlamento parla della pace. chiede il cessato al fuoco, chiede a tutte le parti di tornare a parlare. da tempo. a tutti. non difende mai la violenza, al massimo l’autodifesa. è il governo che vorrebbe costruire un’immagine falsa su ogni tipo di opposizione che difende la pace.

  2. Non ho capito quale sarebbe l’errore. Demirtas non ha fatto nulla di diverso da quanto fecero Martin Luther King e altri leader nonviolenti afroamericani di fronte alle rivolte nei ghetti neri degli anni ’60.
    Comprendere e difendere le ragioni della rivolta è doveroso per il leader politico di un popolo che è oggetto di una repressione che dovrebbe suscitare una rivolta delle coscienze ma su cui politica e informazione in Europa sono a dir poco latitanti e complici.
    Demirtas che deve fare? Rompere i legami con i giovani e il popolo?
    Può darsi che HDP faccia la fine degli altri tentativi di portare la causa dei curdi dentro le istituzioni rappresentative turche. Ma non sarà certo per suo errore politico.

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