BASKET: In Romania la tensione sui simboli secleri scende sul parquet

Quante volte un inno può creare tensioni sul campo da gioco: è questo quanto è accaduto in Romania, sul parquet del campo da basket di Sfântu Gheorghe, municipio transilvano dello Székelyföld a netta maggioranza etnica ungherese (75%), di fronte a 1500 spettatori. Durante una partita di pallacanestro femminile tra le padrone di casa del Sepsi SIC e l’Universitatea Cluj, le giocatrici della squadra ospite si sono rifiutate di schierarsi all’ascolto dell’inno dello Székelyföld, continuando invece il proprio riscaldamento e scatenando reazioni di protesta da parte del pubblico locale, che le hanno insultate e fischiate per tutta la durata dell’incontro. La gara è poi terminata 93-57 per il Sepsi SIC, che conduce il campionato a tre giornate dalla fine.

Per capire i termini della questione è necessario comprendere la vicenda dello Székelyföld (in romeno Ținutul Secuiesc, in italiano Terra dei Secleri, o Siculi). Il territorio dello Székelyföld è interamente contenuto entro i confini della Romania, coprendo quasi totalmente le județe (distretti) di Harghita e Covasna, parti importanti del distretto di Mureș e porzioni dei distretti di Cluj, Alba, Neamț e Bacău, ed è a maggioranza etnica ungherese-seclera.

Secondo il censimento ufficiale del 2011, nei tre distretti principali gli ungheresi erano quasi 610 mila su una popolazione totale di poco più di un milione di abitanti: nei distretti di Covasna e Harghita gli ungheresi rappresentano rispettivamente il 71,6% e l’82,9% della popolazione. Storicamente i secleri rivendicano unità e autonomia amministrativa, richieste che Bucarest non ha mai assecondato, negando l’esistenza stessa della regione (che negli anni ’50 e ’60 era riconosciuta come autonoma da parte del governo comunista). Nel 2013 la tensione relativamente alla questione seclera era stata infiammata dal governo Ponta con la sostituzione dei prefetti ungheresi delle regioni con prefetti romeni, che contrastarono attivamente il riconoscimento dello Székelyföld, multando le amministrazioni locali che esibivano simboli o bandiere seclere.

Quanto avvenuto a Sfântu Gheorghe è un riflesso di questa lotta sui simboli: la federbasket romena (FRB) prevede l’esecuzione dell’inno nazionale romeno prima degli incontri. Nello Székelyföld, però, la pratica regolamentare è affiancata all’esecuzione dell’inno seclero Székely himnusz. Non solo: il nome stesso della squadra di Sfântu Gheorghe, Sepsi SIC, rimanda all’identità etnica della squadra. Sepsi richiama infatti il nome ungherese della città, Sepsiszentgyörgy, mentre SIC è una sigla che rappresenta proprio la Terra dei Secleri.

A decidere che le ragazze dell’Universitatea Cluj non avrebbero salutato l’inno seclero, curiosamente, è stato uno straniero, l’allenatore bosniaco Dragan Petričević, che in Romania ha però trascorso la quasi totalità della sua carriera (se si eccettuano due brevi parentesi tunisine con Club Africain ed Étoile du Sahel).  Petričević abita nel paese da venti anni e ha dichiarato: «Non ho sangue romeno, ma metà del mio cuore batte per la Romania», sostenendo inoltre che il suo comportamento sarebbe stato lo stesso anche nel caso in cui l’inno intonato fosse stato quello bosniaco. L’allenatore ha spiegato: «Ho deciso che le ragazze avrebbero continuato il riscaldamento dopo l’inno romeno per due motivi principali. Uno è che il regolamento della FRB parla dell’obbligo per sportivi e allenatori di ascoltare l’inno romeno in posizione di rispetto. E in secondo luogo perché considero che le ragazze che alleno non siano obbligate a stare in piedi altri dieci minuti per ascoltare un inno che non è ufficiale, che non è dello stato romeno».

Netta la replica da parte del club di Sfântu Gheorghe, affidata a un comunicato in ungherese e romeno sulla loro pagina Facebook ufficiale. Il comunicato sottolinea come, prima dell’esecuzione dell’inno, entrambe le squadre siano state applaudite e come l’esecuzione dell’inno non sia una pratica ufficiale, ma un’iniziativa degli spettatori. Secondo il comunicato: «L’inno in sé dura 58 secondi, e non dieci minuti come dichiarato alla stampa dal signor Petričević. […] Dopo la fine del canto, i nostri supporter hanno protestato con fischi e ululati per 9 secondi, contro il fatto che l’allenatore ha imposto la continuazione del riscaldamento prima del canto. Passati quei nove secondi i nostri spettatori hanno iniziato a incoraggiare la squadra di casa. […] Consideriamo dunque che quelle summenzionate non rappresentino condizioni che si possano catalogare come “incidente”».

L’incidente non si è concluso con l’incontro tra Sepsi SIC e Universitatea Cluj: lo scorso sabato a Bucarest la squadra di Sfântu Gheorghe è stata di nuovo protagonista di disordini. L’occasione è stata la gara di campionato successiva in casa del Rapid Bucarest, vinta di nuovo dal Sepsi SIC per 86-31. Al suono dell’inno romeno, i 300 tifosi del Rapid hanno fischiato la squadra avversaria e urlato insulti contro l’Ungheria. Non è chiaro da cosa siano stati originati i cori: secondo l’agenzia Mediafax i supporter rapidisti avrebbero reagito all’esposizione da parte dei tifosi secleri di uno striscione con la scritta Ținutul Secuiesc nu este România («Lo Székelyföld non è Romania»). Un portavoce della Gendarmeria di Bucarest, Georgian Enache, ha dichiarato che circa quaranta tifosi sono stati fatti uscire e identificati. Da alcuni video, caricati su YouTube, non risultano evidenti striscioni ungheresi e la presenza stessa di pubblico in trasferta sembrerebbe scarsa se non nulla, il che lascerebbe pensare a una scaramuccia intestina alla curva rapidista.

Foto: Sepsi SIC (Flickr)

Chi è Damiano Benzoni

Giornalista pubblicista, è caporedattore della pagina sportiva di East Journal. Gestisce Dinamo Babel, blog su temi di sport e politica, e partecipa al progetto di informazione sportiva Collettivo Zaire74. Ha collaborato con Il Giorno, Avvenire, Kosovo 2.0, When Saturday Comes, Radio 24, Radio Flash Torino e Futbolgrad. Laureato in Scienze Politiche con una tesi sulla democratizzazione romena, ha studiato tra Milano, Roma e Bucarest. Nato nel 1985 in provincia di Como, dove risiede, parla inglese e romeno. Ex rugbista.

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