Fin dall’indipendenza, le leadership di stampo secolare dell’Asia centrale hanno visto nei movimenti di natura islamica una minaccia al proprio potere. Tale percezione è stata confermata dalla guerra civile del Tagikistan che ha opposto il governo di Dushanbe ad una coalizione di islamismi e riformisti. Per questi motivi i presidenti dell’Asia centrale hanno applicato dure misure repressive contro i movimenti di stampo islamico, arrestando una parte dei membri e costringendo l’altra all’esilio.
In seguito alla nascita dell’Isis, i presidenti della regione hanno più volte denunciato la minaccia portata da questo movimento alla sicurezza nazionale, in particolare mostrando preoccupazione per la possibilità che alcune cellule possano istallare le loro basi nel poroso ed insicuro confine afgano. I leader dell’area hanno ribadito il pericolo posto dall’Isis sia durante la recente visita del Segretario di Stato USA Kerry sia durante l’ultimo vertice della CSTO, tenutosi a Dushambe nel Settembre di quest’anno, mostrandosi inoltre seriamente allarmati dal numero di cittadini partiti per combattere al fianco dei terroristi . Questa paura è inoltre aggravata dal fatto che una serie di movimenti di opposizione islamici della zona abbiano giurato la propria fedeltà all’Isis, come è avvenuto per esempio con il Movimento Islamico dell’Uzbekistan.
Qualora però si voglia avere un’idea chiara delle dimensioni del fenomeno, le stime diventano vaghe e fortemente oscillanti. I media ed i governi della regione infatti riportano cifre molto elevate, arrivando a parlare di 4.000 persone partite dal solo Tagikistan per unirsi all’Isis.
Al contrario, stime più recenti ed indipendenti riducono notevolmente queste cifre, ed affermano che i Paesi dell’Asia centrale siano origine di circa 1.400 combattenti. La maggior parte di questi provengono dall’Uzbekistan, da cui sono partite 500 persone, dal Turkmenistan e dal Kazakistan mentre il flusso da Tagikistan e Kirghizistan appare molto minore. Se invece si calcola il numero di combattenti in rapporto alla popolazione, il contributo dell’Asia centrale diventa più rilevante, con il Turkmenistan che occupa il sesto posto della classifica globale con 72 abitanti su un milione arruolatisi nell’Isis. Segue l’Uzbekistan, al nono posto, ed il Tagikistan al tredicesimo.
Questi dati si prestano a due differenti interpretazioni. Da un lato infatti mostrano che l’Asia centrale è effettivamente diventata uno dei bacini di reclutamento di combattenti dell’Isis. Dall’altro lato però mostrano anche che la regione riveste un’importanza secondaria, soprattutto al confronto dei Paesi del Medio Oriente, dell’Europa e della Russia stessa.
Quale che sia l’effettiva gravità della situazione, i governi dell’area, soprattutto quelli del Tagikistan e dell’Uzbekistan, hanno usato la minaccia per reprimere ancora più duramente ogni forma di dissenso. Il presidente tagiko Rahmon ha infatti incrementato ad Agosto le misure atte a reprimere quello che percepisce come un processo di islamizzazione della società, proibendo i vestiti islamici e le barbe lunghe. Allo stesso tempo ha bandito il Partito del Rinascimento Islamico del Tagikistan (IRPT), concedendogli solo dieci giorni per cessare ogni tipo di attività . Successivamente, in seguito al duplice attentato che ha scosso il Paese agli inizi di Settembre, il presidente ha accusato l’IRPT di esserne il responsabile, ed ha arrestato 13 membri ed ha ritirato il passaporto ad altri 50. A sua volta anche il presidente uzbeko Karimov ha adottato dure misure per combattere il terrorismo islamico, che hanno portato all’arresto di circa 200 persone, accusate di essere simpatizzanti dell’Isis.
Le politiche repressive adottate da questi governi tuttavia evitano di combattere le vere cause che spingono gli abitanti della regione ad unirsi all’Isis. Se infatti alcuni combattenti si arruolano per sfuggire all’opprimente e repressivo clima politico e sociale, la maggior parte delle persone si unisce all’Isis per motivi economici. Le economie dei Paesi dell’area infatti offrono generalmente scarse o nulle opportunità lavorative e sono caratterizzate da elevati tassi di disoccupazione. In questo clima, molti sono abbagliati dalla promesse dei reclutatori dell’Isis, che solitamente promettono grosse somme di denaro per chi si arruola . A questo riguardo, la recente legge russa che limita le possibilità dei migranti dell’Asia centrale di lavorare avrà l’effetto di peggiorare ulteriormente la situazione economica dei Paesi della regione, soprattutto di quelli più deboli, con il risultato di spingere sempre più persone disperate verso l’Isis.
In definitiva, le politiche dei Paesi dell’Asia centrale atte a combattere la minaccia del terrorismo islamico molto probabilmente riusciranno solo ad avere l’effetto opposto, aumentando il numero di persone che scappano dall’area per unirsi all’Isis, al punto che alcuni esperti hanno causticamente affermato che “la principale minaccia contro l’Asia centrale è l’Asia centrale stessa”.