LIBIA: Guerra agli scafisti. Adesso l’Italia affonda i barconi

Affondare le imbarcazioni usate dagli scafisti per scortare i barconi carichi di profughi al largo della Libia. È questo il nuovo obiettivo della missione europea EuNavFor Med, in cui l’Italia gioca un ruolo di primo piano. L’alto rappresentante per la politica estera Ue Federica Mogherini ha annunciato che le operazioni inizieranno il 7 ottobre. Finora la missione aveva formalmente un solo scopo, raccogliere informazioni aggiornate su chi e come gestisce i traffici dalla Libia. Adesso si passa all’azione, ma non contro i barconi dei migranti. Saranno presi di mira quelli che gli scafisti usano per fare la spola dalla costa fino a qualche miglio al largo, nella speranza di poter recuperare i barconi una volta che i migranti sono stati tratti in salvo.

E i barconi dei migranti? Già adesso vengono affondati quando la guardia costiera o le navi delle marine europee hanno concluso le operazioni di salvataggio. Ma se i migranti vengono presi a bordo dai mercantili di passaggio – e capita di frequente – i barconi sono lasciati semplicemente alla deriva. “I trafficanti cercano le navi cargo, spediscono i migranti in quella direzione e sperano di poter recuperare i barconi vuoti per un altro giro”, ha spiegato l’ammiraglio italiano Credendino, a capo dell’intera missione. Di sicuro il mandato non prevede incursioni via terra. Il 26 settembre si è diffusa la notizia della morte di uno dei principali trafficanti di uomini a Zuwara, che sarebbe stato eliminato da un commando di Forze Speciali (forse italiane). Decisamente improbabile: sia per le modalità (un posto di blocco, 4 uomini impiegati e armati di sole pistole), sia perché molte fonti locali hanno immediatamente smentito la notizia.

Le operazioni di EuNavFor Med non avverranno in ogni caso nelle acque territoriali libiche. Infatti mancano ancora le condizioni legali per un intervento di questo tipo. Per non violare la sovranità del paese servirebbe un mandato esplicito dell’Onu o una richiesta delle autorità libiche. Il primo per il momento è pura fantasia, il secondo rischia di non arrivare in tempi abbastanza brevi. Tutto è legato all’esito degli accordi di pace fra i due governi della Libia, Tripoli e Tobruk. L’inviato speciale dell’Onu Bernardino Leòn ha consegnato il testo definitivo dell’accordo il 20 settembre: ora sta alle parti firmarlo. Così si avrebbe un unico governo di unità nazionale pienamente legittimo.

Ma le prospettive sono tutt’altro che rosee. I negoziati si trascinano da mesi senza veri passi avanti. Un groviglio di veti incrociati e timori reciproci frena ogni iniziativa. Sul piatto c’è il controllo delle principali istituzioni, fra cui la banca centrale e gli organi di controllo degli impianti di gas e petrolio, e il reale potere del futuro Consiglio di Stato, in cui dovrebbe confluire il parlamento di Tripoli – non riconosciuto dalla comunità internazionale – dopo lo scioglimento. Il tempo stringe anche per Tobruk: il 20 ottobre scade il mandato del suo parlamento. Era stato eletto prima della spaccatura con Tripoli e dunque rappresentava almeno formalmente l’intero paese. Un nuovo parlamento, oggi, sarebbe eletto solo da chi vive nell’est della Libia.

Ma la Libia è soprattutto il paese delle milizie. Sono in molti, da una parte e dall’altra, a non volere un accordo politico. Così, se finora Tobruk controllava il suo esercito sotto il comando del generale Haftar e Tripoli poteva contare su una miriade di gruppi armati riuniti sotto il cappello di Alba Libica, la possibilità che i politici firmino l’accordo sta scatenando il caos. Le milizie di Misurata – il nerbo di Alba Libica – sono sempre più indipendenti. A Tripoli si è mosso Salah Badi, già comandante di Alba Libica, creando una sua milizia personale chiamata Fronte Sumud. Di fatto Alba Libica non esiste più. E Badi non ha perso tempo: dopo aver sfilato per le vie della capitale, il 17 settembre ha fatto irruzione in parlamento, proprio mentre i deputati stavano discutendo il piano di pace dell’Onu.

Anche a Tobruk non mancano i problemi. Da mesi il premier al-Thinni non riesce a lasciare il paese per incontri istituzionali: gli uomini di Haftar lo bloccano regolarmente all’aeroporto. All’interno dell’esercito si intravedono spaccature pericolose. Esponenti di punta sono in rotta con Haftar, che ha dato loro il benservito spedendoli sul fronte di Sirte, a combattere l’Isis. Intanto Haftar ha lanciato di recente una nuova operazione su Bengasi (dal nome curioso: ‘operazione sventura’). La città è in parte sotto il controllo di gruppi jihadisti, ma l’offensiva probabilmente non è altro che l’estremo tentativo di Haftar di serrare i ranghi. Altro segnale allarmante: le tregue fra Zintan (alleati di Haftar) e le milizie fedeli a Tripoli che avevano messo in pausa i combattimenti a sud della capitale stanno scricchiolando.

Tutto potrebbe rientrare senza eccessivi scossoni se venisse firmato l’accordo di pace. E c’è da augurarselo, perché se gli scontri riprenderanno su larga scala il primo ad approfittarne sarà l’Isis di stanza a Sirte. Il 18 settembre ha attaccato la prigione di Mitiga, periferia est di Tripoli, senza trovare resistenza. E sulla strada per Mitiga c’è Misurata, un tempo considerata l’ultimo baluardo contro l’espansione dell’Isis verso la capitale. Dato il quadro, non è impossibile che qualcuno pensi di forzare la mano con un intervento dall’esterno. Gli Usa continuano a sorvolare Sirte con i loro droni, ogni tanto colpiscono dall’alto con raid mirati come lo scorso 4 luglio ad Ajdabiya. Secondo indiscrezioni altri Stati europei, Gran Bretagna in testa, sono già pronti per un qualche tipo di offensiva.

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Chi è Lorenzo Marinone

Giornalista, è stato analista Medio Oriente e Nord Africa al Centro Studi Internazionali. Master in Peacekeeping and Security Studies a RomaTre. Per East Journal scrive di movimenti politici di estrema destra.

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Un commento

  1. come sempre le azioni italiane sono senza testa,cosa dovrebbero fare le navi italiane?semplicemente un bel nulla.spendere inutilmente risose umane ed economiche.io al posto del comandante della missione, amm credendino,mi sarei rifiutato di accettare un incarico che non serve a nulla ed a nessuno.
    la soluzione al problema libico è quella di andare ad occupare il paese e ristabilire l’ordine,la legalità ed il rispetto delle vite umane,bloccando così stragi di innocenti e ripercursioni sociali a media e lunga scadenza non prevedibili e calcolabili.la stupidità dell’ue,senza spina d’orsale,la malvagità dell’onu,che ha tutto l’interesse di tenere questi paesi arabi nelle condizioni di permanente dissesto socio politico,stanno mietendo più vittime che non tutto l’isis ed alcaida messi insieme hanno fatto e stanno facendo,perpetrando in nome della legalità e del perbenismo un crimine ai danni dell’umanità.non dobbiamo piu’ permettere questi crimini contro l’umanita’ e contro l’annientamento del patrimonio dell’umanita’ perpetrati in nome del rispetto delle sovranità di paesi criminali.così facendo siamo noi più criminali di quelli che definiamo criminali.

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