Azioni militari contro lo Stato Islamico nell’area di Sirte. Addestratori per ricostruire le forze di sicurezza libiche, dalla polizia alla guardia costiera. E supporto per modellare la nuova architettura istituzionale. Sarebbero questi gli obiettivi di una missione internazionale in Libia che potrebbe materializzarsi nel giro di alcune settimane. Lo rivela il Times, che cita diverse fonti (tutte anonime): militari inglesi, funzionari di Londra e Bruxelles, una non meglio specificata fonte libica. Anche l’Italia sarebbe della partita, anzi parteciperebbe con il maggior numero di uomini. Insomma, una missione ben più strutturata e impegnativa di quella (europea) che si ipotizzava lo scorso aprile, quando la parola d’ordine era ‘distruggere i barconi’, e che è partita col nome di EuNavFor-Med.
Gli obiettivi della missione
Secondo le indiscrezioni, insieme all’Italia prenderebbero parte a questa missione internazionale Inghilterra, Stati Uniti, Francia, Spagna e Germania. Un gruppo allargato rispetto alla coalizione guidata da Sarkozy e Cameron che intervenne nel 2011 e decretò la fine del regime di Gheddafi. Con quale legittimità, su che basi legali? Allora fu decisiva la risoluzione dell’Onu che istituiva una no-fly zone e conferiva alla coalizione il mandato di “proteggere i civili”. Oggi, al contrario, il Palazzo di Vetro non si è ancora pronunciato. E rispetto a 4 anni fa c’è anche da mettere in conto la probabile opposizione della Russia, contraria a qualsiasi intervento diretto in Libia.
Tuttavia le fonti citate dal Times parlano chiaro, uno degli obiettivi principali è la lotta allo Stato Islamico, che da febbraio si è insediato nella zona di Sirte, ha respinto gli attacchi delle milizie della vicina Misurata e ora minaccia di impadronirsi dei terminal petroliferi di Sidra e Ras Lanuf. La fonte libica ha dichiarato che “alcuni stati amici ci hanno informato che è previsto l’addestramento delle forze di sicurezza nazionali” per contrastare i miliziani del Califfato. E non dovrebbero agire da sole. Infatti l’articolo si spinge oltre e afferma che le azioni militari saranno effettuate anche da reparti delle Forze Speciali inglesi, francesi, americane e italiane. Da Bruxelles invece arriva la conferma dell’esistenza di un piano di “stabilizzazione” della Libia, che dovrebbe verosimilmente rientrare sotto l’etichetta di peace-keeping e peace-enforcing.
Un piano con molti ‘se’
Ma qual è la pace che si andrebbe a mantenere e rafforzare? La Libia infatti ha ancora due governi rivali: uno a Tripoli, vicino alle posizioni dei Fratelli Musulmani e appoggiato da Turchia e Qatar, e l’altro a Tobruk, riconosciuto come legittimo dalla comunità internazionale e sponsorizzato da Egitto e Emirati. Dopo un anno però la frattura potrebbe finalmente ricomporsi. Il 12 luglio l’inviato dell’Onu Bernardino Leon è riuscito a raggiungere un accordo preliminare fra le parti, che potrebbe portare a breve alla costituzione di un governo di unità nazionale. E in presenza di un’unica autorità legittima le cose cambierebbero: in attesa che l’Onu si pronunci, la missione internazionale potrebbe partire su richiesta esplicita della Libia.
Anche in questo caso però conviene frenare gli entusiasmi. Non solo e non tanto perché un governo unico ancora non c’è, ma soprattutto perché l’accordo finale non accontenterà tutte le parti. Il parlamento di Tripoli ha rispedito indietro il testo (firmato solo da alcuni delegati indipendenti) con la richiesta di precisi emendamenti. Niente di insuperabile, sostengono i diplomatici. Semmai il problema sta nella netta opposizione di alcuni influenti milizie, che potrebbero decidere di non deporre le armi e tenere sotto scacco la capitale. Qualche segnale in tal senso l’ha già dato Salah Badi, ex ufficiale sotto Gheddafi e influente politico nel parlamento di Tripoli fino al gennaio 2014, quindi nominato comandante generale di Alba della Libia, la coalizione-ombrello che raggruppa le milizie dell’ovest. Pochi giorni prima dell’accordo preliminare, Badi ha dato vita a una nuova milizia, il Fronte Sumud, formata dai suoi fedelissimi. Grazie all’influenza che mantiene su parte dei deputati di Tripoli ha impedito che siglassero l’intesa con Tobruk. Poi ha mostrato i muscoli sfilando con uomini e mezzi per le strade della capitale. Il rischio, quindi, è di trovare altre opposizioni armate oltre allo Stato Islamico.
La posizione dell’Italia
L’Italia per il momento si sta muovendo su due fronti. Sul piano diplomatico, l’ultima mossa risale al 31 luglio, quando il ministro degli Esteri Gentiloni ha incontrato ad Algeri i vertici politici di Tripoli per convincerli a firmare l’accordo di pace definitivo. E poi è Roma capofila nella missione europea EuNavFor-Med, iniziata il 22 giugno scorso. Con quali compiti? La missione dell’Ue riguarda solo l’immigrazione clandestina e prevede il dispiegamento di navi e aerei per intercettare i barconi e raccogliere informazioni precise sulla struttura delle organizzazioni criminali che gestiscono i traffici. Per il momento, visto che manca qualsiasi autorizzazione dell’Onu o della Libia, le attività sono limitate alle acque internazionali.
Se arrivasse un cappello di legittimità, il mandato della missione prevede attività anche nelle acque nazionali libiche. Ma non si parla di forze di terra (se non per colpire depositi di carburante o asset simili nei porti legati all’immigrazione), di addestramento delle forze di sicurezza libiche o di raid contro lo Stato Islamico. Su questo fronte invece si stanno muovendo in particolare gli Stati Uniti, che stanno provando a convincere i paesi vicini a ospitare i loro droni per colpire il Califfato in Libia. Ad ogni modo è difficile ipotizzare un coinvolgimento diretto dell’Italia in eventuali raid aerei. I compiti che spetteranno a Roma, probabilmente, saranno la raccolta di informazioni sul campo e soprattutto l’addestramento delle forze di sicurezza libiche.
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