Quando ho iniziato a fare il giornalista, pochi anni fa, ho avuto la possibilità di lavorare a Narcomafie, una rivista diretta fino a qualche anno prima da Luca Rastello. Andavo nello scantinato a cercare i vecchi numeri, quelli di quando c’era ancora lui, e divoravo le inchieste sul crimine organizzato russo o balcanico. Lui era già andato a dirigere Osservatorio Balcani e Caucaso e a scrivere, per il quotidiano La Repubblica, le sue inchieste. Luca Rastello, per molti giovani giornalisti e non solo della mia generazione, ha rappresentato la prima alfabetizzazione ai Balcani e alle sue tragedie. La guerra in casa è un libro crudo ma senza compiacimenti, senza sensazionalismi. Una chiave per capire le guerre jugoslave arrivata prima, molto prima, dei monumentali saggi di Joze Pirjevec: non un testo storico ma un viaggio dentro quel conflitto, dentro la mente e i sentimenti delle persone coinvolte, dal cecchino al profugo, dalla vittima al carnefice. Se oggi siamo qui a scrivere di Europa orientale è anche grazie a quel libro. Alcuni di noi, più giovani, molto prima che questo giornale vedesse la luce, hanno fatto su e giù dalla Bosnia portando aiuti; altri, più tardi, si sono spesi in progetti di cooperazione nei Balcani; altri ancora hanno dedicato la loro professione allo studio di quella regione. Ed è dalle pagine scritte da Luca che tutto questo è cominciato.
Luca Rastello era uno dei migliori giornalisti italiani, aveva intelligenza, onestà, e la tenacia di andare in fondo alle cose ficcandosi a testa in giù dentro i problemi per comprenderli e farli comprendere. Non era uno di quelli che si vedono in televisione, non aveva smanie da primadonna, non aveva verità da rivelare né facili soluzioni da proporre. A muoverlo era l’ostinata curiosità verso il mondo e le sue epifanie, anche le più terribili, che penetrava senza mai giudicarle. I suoi libri – da Io sono il mercato, sui segreti del narcotraffico, a Binario morto, sulla vanità dell’alta velocità – sono sempre stati tutti segnati dalla sua grande capacità di portarti dentro le cose, di poterle vivere con lui al punto che, quasi quasi, alla fine ti sembrava di conoscerlo anche un po’, Luca. Il legame intellettuale con la sua opera è, giocoforza, anche un legame in certa misura “affettivo”.
Per questo, d’accordo con la famiglia – che ringraziamo sentitamente – abbiamo deciso di dedicare il nostro giornale alla memoria di Luca Rastello. E’ per noi un onore e un impegno. L’impegno a fare meglio, a metterci tutta l’onestà e l’intelligenza di cui disponiamo, tutta la qualità di cui siamo capaci perché ce lo dobbiamo meritare questo onore. Con questo non intendiamo in nessun modo appropriarci della memoria di Luca ma condividere, al contrario, quello che da lui abbiamo – direttamente o indirettamente – ricevuto.
Quando abbiamo saputo della sua morte, lo scorso 6 luglio, siamo andati tutti a rileggere qualche pagina di un suo libro come a sincerarci che no, in effetti era ancora lì, presente e vivo. Non era andato via. E non lo lasceremo andare.