Le vite parallele di Putin e Poroshenko

 

Putin e Poroshenko hanno un’infanzia molto diversa, per quanto fosse possibile all’interno del sistema sovietico. Il primo, nato a San Pietroburgo, allora Leningrado, e originario di una famiglia senza fasti, segue attentamente le regole riuscendo a rappresentare quel soggetto di estrazione povera capace, attraverso l’ubbidienza al sistema, i massimi voti, l’adesione al partito e l’esperienza militare e nei servizi di sicurezza, di scalare i livelli sociali raggiungendo lo scranno più alto dello Stato ed incarnando il sogno russo. Il secondo, invece, nasce in un contesto tranquillo vicino al Mar Nero, nella regione di Odessa, e vive abbastanza agiatamente grazie al padre, direttore di un’azienda locale. Poroshenko, a differenza di Putin, pur brillando nello sport, era poco ligio al dovere e alle regole, tanto da non ricevere un voto brillante al termine degli studi e da arrivare alle mani con alcuni cadetti. Ma qui finiscono le differenze, poiché i due hanno certamente più somiglianze che divergenze, almeno nei primi mesi del loro mandato.

Economia, uno scoglio per entrambi

Putin viene nominato primo ministro nell’agosto del 1999, esattamente un anno dopo la crisi finanziaria russa, che causò la svalutazione del rublo, il default ed in generale una delle più grosse crisi economiche che la Russia ricordi. Naturale quindi che uno dei suoi primi compiti fosse di comprendere le dinamiche dell’economia e continuare nella stabilizzazione del sistema. In poco tempo Putin riuscì a far dimenticare la crisi del 1998 soprattutto attraverso lo sfruttamento e l’esportazione degli idrocarburi, dimostrandosi concreto e pratico.

Poroshenko si trova esattamente nella stessa situazione, dovendo far risorgere economicamente una nazione che è in grado di sopravvivere grazie agli aiuti europei e del Fondo Monetario Internazionale. L’Ucraina non ha sufficienti risorse per farcela agevolmente come la Russia nel 1998, senza contare che la zona maggiormente produttiva del paese è rappresentata dalle regioni orientali sotto controllo separatista. Il Presidente ucraino, tuttavia, ha saputo destreggiarsi economicamente negli anni della Perestrojka e Glasnost, diventando uno degli uomini più ricchi di Ucraina… con un’azienda dolciaria, e non col traffico di gas: sembra quindi capace di poter gestire la situazione.

Ad ognuno la propria guerra

Buona parte dell’iniziale gloria di Putin è stata la sua dinamicità come primo ministro di fresca nomina nella seconda guerra cecena. Sconosciuto ai più, Putin, è riuscito a dimostrare di saper tenere testa a generali e ministri e gestire in prima persona la questione cecena. In poco meno di un anno la Cecenia è tornata (ufficialmente) sotto controllo russo ed il pugno duro di Putin, a dispetto delle accuse di crimini di guerra e violazione dei diritti umani, ha certamente pagato. Non un caso che il primo viaggio da Presidente facenti funzioni sia stato proprio a Grozny.

Anche Poroshenko, dopo meno di un mese dal suo insediamento, si è recato in visita – la prima del suo mandato – in Donbass: Stato ex sovietico che vai, separatisti che trovi. Dopo quasi tre mesi dal suo insediamento le forze militari ucraine, del tutto impreparate ad una vera guerra, erano riuscite a riprendere il controllo di buona parte del Donbass, e sarebbero state in grado di sconfiggere i separatisti se non fosse arrivato l’aiutino da casa…ops, da Mosca. La guerra, inoltre, concede al Presidente maggior potere di quanto ne avrebbe in situazione di tranquillità: ne ha approfittato Putin in Russia, e sembra far lo stesso Poroshenko in Ucraina, anche in ottica interna.

Presidente vs oligarchi

La Russia nella quale Putin ha preso il potere era in mano a gruppi di potere di ogni genere. C’era l’oligarca che era riuscito in pochi anni a fare fortuna utilizzando i beni statali, c’era il capo mafia locale che gestiva il traffico di droga, prostituzione e gioco d’azzardo, c’erano i politici regionali che non rendevano conto dell’operato a Mosca: una situazione in cui il cittadino medio era preso in giro e vessato dall’intero sistema. Putin, in poco tempo, ha proclamato la supremazia della politica, incarnata in se stesso, rispetto ad ogni altra forma di potere e chiunque si è interposto rispetto alla sua strategia è stato – fisicamente o giudiziariamente – eliminato, vedi Berezovsky, Khodorkhovsky ecc. Sia chiaro, non che l’oligarchia sia sparita, anzi, ma le bande che spadroneggiavano nelle varie cittadine russe sono state limitate, e gli oligarchi hanno capito che non sono superiori rispetto al detentore del potere politico.

In Ucraina, per certi versi, sembra di stare nella Russia della fine degli anni ’90: gli oligarchi hanno fino ad oggi dominato la scena politica, imponendo, di volta in volta, leader politici controllati come burattini, ultimo della serie l’ex Presidente Yanukovich. Poroshenko è stato eletto proprio per il suo carisma, la sua capacità di destreggiarsi in politica come negli affari, ma soprattutto perché appare la persona capace di sottomettere gli oligarchi rispetto alla legge (e al potere politico). Non è un caso che alcuni oligarchi molto forti nell’est del Paese, tra i quali Igor Kolomoisky e Sergey Taruta, precedentemente nominati governatori delle regioni di Dnipropetrovsk e Donetsk, siano stati licenziati dopo pochi mesi dal Presidente, a riprova che quest’ultimo voglia sottoporre l’élite economica al suo potere.

Corruzione e riforme, un binomio esplosivo

Poroshenko è un oligarca, e come tale non ha certo intenzione di dimenticarsi degli affari, ma è acuto politicamente e non ha intenzione di fare come il suo predecessore che non ha capito fin quanto poteva spingersi. Per mantenersi in sella, ed avere mano libera, ha bisogno di soldi e supporto da UE e FMI. Una delle condizioni poste da queste ultime sta proprio nelle riforme e nella lotta alla corruzione. Ed ecco che l’asso nella manica è Mikhail Saakashvili, ex Presidente georgiano, attualmente indagato in patria, che ha saputo, al di là della criticabile politica estera culminata con la guerra contro la Russia del 2008, abbattere la corruzione e riformare completamente il proprio Paese. Dopo esser stato consigliere presidenziale, ora ha assunto l’incarico di Governatore di Odessa, regione natale di Poroshenko, e area tradizionalmente vicina, per mentalità, alla Russia. Potrebbe essere semplicemente la mossa creativa ed altamente rischiosa di un Presidente che non sa cosa fare e a chi affidare una regione che rappresenta una pedina fondamentale nello scacchiere geopolitico, localizzandosi tra Crimea, Donbass e Transnistria. Ma potrebbe anche essere il banco di prova prima di ricevere l’incarico di primo ministro al posto di Arseniy Yatseniuk, uscito vincitore dalle ultime elezioni politiche, ma troppo forte per non mettere in ombra il Presidente. Anche Putin, negli anni, ha compreso che un primo ministro fedele è fondamentale: il Presidente può assumersi i meriti, mentre il primo ministro può svolgere il lavoro “sporco”, accentrando su di lui le critiche. Putin ha trovato in Dmitriy Medvedev il proprio fidato primo ministro e Poroshenko potrebbe essere alla ricerca di un personaggio simile, con il quale giocare a poliziotto buono-poliziotto cattivo.

Per questi, così come altri motivi, Poroshenko sta seguendo il suo “nemico”, cercando di copiarlo. Il rischio, a questo punto, è che i due, al di fuori della mediatica inimicizia e delle posizioni distanti, vadano a braccetto più di quanto vogliano far vedere, di fatto riconoscendosi reciprocamente notevoli doti personali e soprattutto vedendo, tra i tanti lati negativi dell’instabilità in Donbass, anche alcuni lati positivi: la possibilità, con la scusa della guerra, di tacciare di antipatriottismo i propri oppositori interni, di agire oltre i poteri costituzionalmente concessi, di utilizzare slogan populisti e propagandistici, di ottenere forte consenso presentandosi come il probabile salvatore della Patria. Che, almeno sotto questo aspetto, l’instabilità in Donbass, alla fine, vada bene ad entrambi?

Chi è Pietro Rizzi

Dottorando in Relazioni Industriali presso l’Università degli Studi di Bergamo, collabora con l’OSCE/ODIHR come osservatore elettorale durante le missioni di monitoraggio in Est Europa. Redattore per East Journal, dove si occupa di Ucraina, Est Europa e Caucaso in generale. In passato è stato redattore ed art director del periodico LiberaMente, e si è a lungo occupato di politica come assistente parlamentare e consulente giuridico per comitati referendari. Ha risieduto, per lavoro e ricerca, a Kiev e Tbilisi.

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