Il cinema durante la Grande Guerra è stato soprattutto uno strumento di propaganda e di parziale, spesso artificiale, documentazione di frammenti di eventi. Le tecnologie erano ingombranti e poco duttili e le tecniche di ripresa primitive: girare sui campi di battaglia era sostanzialmente impossibile e la narrazione cinematografica non era ancora riuscita a darsi propri codici. I cineasti cercavano di emozionare lo spettatore soprattutto con immagini che dovevano stupire evocando le sue esperienze personali.
È nei secondi Anni Venti e negli Anni Trenta che il cinema incomincia a rappresentare in maniera linguisticamente e tematicamente complessa la Grande Guerra, la condizione del soldato in trincea e la miseria dei civili, la realtà disorientata dei reduci, le paure che accompagnavano trasformazioni nelle quali tutti si sentivano stranieri. Il cinema fra le guerre si occupa, quindi, della Grande Guerra e dell’immediato dopoguerra coltivando la speranza che “non ci sarà un’altra guerra più grande di così”.
È solo qualche anno dopo la fine della Seconda guerra mondiale che nel cinema comincia ad affiorare, da punti di vista fra loro diversissimi, la percezione di una sorta di unitarietà (la seconda Guerra dei trent’anni) o, se si preferisce, di continuità (gran parte dei conflitti che si accompagnano e seguono il tramonto del colonialismo e dell’internazionalismo imperialista sovietico sono ancora oggi irrisolti).
Sono numerosi i film che si potrebbero citare più o meno direttamente collegabili alla seconda Guerra dei trent’anni. Ne abbiamo scelti pochi significativi con la consapevolezza che è possibile rintracciare molti altri percorsi. Il criterio che abbiamo cercato di seguire è di concentrarsi sulla gente comune, su figure storicamente non rilevanti, in realtà con l’unica eccezione del protagonista di “Mephisto” (1981) dell’ungherese Istvàn Szabó, un attore tutto preso dal proprio narcisismo interprete di un’epoca in cui la messa in scena del potere diviene fondamentale e il condizionamento ideologico e politico del popolo una forma essenziale di governo.
Innanzitutto, poi, i primi due episodi “Nostalgia di terre lontane-1919/1928” e “Il centro del mondo-1929/1933) della prima parte di “Heimat” (1984) di Edgard Reitz, “tra le saghe cinematografiche della storia della settima arte certamente…la più imponente, fluviale, polifonica, nonché la più intensa e coinvolgente”. Il regista ha percorso la quotidianità della storia tedesca dal 1919 al 2000 (ma di recente è andato a ritroso nel 1842 con “Die andere Heimat. Cronaca di un sogno”) attraversando le vicende di una famiglia di un villaggio renano. Il primo episodio inizia con il ritorno del reduce Simon, un ritorno che si rivelerà tre anni dopo per lui impossibile.
Quindi, il metaforico e grottesco “Il tamburo di latta” che Volker Schlöndorff nel 1979 trasse dal romanzo di Günter Grass, dove si racconta di un bambino che decide di non divenire adulto nella Danzica fra le due guerre.
Il cinema italiano è poco interessante sotto questa prospettiva sia perché il cinema del fascismo è stato poca cosa (ha tenuto nell’ombra sia la Grande Guerra sia la quotidianità sociale) sia perché nel dopoguerra ha guardato realisticamente e ha fatto sorridere in chiave satirica e soprattutto in chiave autoreferenziale. Forse il titolo più interessante lungo la traccia che ci siamo imposti è “La marcia su Roma” (1962) di Dino Risi, con due reduci affamati e senza prospettive che si trovano coinvolti nell’affermazione del regime fascista.
Infine un documentario, per molti versi straordinario, “No pasarán. Album souvenir” (2003) di Henri-François Imbert sulla vicenda degli spagnoli repubblicani che lasciarono la patria dopo la vittoria di Franco: da un campo di concentramento all’altro fino alla liberazione di Mauthausen da parte degli Alleati, con una conclusione ai giorni nostri suoi nuovi profughi d’altri continenti che sembrano averne ereditato la condizione.
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Queste cinematografie verranno affrontate da Gianluigi Bozza nell’incontro-dibattito “La seconda Guerra dei Trent’anni sul grande schermo”, che si terrà mercoledì 15 aprile 2015, alle 17,30, a Trento, nella Sala degli affreschi della Biblioteca comunale (Via Roma 55). Saranno anche proiettate citazioni filmiche.
Questo incontro è il tredicesimo del ciclo “La seconda Guerra dei Trent’anni”, organizzato dal Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale e dalla Fondazione Museo Storico del Trentino.
Paradossalmente, manca la citazione di uno fra i più bei film relativi alla Grande Guerra ( girato per di più durante il primo dopoguerra ) : l’artisticamente perfetto ” La grande Illusione” di Jean Renoir. Un film che ha saputo rappresentare in maniera semplice ma intensa il passaggio da un’era ad un’altra attraverso la tragedia del 1914-1918.
Paradossalmente, perché l’incontro è sulla “seconda guerra dei trent’anni”, ossia sul periodo che va dal 1914 al 1945 collegando i due conflitti mondiali in una guerra civile europea. Di film sulla prima guerra mondiale se ne potrebbero citare a bizzeffe…