Se a Parigi erano oltre un milione, a Groznyj lunedì 19 gennaio a scendere in piazza sono state diverse centinaia di migliaia di persone (secondo alcuni un milione proveniente da tutta l’area settentrionale del Caucaso; per altri almeno il 60% della popolazione della regione). Opposto il sentimento: da una parte i “Je suis Charlie Hebdo”, dall’altra i “Je ne suis pas Charlie Hebdo”. I manifestanti infatti, nel tragitto dalla piazza principale alla moschea “Cuore della Cecenia”, hanno dichiarato a gran voce e con cartelli “Il Profeta non si tocca” e “Allahu Akbar” (“Allah è grande”). A guidare la protesta il leader ceceno Ramzan Kadyrov (figlio dell’ex presidente Ahmed Kadyrov, appuntato da Putin, e morto in un attentato nel 2004) che ha definito le caricature satiriche del settimanale francese “volgari e immorali” e ha anche dichiarato: “Siamo pronti a morire, se ce ne fosse bisogno, per fermare chiunque si arroghi il diritto di declinare il nome del Profeta irresponsabilmente”.
Groznyj è la capitale della repubblica russa della Cecenia (270 mila abitanti); la maggioranza della popolazione è di religione musulmana. Il Cremlino ha appoggiato e supervisionato da lontano la protesta (mostrata in diretta sulla tv nazionale russa), e lo stesso leader ceceno Kadyrov è visto di buon occhio da Mosca. Probabilmente il governo russo, accordando il permesso di manifestare alla popolazione di questa regione critica, ha voluto evitare destabilizzazioni politiche che non può permettersi ora di affrontare. Tuttavia il permesso per organizzare lo stesso tipo di manifestazione a Mosca – la capitale più musulmana d’Europa (circa il 15% della popolazione, due milioni secondo il corriere.it si professa musulmano) – non è stato dato. Venerdì intanto il Roskomnadzor (Servizio Federale Russo per la Supervisione delle Telecomunicazioni e dell’Informazione) ha avvertito i vari canali dell’informazione russa che offendere altre fedi religiose in Russia è illegale.
Nella federazione l’islam è la seconda religione più professata (tra il 7 e il 10% della popolazione) dopo quella ortodossa; ma la tradizione religiosa russa non conosce estremismi, o fanatismi violenti, ed è anzi da sempre, ma soprattutto dopo l’esprerienza repressiva dei settant’anni di regime comunista, legata maggiormente alla dimensione spirituale e intimistica. Queste piccole disposizioni (proteste religiose accordate, avvertimenti legislativi che garantiscono i culti a scapito della libertà di espressione) sono probabilmente volte a tenere – alla buona – sotto controllo possibili sfoghi violenti e destabilizzanti in un momento critico sotto diversi punti di vista – economico, geopolitico, sociale – per la Russia.