BALCANI: Serbia e Albania. Il potere del nazionalismo

Da Belgrado – Lo scorso 10 novembre il primo ministro albanese, Edi Rama, si è recato in visita ufficiale a Belgrado, dove ha incontrato Aleskandar Vučić, presidente del consiglio serbo. L’arrivo a Belgrado di Rama, che è stato omaggiato dal saluto militare, ha rappresentato un momento storico per le relazioni tra i due paesi: erano infatti 68 anni che un rappresentante di stato albanese non si recava in Serbia.

La visita di Rama era stata inizialmente fissata per il 22 ottobre, per essere poi posticipata a causa degli incidenti scoppiati in occasione della partita di calcio tra le due nazionali, quando un “drone” a cui era appesa la mappa della “grande Albania” aveva interrotto la gara e provocato una maxi rissa tra giocatori albanesi e hooligan serbi.

Background storico

L’ultimo incontro ufficiale tra rappresentanti dei due paesi risale al 1946, quando il dittatore comunista Enver Hoxha fece visita al Maresciallo Tito. Anche all’epoca, l’incontro ebbe una notevole portata storica, dal momento che dall’indipendenza dell’Albania – avvenuta nel 1912, in seguito alla prima guerra balcanica – nessun capo di stato albanese aveva mai lasciato il paese per recarsi in visita ufficiale.

Durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra, le relazioni tra i due paesi erano state contraddistinte da accordi di mutua cooperazione. La stessa leadership comunista albanese, rappresentata dal Partito Comunista albanese nato nel 1941, era infatti posta sotto la guida diretta di due agenti jugoslavi, Miladin Popović e Dušan Mugoša, che riuscirono nell’intento di unificare le diverse organizzazioni di resistenza albanese e a diffondere gli ideali marxisti in tutto il paese.

Le relazioni si intensificarono ulteriormente nel dopoguerra, e nel 1946, Hoxha e Tito, avevano già concluso importanti accordi di carattere politico-militare ed economico, che prevedevano tra le altre cose: un patto di mutua difesa “contro qualunque aggressore”; cooperazione economica che portasse alla formazione di società miste per lo sfruttamento di materie prime e per la costruzione di infrastrutture; e persino la costituzione di una banca jugo-albanese. L’apice di tale cooperazione venne raggiunto nel novembre dello stesso anno, quando i due leader si accordarono per un’unione doganale, l’unificazione delle valute nel giro di tre mesi e per il coordinamento delle politiche estere.

L’intensificazione di queste relazioni bilaterali si inseriva nel contesto del più ampio progetto di politica estera di Tito, che mirava alla creazione di una federazione balcanica, che includesse anche la Bulgaria. Tuttavia, sarà proprio l’eccessiva autonomia jugoslava in politica estera a contribuire alla rottura tra Tito e Stalin, culminata il 28 giungo 1948, che distanzierà la Jugoslavia dal resto del blocco sovietico, e quindi dalla stessa Albania.

Dopo il 1948, della federazione balcanica, così come dello sviluppo di rapporti bilaterali non se ne parlerà più. Da allora, tanti cambiamenti sono occorsi tra i due paesi: mentre la Jugoslavia cesserà di esistere nel 1992, l’Albania abbandonerà il socialismo dopo decenni di ferreo isolamento ideologico, politico ed economico. Nel 1998, infine, la guerra in Kosovo segnerà in modo indiretto il destino conflittuale delle relazioni tra Belgrado e Tirana, fino alla visita di Edi Rama.

Un provocatore a Belgrado?

La principale notizia riportata dopo l’incontro “storico” tra i due presidenti del consiglio riguarda una dichiarazione di Rama a proposito del Kosovo. Nel corso della conferenza stampa, il leader albanese ha infatti fatto riferimento alla “realtà del Kosovo, la cui indipendenza deve essere accettata da Belgrado, di modo da garantire un progresso per l’intera regione”. Ferma e immediata la reazione di Vučić, che interrompendo Rama ha ribadito che il “Kosovo è parte della Serbia“. Dopo il battibecco, il leader serbo ha preso la parola davanti ai giornalisti dichiarando che non si aspettava che “Rama sfruttasse l’incontro per provocare e umiliare il governo serbo“, considerato che la questione del Kosovo era stata precedentemente esclusa dall’agenda e soprattutto che non si capisce quale dovrebbe essere il ruolo del governo Rama in relazione a tale questione.

Tale notizia, che sui giornali serbi è stata seguita da diverse accuse se non attacchi personali diretti a Rama, ha fatto il giro del mondo, quasi a sottolineare che tra Serbia e Albania non siano possibili incontri, ma solo scontri. Se da un lato è vero che lo spiacevole episodio sminuisce la portata storica che tale evento aveva, dall’altro lato è altrettanto vero che nessuno si è concentrato sugli altri temi trattati durante l’incontro. Sembrerebbe quasi che le uniche notizie degne di essere commentate, riguardanti Serbia e Albania, debbano per forza vertere sul nazionalismo e i presunti “odi atavici” che ne contraddistinguerebbero i rapporti.

Grande Serbia, Grande Albania e “Grande Bugia”

Al di là dello screzio che riguarda il tema del Kosovo, i due premier hanno discusso a fondo di questioni che in realtà caratterizzano il comune destino di Serbia e Albania. In primis, l’integrazione nell’Unione Europea, obiettivo primario di politica estera per entrambi i governi. Entrambi i paesi infatti, hanno di recente conseguito lo status di candidato all’UE, nonostante si prevedano tempi più lunghi per l’integrazione albanese. Questo comune destino all’interno dell’Unione Europea è solo un esempio di come in realtà le sfide future dei due paesi balcanici viaggino in parallelo.

Durante l’incontro, infatti, i due leader si sono accordati su altre questioni. Innanzitutto, sull’intenzione di incrementare gli scambi commerciali tra le due economie, che al momento si quantificano intorno ai 100 milioni di euro. A tal proposito, Vučić ha dichiarato che la minoranza nazionale albanese presente in Serbia – in particolare a Preševo, dove si sono recati i due leader – rappresenta il “ponte per la collaborazione, affinché i due paesi si presentino alle porte dell’UE con i necessari progetti infrastrutturali”. Inoltre, i due governi hanno firmato un accordo di mutua assistenza circa la prevenzione, l’individuazione e la persecuzione delle violazioni doganali.

Ma allora, perchè la notizia principale riguarda solo lo spiacevole siparietto circa la sovranità del Kosovo? Il motivo per cui l’incontro diplomatico è scivolato sulla spinosa questione territoriale sembrerebbe dettato da un tacito accordo, utile a entrambi i politici, identificabile in due necessità: innanzitutto, mascherare la concreta incapacità dei due governi di rivendicare il predominio e il proprio ruolo sulla questione del riconoscimento del Kosovo; e, conseguentemente, dimostrare davanti al proprio popolo quanto in realtà questo “interesse nazionale” stia a cuore all’operato del governo e venga difeso, nonostante la consapevolezza circa l’incapacità di risolverlo definitivamente.

In altre parole, il litigio in diretta sulla sovranità del Kosovo potrebbe rappresentare un ottimo strumento in grado di garantire ai due governanti di rafforzare il proprio consenso nazionale. Per Edi Rama, che a Tirana non ha mai fatto leva sulla questione del Kosovo, questo incontro-scontro sarà utile per dimostrare la risolutezza del suo governo in politica estera; mentre per Vučić, rappresenterà l’occasione per recuperare quei consensi perduti proprio a causa dell’Accordo di Bruxelles di aprile 2013, quando la Serbia accettò de facto l’autonomia del sistema politico kosovaro.

In questo complicato quadro diplomatico balcanico, la retorica nazionalista è dunque appositamente sfruttata per distogliere l’attenzione dall’incapacità istituzionale, soprattutto di Belgrado, di affrontare definitivamente lo status quo della propria provincia secessionista. Ancora una volta dunque, i leader di due nazioni che hanno storicamente condiviso per secoli lo stesso spazio geopolitico, hanno preferito mantenersi sui binari dell’antagonismo nazionalista, e vendere al proprio popolo l’immagine di “difensori della nazione”, piuttosto che trasmettere il messaggio, molto più reale, che i problemi comuni vadano risolti con sforzi comuni.

Foto: blic.rs

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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Un commento

  1. L’ Albania, i loro capi si sono sempre agregati al piu’ forte del momento e sempre contro i loro vicini, Jugoslavia e Grecia in primis, poi Bulgaria. Ossia contro i serbi, macedoni, montenegrini, greci…
    Quando l’ Impero ottomano stava crollando si sono messi con l ‘ Austro-Ungheria, poi con l’ Italia fascista che gli regalo’ l’ occupazione del Kosovo e Metohia creando la grande Albania inglobata nel Regno d’ Italia. Dopo la II guerra Mondiale con l’ URSS (giacche’ Tito si distacco da Stalin), poi con la Cina ( con le uccisioni continue dei militari guardiani alla frontiera) ed ora con tutti i paesi UE servi degli USA-Nato!
    Allora in che modo si dovrebbe rispondere alle solite provocazioni!?

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