Louis Jammes, Sarajevo 1993

BOSNIA: Sarajevo, cultura e guerra. Il trionfo della volontà (parte II)

Cosa succede alla vita culturale di un paese in guerra? A seguire la seconda parte dell’articolo di Vedrana Seksan, il Trionfo della volontà, dove vengono descritti i giorni dell’assedio sarajevese e il tentativo di resistere con la cultura alla distruzione intorno. La scelta di presentare traduzioni della pubblicistica bosniaca nasce dall’esigenza di ricordare le voci del passato per ripensare il presente, in altri luoghi e in altre case.

“Il trionfo della volontà” -parte II- di Vedrana Seksan (Tratto da Dani 4/2008) Traduzioni: Giovanna Larcinese

GHALI AL POSTO DI BABBO NATALE. Nell’estate del 1992 si è celebrato il primo matrimonio di guerra. Lunedì 29 giugno, in uniforme della Difesa Territoriale si sono sposate due coppie. E Sarajevo ha iniziato a collegarsi sempre più alla parola “spirito”. Anche il tempo, al posto delle convenzionali  “vecchia e nuova era” ha iniziato ad essere misurato con “pirma della guerra” e “guerra”.

Sono iniziati i primi spettacoli, concerti per combattenti e civili, eventi per bambini, burattini e marionette negli scantinati, iscrizioni a concorsi e piani per le riprese di fiction tv, cosa che non si fa neanche adesso, dieci anni dopo.

Si è recitato lo spettacolo “Poveri piccoli criceti”, del quale non è scritto chi recita, ma si si dice che abbiano partecipato Zlatko Lugumdzija, Jusuf Pušina e Nikola Kovać.  Al nuovo teatro SARTR il sei settembre è andata la premiere di Sklonište (Rifugio, N.d.T.); gli studenti dell’Accademia delle Arti Sceniche hanno iniziato i lavori recitando spettacoli per bambini; Vesela Sveska festeggiava il suo quarantesimo anniversario nelle ludoteche sottoterra e alla galleria Paleta con la mostra “Arsenali del male” venivano esibiti tutti i pezzi d’artiglieria e proiettili collezionati per le strade della città.

E la città diventava una ventina di strade a incroci occupati da autobus incendiati, o da blocchi di cemento sui quali era scritto “Pink Floyd”.

Alcuni giorni prima che allo stadio di Barcellona Zlatan Saračević mostrasse la bandiera coi Gigli provocando la battuta del serbo “Ride bene chi ride ultimo”, è stata promossa la valuta bosniaca. Per quello esisteva già il mezzo di pagamento sarajevese, il marco tedesco, che si cambiava per 35000 dinari ogni 100 marchi. Il pane nero costava 800 dinari, un chilo di zucchero 2000 dinari,  le Marlboro 8800 dinari e i pensionati venivano informati che sarebbero stati pagati quando sarebbero arrivati i soldi. Cosa c’era di nuovo?

E’ andato a fuoco l’Hotel Europa, è stato aperto un nuovo cimitero cittadino, si preparavano le riprese per il film tratto dal dramma Sklonište per cui sarebbero stati necessari intorno ai 400.000 marchi e Juso Prelo su Oslobođenje combatteva la propria battaglia contro lo slogan “lo spirito di Sarajevo” in una colonna in cui scriveva “se in una stessa situazione si fossero trovati i cittadini di Madrid o Barcellona, non avrebbero saputo trovare lo stesso spirito sarajevese per l’acqua e il cibo, ma sarebbe iniziata solo una battaglia per la sopravvivenza”.

Lo spirito sarajevese è quello che Prelo non ha capito. Lo avrebbe capito se solo avesse almeno letto gli ultimi due numeri del giornale per il quale scriveva. Infatti il 28 agosto ha scritto sul giornale che su un grattacielo in Piazza Kosorica era stata innalzata la bandiera bosniaca. Quello stesso grattacielo, pochi giorni dopo, è stato attaccato.

E dunque è arrivato l’autunno. Ad ottobre per la prima volta abbiamo visto nei mercati la Coca-Cola. Il cinque novembre Bill Clinton è stato eletto presidente degli USA. Lo stesso giorno è morto l’ultimo animale nel nostro zoo sulla Collina dei Pionieri. A novembre per la prima volta si è recitato il musical Hair al teatro Kamerni. A dicembre è finita la trasmissione della serie TV “Venti di guerra”, si è aperto il concorso per la partecipazione al festival musicale Eurovision e il nostro presidente ha affermato che per l’anno nuovo avremmo avuto, al posto di Babbo Natale, Boutros Boutros Ghali.

Buon 1993” ha affermato, aggiungendo “la libertà per noi è l’unica via d’uscita”. Al periodo di grandi spensieratezze è succeduto quello della grande disperazione. Abbiamo capito che per la fine dell’assedio ci volevano solo quattro giorni, quattro giorni da cintura nera. Davvero lunga.

A gennaio ho ordinato lo skate del quale è rimasta solo la base, e i pattini, di cui non è rimasto niente, solo la terribile puzza; ai magazzini degli aiuti umanitari sono arrivati la farina e i pacchetti-pranzo delle armate americane, a Belgrado veniva annunciato il nuovo film di Emir Kusturica e Oslobođenje scriveva di come Radovan Karadžić pianificasse la bomba atomica.

BASIC ISTINCT. Alla base dei giornalisti stranieri, all’Holiday Inn, è stato promosso il nuovo francobollo bosniaco. Peccato che la posta bosniaca è uscita solo ed escusivamente per gli abitanti di quell’hotel, per la Croce Rossa e pochi altri e che i francobolli assolutamente non servissero, non significava nulla. Come non aveva significato la proposta della Rai di presentare Sarajevo ai Nobel per la Pace. Il premio per la resistenza dei cittadini sarajevesi lo ha preso sicuramente il festival artistico “Sarajevska Zima”, annunciato ed eseguito secondo i piani.

A gennaio l’Unione Europea ha lanciato all’aggressore un ultimatum di 15 giorni, dagli impianti ci hanno promesso la fornitura dell’acqua e dell’elettricità, la giuria per la partecipazione al festival Eurosong era sommersa di canzoni da scegliere e Clinton ha proposto di indagare sull’ipotesi che Milošević fosse un criminale. Levy e Cousnher hanno ottenuto il dottorato onorario e il teatro SARTR aveva nel repertorio addirittura tre spettacoli. Fino a quel giorno si erano tenute talmente tante mostre che persino i giornali avevano smesso di contarle.

In quel mese è stato annunciato il primo film d’animazione di guerra di Nedzad Begović e il film documentario di Loncarević e Dzuherić è arrivato a Cannes. Solo un giorno prima che iniziassero gli incontri di Ginevra.

Coi televisori spenti Sarajevo è diventata la città del teatro. Gli spettacoli si recitavano alla luce delle candele e questo non infastidiva nessuno. Soprattutto il pubblico. Al teatro  Kamerni Haris Pasovic ha diretto lo spettacolo Grad (Città, N.d.T.), al Teatro Nazionale Sulejman Kupušović ha messo in scena “Majka” di Ahmed Muradbegovic e tutti abbiamo cantato le strofe “tutti i dolori ci sono in Bosnia stasera, li lascio dolere per dispetto”. Ma il numero di gente diminuiva.

Ivan Solkolov e Vesna Basagić sono diventati i migliori sportivi della Bosnia Erzegovina. Oslobođenje è stato premiato come miglior giornale mondiale dell’anno. Si è tenuto il concerto rock di guerra nel quale hanno suonato Amra Daca e Mr Amir, i Mjesečari, i Teška Industrija e Kike, è stato un gran circo.  A metà febbraio hanno aperto il Primo cinema di guerra, nella Otvorena Scena Obala. I primi film in proiezione sono stati Terminator, ma il biglietto più ricercato è stato quello per Basic Istinct con Sharon Stone protagonista. A tutti è interessata bene o male la stessa cosa: ma si vede davvero quella cosa?

Come pesce d’aprile del 1993  girava la bufala che le latterie sarajevesi vendessero il gelato, quando l’unico latte che avevamo -quello in polvere- si scambiava per legna e sigarette.

A quella data infine, venivamo informati che erano state depositate 22 accuse penali contro individui che raccoglievano la preziosa l’acqua della birreria per l’irrigazione di “rare piante che fanno ridere”.

Vai alla prima parte dell’articolo

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