BOSNIA: La corte di Strasburgo contro Dayton, di nuovo

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato la Bosnia-Erzegovina per violazione della Convenzione Europea per via delle quote etniche per alte cariche nel suo sistema politico (ricorso 3681/06 del 15 luglio 2014). Con questa decisione, i giudici di Strasburgo rinnovano con fermezza l’appello alle istituzioni bosniache di cambiare la costituzione prima delle elezioni parlamentari di ottobre.

La Corte segue quanto stabilito nella sentenza Sejdić e Finci contro Bosnia-Erzegovina, in cui aveva stabilito che il sistema di divisione del potere su base etnica su cui si basa la costituzione di Dayton (in particolare, le elezioni per la presidenza e la seconda camera del paese) viola il principio di non discriminazione (art.1 del protocollo 12) e delle elezioni libere (articolo 3 del protocollo 1).

In Bosnia, la costituzione prescrive che i rappresentanti per la Camera dei Popoli (la seconda camera in Bosnia) siano bosgnacchi, croati e serbi (i cosiddetti tre “popoli costituenti” della Bosnia). Per la presidenza collettiva del paese vale lo stesso, un bosgnacco e un croato, eletti sul territorio della Federazione, e un serbo, eletto sul territorio della Republika Srpska, le due entità che costituiscono il paese.

Azra Zornić, candidato alle elezioni del 2012 con il partito socialdemocratico SDP, non aveva dichiarato la sua appartenenza etnica ma semplicemente aveva affermato di essere cittadina bosniaca. Vista l’impossibilità di candidarsi per la Camera dei Popoli o la presidenza del paese si era rivolta ai giudici di Strasburgo. In precedenza, la Corte Costituzionale bosniaca aveva dichiarato irrecevibile la sua petizione (con sentenza AP 1945/10).

Ricevibilità della petizione. I giudici di Strasburgo ne hanno accettato la ricevibilità, nonostante il richiedente non avesse esaurito preventivamente tutti i rimedi giurisdizionali interni al sistema legale bosniaco (par. 21 della sentenza). Strasburgo è stata di maniche larghe anche in merito allo status di vittima del richiedente. In merito al caso Sejdić e Finci, era verosimile che Jakob Finci (co-organizzatore dei giochi olimpici di Sarajevo nel 1984, presidente della Comunità ebraica ed ambasciatore bosniaco) potesse ambire alle cariche più alte del paese, lo stesso discorso è più difficile in merito alla Zornić. Quest’ultima ha partecipato, peraltro senza successo, soltanto ad un’unica elezione per il parlamento di una delle due entità di cui si compone la Bosnia-Erzegovina.

Decisione nel merito. Il diritto costituzionale bosniaco prevede quote etniche (per cariche politiche nonché per l’amministrazione pubblica), ma non vi è nessun sistema di accertamento di questa dichiarazione. L’argomentazione del governo bosniaco era che Azra Zornić può benissimo participare alle elezioni. È sufficiente che si dichiarari, a tal fine, appartenente a uno dei popoli costituenti, vale a dire o serba, o croata o bosgnacca. La Corte ha respinto la posizione del governo bosniaco e dichiarato che il sistema di auto-classificazione bosniaco, dato che costringe i candidati ad optare per uno dei popoli costituenti, viola il diritto alle elezioni libere e il principio di non discriminazione.

La Corte dunque riafferma il precedente Sejdic e Finci e opta per parole particolarmente dure rivolte alle autorità bosniache in merito all’implementazione della decisione. Dopo aver richiamato le diverse risoluzioni dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa in merito all’attuazione di Sejdic e Finci, la Corte chiude la sentenza con un forte monito alle istituzioni bosniache di far cessare le discriminazioni etniche inerenti al suo sistema politico (par. 43):

The Court expects that democratic arrangements will be made without further delay. In view of the need to ensure effective political democracy, the Court considers that the time has come for a political system which will provide every citizen of Bosnia and Herzegovina with the right to stand for elections to the Presidency and the House of Peoples of Bosnia and Herzegovina without discrimination based on ethnic affiliation and without granting special rights for constituent people to the exclusion of minorities or citizens of Bosnia and Herzegovina.”

 Questa sentenza può essere considerata, per tempistica e nel merito, come un segnale di vita delle Corte, volta a ricordare alla Bosnia la gravità della sua violazione e ad urgere i rappresentanti politici del paese di trovare una soluzione prima di un appuntamento cruciale nella vita politica del paese come le elezioni parlamentari di ottobre. Ciò nonostante, è difficile che la Bosnia attui la sentenza, definita dal suo rappresentante a Strasburgo come “non attuabile e in violazione della sovranità del paese”, e contro cui peraltro può fare ancora ricorso presso la stessa ‘Grande Camera’ (l’ultima istanza di giudizio) della Corte.

Chi è Stefan Graziadei

Dottorando in diritto internazionale all'Università di Anversa

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