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UNGHERIA: Il governo Orban e la memoria del passato comunista

Un milione di dollari per la costruzione di un museo dedicato alle vittime del comunismo che sorgerà nei prossimi anni a Washington. E’ l’ammontare della donazione del governo ungherese comunicato nelle scorse settimane in una nota emessa dall’esecutivo. Mercoledì 11 giugno la Victims of Communism Memorial Foundation, fondazione promotrice del memoriale, insieme all’ambasciata ungherese ha organizzato una serie di eventi per celebrare il 25° dalla caduta del comunismo. Il primo ministro ungherese Viktor Orban, in una lettera scritta a sostegno del progetto, ha definito il futuro museo come un’ammonizione perpetua per i crimini compiuti in nome del comunismo.

Il progetto politico di Orban, statalista e conservatore, sin dal suo primo mandato nel 1998 ha come pilastro la battaglia culturale contro i discendenti del comunismo, accusati di non essere ancora riusciti a liberarsi di vecchi fardelli. Quest’ultima donazione rientra a pieno regime nella lista degli interventi promossi negli ultimi anni dagli esecutivi di Orban in favore di questa battaglia.

Nel 2002 su spinta del governo venne inaugurata in via Andrassy a Budapest la “Casa del terrore”, museo dedicato alle vittime dei regimi che in Ungheria si susseguirono nel ‘900. Durante la guerra l’edificio fu prima occupato dai crocefrecciati, il movimento filo-nazista che si rese responsabile della deportazione di migliaia di ebrei, poi dalla polizia politica sotto il comando comunista. Per queste ragioni fu scelto per creare il museo per la memoria delle vittime dei regimi totalitari.

Nel 2012 con la legge sull’“uso pubblico” dei nomi promulgata durante il secondo governo Orban, strade e piazze intitolate a protagonisti dei totalitarismi del ‘900 sono state cambiate. Il provvedimento ha causato una vera e propria rivoluzione toponomastica e urbanistica.

Marx sì, Lenin no. La legge sull’“uso pubblico” dei nomi, non essendoci luoghi pubblici intitolati ai membri delle Croci Frecciate, è una faccenda che ha riguardato principalmente la memoria del passato comunista, i suoi affiliati e alcuni concetti legati ad esso. Così i nomi di Stalin, Lenin e Majakowskij sono stati rifiutati mentre Marx e Gagarin sono stati salvati in nome del contributo che hanno apportato alla “scienza internazionale”. La legge ha inoltre bandito il concetto di liberazione, legato alla ritirata del Terzo Reich dall’Ungheria ma allo stesso tempo all’inizio dell’occupazione sovietica. Persino il quotidiano Nepszabadsag (Libertà del popolo), vecchia voce del regime è stato vicino ad essere costretto a cambiare nome. Pericolo scampato. Lo stesso giornale ha definito la legge sull’uso politico un’inutile crociata finalizzata a distogliere l’attenzione dai veri problemi del paese.

Orban e i sui avevano già rivisitato la toponomastica prima della legge. Emblematico il caso di Koztarsasag ter, piazza della Repubblica a Budapest, ribattezzata Janos Pal ter in onore di Karol Wojtyla. Secondo la maggioranza di governo, la parola “repubblica” rimanda alla forma di stato istituita dai comunisti dopo la seconda guerra mondiale. Legato a questa ragione si pensi al caso della modifica della Costituzione perorata da Fidesz, in base alla quale il paese non si chiama più Repubblica d’Ungheria ma solo Ungheria.

Ma è la vicenda legata ad Elvis Presley che può essere scelta come simbolo della rivoluzione toponomastica avvenuta principalmente nella capitale. Nel 2011 il consiglio municipale di Budapest ha intitolato un piccolo parco al re del rock’n’roll in onore del sostegno che Elvis ha dato all’Ungheria nei giorni della rivoluzione antisovietica dell’ottobre 1956. Durante l’Ed Sullivan Show, la star cantò la canzone “Peace in Valley” in sostegno della situazione ungherese. Elvis è stato inoltre dichiarato cittadino onorario di Budapest.

L’unica eccezione di quella che è stata definita “guerra civile fredda” che contamina ogni nicchia di memoria è Memento Park. Un giardino nella periferia di Budapest dove dopo l’89 vennero trasportati i vecchi imponenti monumenti in ferro e pietra testimoni della Budapest socialista. Una delle poche testimonianze rimaste della Budapest che fu.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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