BULGARIA: Un anno di proteste. La piazza più dimenticata d'Europa non smette di lottare

E’ un anno che in Bulgaria si protesta. Il paese più povero e più corrotto dell’Unione Europea è teatro di continue proteste di piazza e i manifestanti non sembrano intenzionati a smettere. La “Taksim dimenticata”, come già la chiamammo, è da un anno che continua a manifestare contro “l’oligarchia” mafiosa che governa il paese e controlla tutto il potere politico ed economico a scapito del benessere dei cittadini. A nulla sono servite le dimissioni del primo ministro Boyko Borisov e il ritiro della nomina di Peevski a capo dei servizi segreti. La piazza più ignorata d’Europa va avanti.

Una protesta pacifica lunga un anno

La popolazione, che manifesta da mesi, ha trovato il coraggio dell’opposizione in un paese che scopre una generazione di giovani distante da quella idiosincrasia verso la piazza che ha connotato, in certa misura, la generazione precedente, costretta alla piazza quando c’era da esprimere il consenso obbligatorio al regime e malmenata quando manifestava il dissenso. E anche la polizia si sta distinguendo per la mancanza di ferocia e abusi. 

L’assenza di violenza è l’elemento più interessante di queste proteste, e la polizia sembra sposare la causa dei manifestanti, tuttavia un concreto cambiamento non si profila all’orizzonte. Quello che manca è una reale alternativa. La mobilitazione continua a chiedere le dimissioni dell’esecutivo sostenuto dai socialisti.“I politici sono tutti uguali. Noi non possiamo attendere oltre, è da un anno che chiediamo al governo di andarsene” dicono i manifestanti. “Le nostre richieste restano le stesse di un anno fa: dimissioni”.

Le dimissioni del governo e le elezioni anticipate

E i manifestanti sono stati accontentati: per la defezione di un alleato minore della coalizione, il governo Oresharski è ormai senza maggioranza, e il presidente Plevneliev ha indetto elezioni anticipate per fine settembre / inizio ottobre. Le dimissioni di Oresharski dovrebbero aprire la strada ad un governo tecnico estivo fino al voto. Le elezioni potrebbero riportare al governo il partito di centrodestra GERB di Boyko Borisov, che era stato sloggiato dalle manifestazioni di piazza solo un anno fa, in una girandola in cui il voto non sembra più in grado di garantire un ricambio delle élite.

La Bulgaria resta il paese più povero dell’Unione europea. La crescita economica attesa per il 2014 è del 2,1%, e dovrebbe attestarsi su una media del 3% fino al 2018 secondo l’Economist. Non male, ma bassa rispetto agli anni del boom prima della crisi finanziaria globale. La prospettiva di elezioni anticipate ed incertezza politica non dovrebbe favorire gli investimenti dall’estero.

La questione aperta della libertà di stampa

Oltre alla politica e all’economia, la libertà d’espressione e d’informazione è un altro tallone d’Achille per Sofia, soprattutto quando si tratta di giornalismo d’inchiesta che scava nei rapporti tra business e politica. L’ultimo caso eclatante è quello della giornalista Antoaneta Nikolova, licenziata dalla tv pubblica per “mancanza d’imparzialità” dopo un servizio non proprio accondiscendente verso il primo ministro Oresharski.

“In Bulgaria, stato membro dell’Unione Europea, siamo di fronte a una escalation di comportamenti ai limiti della lesione del diritto, soprattutto nei confronti della libertà di stampa”. A scriverlo Lorenzo Marsili e Giovanni Melogli, coordinatori della European Media Initiative. Perquisizioni e fermi arbitrari di giornalisti sarebbero stati effettuati negli scorsi giorni a carico di collaboratori di un gruppo editoriale, reo di essersi occupato da troppo vicino delle commesse del tratto bulgaro di South Stream. Quel che sta accadendo a Sofia non può continuare ad essere ignorato in Europa.”

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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Un commento

  1. Caterina Ghobert

    Bell’articolo, e ne condivido molte parti.

    Due note:
    La parte più grossa dei movimenti di piazza negli anni (perchè non si è protestato solo a partire dall’estate scorsa, ma piu o meno a partire dal 2012) è stata molto meno politico in senso stretto di quanto emerge nell’articolo. Anzi, gran parte delle proteste si è sviluppata su tematiche antagoniste alla politica (prima la protezione dei parchi nazionali minacciati dal cemento, poi ACTA, quindi l’insoddisfazione generalizzata per una classe politica che mette un “mutri” quale Peevski alla guida della commissione anticorruzione – ma senza una vera e propria alternativa). Zizek e Badiou si sono trastullati a battibeccare sulla questione.

    Seconda nota, molto più prosaica. E’ da marzo che sono in a Sofia. Per quanto il mio bulgaro faccia acqua seguo quotidianamente il telegiornale e, scarsa copertura mediatica se non addirittura censura a parte, proteste non se ne vedono in giro, fatto salvo per un corteo commemorativo per l’anniversario delle proteste dell’anno scorso. O ho frainteso l’articolo, o avete delle fonti fallaci (più che altro perchè tutto il resto che avete detto mi pare in linea con la realtà che vedo in giro).

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