Du bist nur ein kleiner Vogel und hast kleine Flügel, aber sie sind groß genug, um ein ganzes Volk zu schützen” (Sei solo un piccolo uccello e hai delle piccole ali, ma sono grandi abbastanza per proteggere un popolo intero).
Con queste ingenue parole Frinko Balaban, guardia campestre di un comune rurale nel distretto di Kolomea (oggi Kolomiya, in Ucraina), rivolgendosi all’aquila bicipite sulla porta della propria caserma, esprime un diffuso sentimento popolare destinato a diventare con il tempo leggenda non solo in letteratura: il ‘mito asburgico’ superò infatti la soglia di vita fisica dell’impero ed è ancora citato spesso. Frinko Balaban, personaggio immaginario di un racconto di Leopold von Sacher-Masoch scritto intorno al 1865, è – nel linguaggio comune austro-ungherese dell’epoca – un ‘ruteno’, un ‘piccolo russo’, oggi si direbbe un ucraino abitante la regione a nord-ovest della catena dei Carpazi.
La sua fiducia nell’amministrazione austriaca si basa sull’abolizione del ‘robot’ (prestazione di lavoro obbligatoria di origine feudale nei confronti del proprietario terriero), sull’istruzione primaria impartita nella lingua del luogo, sul rispetto delle tradizioni locali ma soprattutto sulla funzione equilibratrice svolta dalla burocrazia di lingua tedesca nei confronti dei contadini vessati dai grandi proprietari terrieri polacchi (o russi). Effettivamente, pochi anni prima della stesura del racconto di Sacher-Masoch, si era verificata una rivolta dei proprietari polacchi e i contadini ucraini si erano schiarati apertamente con l’imperatore d’Austria (1846). Il loro atteggiamento lealista aveva convinto Vienna – che controllava quei territori dal tempo della prima spartizione della Polonia (1772) – a effettuare delle modeste concessioni. In ogni caso, seppure discutibili in un’ottica contemporanea, le condizioni dei contadini ucraini sudditi asburgici erano ben diverse da quelle dei contadini russi dato che – come è noto – solo nel marzo 1861 in Russia fu abolita la servitù della gleba.
In seguito alla rivoluzione del 1848 l’Austria aveva spostato da Cracovia a Lemberg (Leopoli in italiano, L’viv in ucraino) la sede ufficiale degli uffici pubblici e della dieta (il parlamento) per dimostrare gratitudine ai ruteni e punire in un certo senso gli irrequieti polacchi. Sacher-Masoch, mentre poneva una delle prime pietre di fondazione del ‘mito asburgico’, non avrebbe mai potuto immaginare che nella stessa zona circa 70 anni dopo si sarebbe però compiuta una fase determinante nella fine di un impero plurinazionale. La battaglia invernale sui Carpazi contro l’esercito russo (gennaio-aprile 1915), oltre a costare all’Austria più di 50mila caduti e, in solo giorno con la resa della piazzaforte di Przemysl (oggi in Polonia), avrebbe provocato la cattura di 120mila soldati, tra i quali otto generali e quasi tremila ufficiali.
Nel quadro di questa autentica catastrofe militare dovuta principalmente all’inettitudine degli alti comandi austriaci, secondo numerosi storici, si verificarono i primi scricchiolii nella grande struttura portante della duplice monarchia, ovvero l’esercito, che avrebbero portato al disfacimento e alla sconfitta: interi reparti – in maggioranza slavi – disertarono o cedettero le armi con allarmante facilità e cominciò da parte austriaca una politica di intransigente disciplina e dura repressione delle questioni nazionali che sarebbe durata per più di tre anni e mezzo fino al collasso completo. Un testimone di questi fatti all’epoca ancora inconsapevole fu Josip Broz, graduato austriaco di nazionalità croata – più tardi noto come Tito – catturato dai russi il 22 marzo 1915 in Bucovina, all’estremità sud orientale dei Carpazi, oggi Romania. L’incanto insomma si era rotto definitivamente in quanto le popolazioni slave della parte orientale dell’impero avevano mutato il loro atteggiamento nei confronti dell’Austria.
Nel 1914 su entrambi i versanti dei Carpazi, secondo i censimenti austriaci, la componente rutena-ucraina era maggioritaria, tuttavia esisteva una piccola minoranza ungherese al di là della cresta, una rumena nella parte estrema sud orientale e comunità polacche si spingevano fino Zakopane e a Gorlice; gli slovacchi invece abitavano le testate orografiche dei fiumi Hernád (Hornád) e Tapoly, concentrandosi nelle città di Bartfeld e Kaschau. Numerosissima era popolazione ebraica che in certe città rappresentava la maggioranza relativa e a Dukla arrivava fino al settanta per cento. Nel corso dei rimescolamenti etnici seguiti alla prima guerra mondiale gli ebrei ne uscirono relativamente indenni, ma dopo la seconda, scomparvero invece completamente nelle circostanze note a tutti. Secondo una stima abbastanza attendibile una vittima su sei dell’Olocausto proveniva da queste aree e altrettanto pesante fu il contributo in vittime civili ucraine, da attribire anche alla repressione sovietica che secondo alcune fonti perdurò fino agli anni Cinquanta.
Dell’eredità asburgica restano oggi solo testimonianze architettoniche sparse in numerose città quali uffici pubblici, scuole e caserme, tutte in quello stile inconfondibile che si stendeva dalla Bosnia alla Bucovina, ma per il resto il retaggio della monarchia danubiana può dirsi perduto o da ricercarsi sotto traccia. Attualmente la parte nord dei Carpazi, lo storico regno di Galizia e Lodomeria dell’impero asburgico, è divisa in due: la parte occidentale è polacca e quella orientale ucraina. Le popolazioni oggi sono più o meno etnicamente omogenee e non si può parlare di tensioni interne, almeno non in termini paragonabili a quelli dell’Europa sud-orientale. Interessante però il fatto che nel secondo dopoguerra, a dispetto della tradizionale indifferenza alle questioni nazionali del socialismo reale, uno dei pochi spostamenti di confini – esclusi ovviamente quelli massicci dopo la seconda guerra mondiale – avvenne però tra Russia e Polonia relativamente a pochi distretti tra la parte sud-orientale della Polonia e quella nord-occidentale dell’attuale Ucraina.
Resta tuttavia il fatto abbastanza significativo che il mito asburgico sia nato nel mondo slavo e sia stato diffuso in tedesco (lingua utilizzata dalla maggior parte degli scrittori riconducibili a questo filone), alla periferia di un impero plurinazionale ai confini con un altro impero, un mito che si fondava principalmente sulla funzione di mediazione delle tensioni esistenti. Diverso fu il ruolo dell’amministrazione dell’impero germanico che – basando le sue relazioni con l’impero russo su diversi rapporti di forza – nello stesso periodo poteva trattare le numerose minoranze in Prussia orientale in maniera diversa. L’eredità asburgica potrebbe dunque sembrare oggi del tutto ininfluente, ma la parte occidentale dell’Ucraina ha dimostrato già da tempo un carattere diverso rispetto il resto del paese e la parte nord-occidentale di cui abbiamo parlato è una parte ‘minore’ di questa Ucraina.
Il problema non si pone dunque in termini etnici, ma piuttosto in termini identitari. Indubbiamente, anche relegando nell’erudizione il retaggio asburgico, l’Ucraina nata nel 1991 dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica non ha una unica identità certa. I territori a est del Dniepr sono russi dal 1667, dalla fine cioè della stagione di instabilità provocata dal capo cosacco Borden Khmelnitsky (morto nel 1657) che aveva combattuto contro polacchi, turchi e russi per affermare un proprio spazio, senza per questo costituire una entità statale propriamente tale. A questo periodo si riconduce l’origine dell’interesse russo verso il “chernozem”, il tipico suolo scuro e fertile delle grandi pianure che si affacciano sul mar Nero.
La cosiddetta Galizia, cui abbiamo accennato sopra, include, oltre al versante nord dei Carpazi, parti del bacino della Vistola (in Polonia), del Dniestr (in Ucraina sud-occidentale), del Bug (Polonia centro-orientale e Ucraina occidentale) e del Seret (Ucraina occidentale). Particolamente in questa zona, in parallelo allo sviluppo dei movimenti nazionali in Europa occidentale, si sviluppò un movimento ucraino che trovò nella Russia zarista una forte opposizione, visto che nel 1876 furono vietate tutte le pubblicazioni in lingua ucraina. Nonostante tra il 1917 e il 1919 siano esistite tre diverse repubblice ucraine esse finirono spartite tra Polonia e Unione Sovietica, fino alla vera propria annessione russa del 1922.
Se a queste diversità innegabili tra oriente e occidente della stessa Ucraina storica, aggiungiamo ora la questione della Crimea – ‘russificata’ dalla seconda metà dell’Ottocento e successivamente da Stalin con la deportazione delle popolazioni di origine tatara nel 1944 – sorge più di qualche dubbio sulla natura di dono danaico della penisola fatto alla repubblica ucraina sovietica: ciò che fece Khrushchev nel 1954, volendo in un certo senso celebrare i tre secoli dell’unione con la Russia, è fonte di ulteriori difficoltà per una identità comune. Quando esiste poi un vicino forte, che conosce bene la situazione e potrebbe sfruttarla a proprio vantaggio, la questione dell’identità non diventa più una mera esercitazione accademica.
da (Pagine di difesa)
Foto: Dudeson26, Flickr
splendido articolo, molto istruttivo. Grazie.