Ricordando Jan Palach

di Gianluca Ruotolo

Il giorno 16 gennaio 1969, in piazza San Venceslao a Praga, lo studente ventenne Jan Palach si diede fuoco per protestare contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia e contro la repressione. La sua agonia atroce durò per tre giorni, fino al 19 gennaio quando morì.

Il suo gesto ebbe una risonanza vastissima e suscitò una emozione profonda nella Cecoslovacchia invasa, tanto che , quando il 25 gennaio si tennero i funerali, ci fu un lunghissimo corteo con la partecipazione di una folla infinita, più di 600.000 persone.

Questa è la storia di Jan Palach in tre righe. Ma chi era questo studente fino ad allora ignoto? e cosa lo spinse a questo gesto estremo?

Jan Palach e la Primavera di Praga

Jan Palach era nato l’11 agosto 1948, da famiglia cattolica. Era studente e nonostante la sua richiesta di iscriversi ad una facoltà umanistica era stato ammesso a quella economica. Solo due mesi prima della sua tragica morte era riuscito ad ottenere il trasferimento.

Il giovane Palach seguiva con speranza la primavera di Praga, la fase di apertura iniziata nel suo paese il 5 gennaio 1968 con la nomina di Alexander Dubcek. Dubcek era un comunista riformista fautore di un socialismo dal volto umano , più aperto e più democratico. “Il socialismo dal volto umano” è anche il titolo della sua autobiografia.

Questa nuova stagione politica, per fare solo un esempio, consentì il voto segreto nelle decisioni più importanti prese dagli organi del partito liberando il dibattito e facendo venir meno il finto unanimismo. La primavera era un pericolo perché avrebbe senz’altro portato a forme di liberalizzazione incompatibili con l’ortodossia marxista leninista, e per questo i sovietici la vedevano con estrema preoccupazione.

Dopo alcuni avvertimenti un corpo di spedizione del Patto di Varsavia (con soldati di tutti i paesi membri tranne la Romania) invase la Cecoslovacchia il 20 agosto dello stesso anno, ponendo fine a questo audace esperimento.

Nei giorni dell’ invasione il partito comunista cecoslovacco, al potere nel paese, tenne il suo 14° congresso (clandestino) nella fabbrica CKD di Praga protestando per l’invasione perpetrata da truppe provenienti dagli altri paesi comunisti. Tra la popolazione lo sconcerto fu grande, e sui muri della città di Praga si leggevano scritte come “Lenin svegliati, Breznev è impazzito”.

Con l’invasione calò una saracinesca sulle speranze della Cecoslovacchia ed iniziò un periodo di plumbea repressione, poi sfociata nella stagione della “normalizzazione” husakiana. Ma non tutti si piegarono a questa cupa normalità.

E quindi , il 16 gennaio 1968, il giovane Jan Palach raggiunse il centro di Praga e dopo essersi cosparso di benzina si diede fuoco davanti al Museo Nazionale, proprio ai piedi della scalinata, come avevano fatto i monaci buddisti del Vietnam.

Le reazioni in Italia

Delle reazioni in Italia alla morte di Jan Palach si è occupato Francesco Caccamo, intervenuto tra gli altri ad un convegno tenutosi a Roma presso l’Istituto Sturzo.

Il sacrificio di Palach suscitò un grande clamore anche in Italia. L’Unità titolò “Tragedia a Praga”. L’articolo, a firma di Pajetta, esprimeva il dolore del partito e la solidarietà al popoplo cecoslovacco, affermando però che si trattava di un atto individuale lontano dal modo in cui i comunisti intendono la lotta politica.

Negli stessi giorni, sul Corriere, Enzo Bettiza – attento osservatore della situazione politica d’oltre cortina – scrisse che il gesto di Palach dava inizio ad una fase di transizione pericolosa, in cui gli equilibri interni al PC cecoslovacco sarebbero passati dai riformatori (l’area di Dubcek) ai realisti ortodossi (Husak ed amici).

Sul fronte cattolico vi fu un intervento del papa Paolo VI e del cardinale Beran, esule a Roma. La Civiltà Cattolica, rivista prestigiosa, giustificò il gesto suicida comprendendo le gravi ragioni che lo avevano animato. In particolare, lo difese il teologo cattolico Zverina secondo il quale “Un suicida in certi casi non scende all’Inferno” e  “non sempre Dio è dispiaciuto quando un uomo si toglie il suo bene supremo, la vita” .

Dopo la morte del giovane vi fu un dibattito parlamentare in cui tutti i partiti espressero solidarietà, ciascuno a suo modo. Il PCI prese le parti del partito comunista cecoslovacco, condannando l’invasione sovietica. Questa fu una prima grave rottura con l’Urss, poi riassorbita a distanza di tempo, anche grazie ed un viaggio di Armando Cossutta a Mosca. La preoccupazione del Pci era  esprimere una partecipazione ben distante dalle manifestazioni di tipo fascista che in quei giorni si svolgevano in Italia.

La commemorazione di Jan Palach venne tenuta il  24 gennaio 1969 da Sandro Pertini, presidente della Camera, che con parole molto sentite ne ricordò la figura e disse che la libertà finisce sempre per trionfare sulle forze brutali.

La Primavera di Praga e l’eredità di Masaryk

Nello stesso convegno, Francesco Leoncini ha ricordato che la Primavera di Praga fu un contrappeso al totalitarismo sovietico  pur essendo molto critica nei confronti delle società occidentali. La Primavera si ricollegava al processo in atto in Europa occidentale nel secondo dopoguerra, in cui si assisteva, con modalità e declinazioni diverse, ad una forte affermazione dei diritti sociali.

Rientravano in questo fenomeno la dottrina sociale della chiesa, il laburismo inglese, il socialismo democratico tedesco ed il liberalsocialismo di Rosselli. Più di tutto il liberalismo sociale di Masaryk, padre della Cecoslovacchia democratica tra le due guerre che era diventata il quinto paese più prospero d’Europa, una piccola Svezia. Con Masaryk, e fino all’ invasione tedesca, il paese aveva vissuto quasi 30 anni di democrazia di stampo occidentale.

Nell’ intervento è stata ricordata la testimonianza di Jiri Palach (il fratello) intervistato da Enzo Biagi. Jiri parla di Jan come di un credente da bambino, che all’età di 16 anni aveva letto la Bibbia. Jan Palach non era praticante e non si sa se in età adulta avesse conservato la fede trasmessa in famiglia, ma ogni sera i due fratelli recitavano la preghiera loro insegnata dalla madre. Insomma, l’humus culturale era quello del cristianesimo cecoslovacco. Alcuni hanno fatto un parallelo con Jan Hus, di cui il prossimo anno ricorre il 600° anniversario e che precorse di 100 anni Martin Lutero.

L’eredità di Jan Palach nella Cecoslovacchia postcomunista

Negli anni del regime sulla figura di Palach cadde il silenzio, ma nel 1989, dopo la caduta del muro, gli venne intitolata la piazza nel centro di Praga fino ad allora dedicata all’Armata Rossa. Nel 1990 il nuovo presidente della libera Cecoslovacchia Vaclav Havel gli dedicò inoltre una lapide ben visibile, colocata nel centro della città.

Quando il giovane Palach si diede fuoco i suoi scritti ed i suoi articoli vennero ritrovati in uno zaino lasciato a distanza dalle fiamme. In un appunto il giovane dichiarava di essere membro di un gruppo di volontari pronti a darsi fuoco l’ uno dopo l’ altro per la libertà e in segno di protesta. Vi si legge infatti:

Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a darsi fuoco per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l’abolizione della censura e la proibizione di Zpravy. Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s’infiammerà.

Palach fu eroico e nei giorni dell’agonia continuò a sostenere l’esistenza di una organizzazione, senza mai smentirsi. Non si sa se dicesse il vero o no, ma ciò che più conta è che egli ebbe coscienza della risonanza del suo gesto estremo perchè la dottoressa Jaroslava Moserova, che lo aveva subito soccorso, gli portò i messaggi di solidarietà dei cittadini, dei lavoratori e degli studenti: “Ho parlato con lui abbastanza e ho potuto sentire le sue opinioni sulle cose, era un giovane assolutamente normale, razionale, equilibrato. Sono sicura che sapesse cosa stava facendo”. Durante i due giorni di agonia “gli portavamo i messaggi della gente, da parte di operai, minatori, dall’università, avevano capito, e anche lui seppe che non era stato un gesto vano”.

Quindi Jan Palach, nelle ultime ore, seppe. Seppe del grande appoggio popolare, seppe dell’ indignazione, seppe che il suo gesto era stato compreso. Seppe di essere l’eroe di un popolo oppresso, di aver dato ali alla speranza dei cecoslovacchi.

Foto: Bologna,25 gennaio 1969. Manifestazione per Jan Palach e la Primavera di Praga. Walter Breveglieri / Il Fatto Quotidiano / Flickr

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18 commenti

  1. Scusate la domanda che è tutto fuorché provocatoria, ma investe invece i meccanismi del ricordo collettivo e pubblico. Va bene ricordare Jan Palach, che – scrivete – “Seppe di essere l’eroe di un popolo oppresso, di aver dato ali alla speranza dei cecoslovacchi”. Ma qualcuno mi saprebbe dire ora almeno 3 nomi d’altri individui (uomini o donne) che si sono immolati tra le fiamme perché, nel mondo non oppresso, non avevano da mangiare, un lavoro o dei banalissimi diritti (penso all’omossessuale che si diede fuoco in San Pietro)? Io temo di no (a tacere poi di tanti altri morti “occasionali” nel mondo libero, oppure degli operai bruciati vivi per le esigenze del profitto di una fabbrica di Torino). Sono cose imparagonabili? Potrebbe essere, ma perché di qualcuno il nome è così diffuso e noto, e di migliaia di altri, assassinati da meccanismi più sottili ma sempre storicamente determinati, non si sa pressoché nulla?

  2. Raffaela Fornasarig

    Bell’articolo. Mi piace

  3. Bello!
    E’ proprio un bell’articolo, completo, non prolisso, in crescendo fino alla parte finale della sua agonia che non conoscevo.
    Sarebbe da sbandierare sotto il naso di questa massa di addormentati smidollati che sono diventati gli italiani.
    Trasformare la propria vita in un opera d’arte…mi ricorda Mishima.
    Uomini d’altra stoffa e d’altri tempi…di cui il nostro tempo ne è drammaticamente privo.

  4. bel pezzo, finalmente escplicativo

  5. Bella descrizione, ricca di info e di riflessioni,
    Complimenti.

  6. Che strano, tutti a dire bell’articolo e nessuno che risponda o commenti la domanda del primo post… del resto se i fascisti ucraini diventano difensori della democrazia ed europeisti, c’è da sorprenderi che un articolo che gronda propaganda piaccia? Ormai il livello, grazia ai social media, è questo: nessuna riflessione, capacità di discernere nella complessità degli avvenimenti storici pari a zero, ma tanti “mi piace”. Ridicolo, ma non sorprendente.

  7. Cara Alberta, hai ragione. In riferimento al primo post ci ricordiamo poco di tutti i martiri. Ma siamo umani e cerchiamo di dare un senso al valore di un gesto che difenda – comunque e dovunque – i diritti di tutti.
    E’ mostruoso non ricordarsi di tanta gente che si è immolata, ma cerchiamo anche di ricordare tutti gli Jan Palach attraverso Jan Palach.
    Non è un discorso di parte, non c’entra la propaganda. E non capisco i tuoi riferimenti al fascismo. Intendo con esso tutti i comportamenti vessatori delle libertà e della democrazia, siano essi mandare una testa di maiale alla sinagoga o all’ambasciata israeliana, siano essi tagliare il gas all’Ucraina perchè “minaccia” di avvicinarsi all’occidente. O pensi veramente che la Timoshenko sia in galera per frode fiscale e multe non pagate? Per piacere…
    Ma hai ragione sul fatto che ragionamento e capacità di usare il cervello sono in estinzione. Noi ci stiamo comunque provando. Anche qui.
    Ricordati una cosa: tu puoi scrivere e parlare liberamente, altri non lo possono fare.
    Buona vita.

  8. Caro McCianka, leggo solo ora la tua risposta ad Alberta (che non conosco). A me pare, in tutta onestà e non fraintendermi, che il tuo post siail più classico colpo al cerchio ed uno alla botte. Che vuol dire ricordare Jan Palach per ricordare tutti gli Jan palach? Questa è bassa retorica, perché poi ciò che si ricorda è scritto così due volte. Anche la chiusa finale è abbastanza ingenua: è forse colpa di Alberta se nel mondo ci sono situazioni disumane? A me pare quella frasetta idiota che si dice ai bambini quando non mangiano: se in Africa avessero quel che tu rifiuti…. Ma ciò detto, il problema che ponevo nel mio primo post – e che nessuno ha voluto aiutarmi a sciogliere – era se alcune memorie egemoni (che articoli come quello che si discute qua rionfocolano a livello di pura propaganda), non chiudano gli occhi all’Occidente nel suo dialogo con l’oriente (scusa l’utilizzo di queste bestiali macrocategorie), invece di favorire una comprensione piena. A a proposito della Timoshenko: no nessuno crede che sia in galera per quello, ma nemmeno che sia l’onestà fatta persona, o voi ad EastJournal sì? E visto che abbiamo aperto il discorso: cosa si può dire del caso Ablyazov? Che il Kazakhistan è una democrazia con la quale l’Occidente commercia alla grande (o tappandosi occhi e orecchi e tanti saluti agli Jan Palach locali)? Infine una nota ancora sull’Ucraina: perché non dedicate un pezzo al museo delle SS Galizia esistente a Leopoli? Perché fate finta di non vedere che troppi di quelli scesi in piazza inneggiano a personaggi fascisti, urlano slogan fascisti e addirittura antisemiti? Perché si tace su tutto questo e si racconta troppo spesso la balla dei manifestanti pro-Europa?

  9. Articolo con qualche spunto interessante, ma nulla più.

  10. Articolo molto interessante e scritto con cognizione di causa. L’autore mi ha molto colpito per il modo in cui e’ stato in grado di illustrare questo fatto storico tragico e altresi importante.

  11. grande articolo. per non dimenticare. collateralmente interessante l’accenno sul grande progresso economico e industriale della cecoslovacchia tra le due guerre argomento poco noto. e infine quanta ingenuita’ nelle scritte “Lenin svegliati, Breznev e’ impazzito”….

  12. Apprezzo molto la storia dei movimenti popolari che hanno contribuito a formare la nostra cultura e che influenzano in maniera importante i sistemi sociali in vigore nelle varie parti del mondo. Non vedo nell’articolo un incitazione a movimenti fascisti, anzi, mi sembra piuttosto un movimento pacifico di risveglio della coscienza di un popolo, che cercando umanità all’interno di un regime opprimente, cerca contestualmente a dare un senso all’umanesimo e alla propria esistenza. Movimenti di risveglio di questo tipo si stanno verificando anche in Italia, potremo ricordare i cittadini che si son date alle fiamme vittime di una pressione fiscale individualmente insopportabile, mentre altri noti personaggi pubblici se la ridono, ignari di queste difficoltà locali, con pensioni multiple e con un evidente disinteresse rivolto verso le reali esigenze delle fascie sociale più deboli, dai quali hanno ricevuto un mandato di gestione durante le elezioni

  13. Ottimo lavoro! Bravo Giangi!

  14. Come estremamente significativo fu il gesto di Jan Palach, lo è ora ricordarne l’anniversario, e nella sua tragicità, risaltarne la semplicità e la determinazione dell’evento stesso.
    L’articolo è puntuale, anche nell’evidenziarne particolarità e legami ormai dimenticati. Ma soprattutto getta una piccolissima luce su di una storia non ancora conosciuta e scritta del tutto: i martiri del comunismo nell’Europa orientale.
    Purtroppo il comunismo non è caduto sotto i colpi mortali di una guerra di liberazione, ma piuttosto all’auto deflagrarsi di un sistema sociale, politico e economico, non più sostenibile. Dico purtroppo perché questo non ha permesso di portare alla sbarra i colpevoli di 70 anni di dittatura su di una popolazione di più di 300 milioni di individui.
    Tuttora molti di quei colpevoli continuano ad essere all’interno degli attuali governi nei vari paesi europei dell’est, direttamente o indirettamente con i loro partiti fondati nel post ’89. Vedesi il PSD in Romania, ora al governo, fondato da alcuni esponenti di spicco del governo di Ceausescu.
    Tuttora i partiti comunisti occidentali, o meglio dire le loro metamorfosi, sono totalmente in contraddizione con la loro storia passata. In Italia abbiamo un presidente della repubblica che approvò l’invasione dell’Ungheria da parte delle armate del Patto di Varsavia durante i moti di Budapest del ’56.
    Tuttora consideriamo atti valorosi i crimini commessi dai partigiani durante quei 3 o 4 anni che andarono dal ’43 al ’46 in Italia e in Europa: foibe, pulizie etniche e politiche, ecc..
    Tuttora nei libri di storia non è marcata sufficientemente, se non è addirittura assente, la dittatura comunista in Europa e tutte le sue nefandezze derivanti.
    Tutto questo fa si che non ci sia mai stata una effettiva e/o definitiva revisione dei fatti. Ci si commuove giustamente per le scene orribili e terribili dei lager di sterminio nazisti, ma ancora ci si stupisce difronte a “Magazzino 18” di Simone Cristicchi, o guardando il docu-film “I martiri della Fede” di Pupi Avati o leggendo “Arcipelago Gulag” di Aleksandr Solgenicyn. Ma come è possibile questa dicotomia nel cuore e nella mente umana?
    Ben vengano articoli come questo di Gianluca Ruotolo, un impegno a cercare la verità del comunismo fino in fondo.

  15. Grazie Gianluca, mi è piaciuto molto il tuo articolo, ricco di approfondimenti e spunti per la riflessione.
    Personalmente, sono convinta che la vita sia il bene più prezioso e questo non fa di me una candidata al martirio. Credo che ci siano molte altre vie per lottare in favore della giustizia e della libertà – ognuno di noi dovrebbe farlo nel proprio quotidiano – ma è altrettanto vero che non ho mai vissuto in una condizione di assoluta privazione di libertà e di diritti. Il mio non deve, quindi, intendersi come un giudizio.
    Un gesto così disperato non ottiene sempre una simile risonanza ma, la storia così lo dimostra, Palach si immolò in un momento in cui i tempi erano maturi; la sua determinazione e la sua consapevolezza hanno fatto si che quel gesto varcasse le frontiere, territoriali e temporali, e influenzasse le ottuse dinamiche del potere. Quello che più mi interessa di questa storia è la dimostrazione di come la determinazione di un solo individuo ha il potere di cambiare il destino di una nazione, il destino di tutta l’umanità. Crederci fino in fondo, anche a costo della propria vita, è una lezione che fa bene ricordare.

  16. tra le righe si parla, in alcuni commenti, si sottintende, in una parola si accusano gli ucraini di fascismo (nazismo?). Viaggiate, leggete, studiate attentamente le situazioni prima di parlare e se proprio siete così pigri date almeno un’occhiata ai voti accumulati da Pravi Sektor e Svoboda alle elezioni presidenziali dello scorso maggio. Tanto so che non lo farete, ve lo dico io così facciamo prima: 2,5% (somma di entrambi i partiti)

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